«Vorrei non aver mai fatto questo film»

L'ha detto dopo aver vinto l'Oscar Mstyslav Chernov, autore del documentario ucraino "20 giorni a Mariupol", sui primi violenti giorni dell'invasione russa

(Kevin Winter/Getty Images)
(Kevin Winter/Getty Images)

Come ampiamente previsto, il documentario 20 giorni a Mariupol (20 днів у Маріуполі), diretto dal regista e giornalista ucraino Mstyslav Chernov, ha vinto il premio per il miglior documentario alla 96esima cerimonia degli Oscar, a Los Angeles. Nel 2022, insieme a un gruppo di giornalisti e giornaliste ucraine, Chernov fu autore di un lungo reportage per l’agenzia Associated Press da Mariupol, una delle città più colpite dai bombardamenti russi in Ucraina all’inizio della guerra. Per quel reportage aveva poi vinto nel 2023 il premio Pulitzer – il più ambito nel giornalismo statunitense – insieme al collega Evgeniy Maloletka e alle colleghe Vasilisa Stepanenko e Lori Hinnant, coautore e coautrici del documentario.

Salito sul palco degli Oscar insieme a loro per ritirare il premio, Chernov ha tenuto un breve discorso che è stato molto ripreso dai media. Da tempo il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina tramite l’invio di nuovi aiuti militari è argomento di un dibattito alimentato dall’opposizione dei Repubblicani all’interno del Congresso.

Questo è il primo Oscar nella storia dell’Ucraina, e ne sono onorato. Ma probabilmente sarò il primo regista su questo palco a dire che vorrei non aver mai fatto questo film. Vorrei poter fare a cambio con una storia in cui la Russia non ha mai attaccato l’Ucraina, mai occupato le nostre città. Preferirei dare indietro ogni riconoscimento, per una storia in cui la Russia non uccide decine di migliaia di miei connazionali ucraini. Vorrei che liberassero tutti gli ostaggi, tutti i soldati che stanno proteggendo le loro terre, tutti i civili che sono in prigione in questo momento.

Ma non posso cambiare la storia. Non posso cambiare il passato. Voi, alcune delle persone più talentuose al mondo, e noi possiamo però assicurarci insieme che la storia venga corretta, che la verità abbia la meglio e che la gente di Mariupol e coloro che hanno dato la vita non siano mai dimenticati. Perché il cinema forma i ricordi, e i ricordi formano la storia.

In una successiva intervista Chernov ha ricordato che il giorno prima, il 9 marzo, ricorreva il secondo anniversario del bombardamento russo sull’ospedale di Mariupol, uno degli eventi più violenti e raccontati all’inizio della guerra. Ha criticato il fatto che l’invasione russa dell’Ucraina sia diventata un argomento di dibattito nel mondo, e ha detto che spera che il documentario ricordi invece che l’invasione è «una catastrofe umanitaria, non una questione politica».

20 giorni a Mariupol, uscito in alcune sale negli Stati Uniti il 14 luglio 2023 (e attualmente non disponibile in Italia, se non in alcune sporadiche proiezioni in lingua originale), racconta i primi giorni dell’invasione russa e la devastazione dei bombardamenti su Mariupol, una città portuale dell’Ucraina sulla costa settentrionale del mar d’Azov. Chernov non aveva intenzione di fare un film, ma riprese tutto quello che accadeva nella città assediata: la considerava «una necessità», come raccontato a Variety a gennaio scorso.

Per tre settimane tra febbraio e marzo 2022 Chernov e Maloletka furono gli unici giornalisti che lavoravano per una testata occidentale, Associated Press, a essere rimasti dall’inizio dell’invasione a Mariupol, all’epoca uno dei posti più pericolosi di tutta l’Ucraina. Vivendo insieme agli altri civili assediati rischiarono ogni giorno di essere obiettivo dei bombardamenti e dei cecchini russi, e continuarono a filmare gli attacchi sulle abitazioni, l’ospedale, i negozi e altri edifici della città. «Ciò che emerge più vividamente dal documentario, oltre alla tragedia umana, è l’importanza vitale dei corrispondenti di guerra e il coraggio e l’ingegno di cui devono essere dotati per lavorare in condizioni così pericolose per la vita», scrisse su Hollywood Reporter il critico cinematografico Frank Scheck.