Le navi nella laguna di Venezia sono anche un problema ambientale

Soprattutto quelle grandi, perché provocano onde che contribuiscono all’erosione e per farle passare bisogna scavare il fondale

di Laura Fasani

Un'immagine satellitare della laguna di Venezia
Un'immagine satellitare della laguna (M. Justin Wilkinson, Jacobs at NASA-JSC.)
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Chi conosce bene la laguna di Venezia dice che per farsi un’idea dell’impatto degli interventi umani bisogna concentrarsi innanzitutto sulla zona centrale. «Nel tempo è diventata quasi un braccio di mare grazie a tutte le opere fatte per permettere alle navi di passare», dice Tommaso Cacciari, portavoce del comitato No Grandi Navi, il gruppo che dal 2012 si oppone alla loro presenza nella laguna. Da anni si parla delle conseguenze del traffico navale su Venezia, ma finora non è stata trovata una soluzione definitiva in grado di far coesistere le esigenze di due settori fondamentali per la città – il turismo e l’industria – con l’ecosistema della laguna.

Con un’area di 550 chilometri quadrati, la laguna di Venezia è il più grande “ambiente umido” del Mediterraneo, cioè caratterizzato dalla compresenza di terreno e acqua (come possono essere i laghi, i fiumi e le paludi). La zona ha una notevole biodiversità ed è inserita nella rete Natura 2000 dell’Unione Europea, un sistema che tutela gli habitat e le specie animali e vegetali rari o minacciati all’interno degli Stati membri. Lo spazio separato dal mare Adriatico da strisce di terra (lidi e litorali) è caratterizzato essenzialmente da tre elementi naturalistici: le barene, che sono bassi isolotti ricoperti da vegetazione, i canali e i “bassofondali”, aree di terra quasi sempre sommerse. Questi tre elementi costituiscono la morfologia della laguna, cioè come è fatta, e vengono studiati per capire come vivono le specie che li abitano e come evolve il sistema lagunare veneziano, che storicamente è il risultato sia di fenomeni naturali sia di interventi dell’uomo. Non sono quindi strutture immutabili, anzi: interagiscono fra loro e studi scientifici hanno osservato cambiamenti anche profondi nel tempo.

La laguna ha una profondità variabile, che nei decenni è aumentata come conseguenza di una vasta erosione, soprattutto nell’area centro-meridionale. Qui, secondo gli esperti, gli effetti di fenomeni naturali sono stati esacerbati dalle opere realizzate dai veneziani negli ultimi secoli. Tra queste ci sono anche i grandi canali per la navigazione: è solo attraverso questi fossati infatti che le imbarcazioni di grandi dimensioni, sia da crociera sia quelle merci, possono navigare, comunque con difficoltà. Nel 2019 una nave da carico si arenò nella parte orientale della laguna, vicino a Chioggia.

Per questa ragione il progetto che prevede di riportare nel 2027 alcune navi da crociera di media dimensione alla stazione Marittima, il porto passeggeri della città, sta di nuovo allarmando i gruppi ambientalisti. Temono che il passaggio frequente delle navi possa ulteriormente aggravare la situazione della laguna centrale, che oltre a essere erosa è anche inquinata in alcuni punti dalle industrie di Marghera, la località sulla terraferma a ovest del centro storico di Venezia conosciuta per essere un importante polo industriale e porto commerciale.

«La laguna di Venezia non è il luogo ideale per grandi imbarcazioni: le navi hanno una forma costruita per navigare in mare aperto, in grandi fondali» dice Luca Zaggia, ricercatore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Zaggia fa parte di un gruppo di ricerca che nel 2019 pubblicò sulla rivista Scientific Reports uno studio sugli effetti delle onde generate dalle navi nella laguna veneziana. Lo studio ha rilevato che il movimento delle navi nei canali delimitati da fondali bassi può provocare onde solitarie molto elevate. Queste onde si propagano verso i lati, erodendo così sia i margini sia il fondale circostante, «fino a circa un chilometro di distanza», spiega Zaggia. L’effetto è simile a un mini tsunami: l’onda solleva una gran quantità di sedimenti dal fondo, lasciandoli in parte sospesi prima che le maree li buttino fuori dalla laguna. «Ogni volta che la laguna si abbassa di un millimetro si perdono migliaia di metri cubi di sedimenti. Questa perdita si aggiunge al grave deficit sedimentario della laguna centrale dovuto alla mancanza di apporti dai fiumi, deviati secoli fa dai veneziani», dice Zaggia.

I ricercatori hanno calcolato che dagli anni Settanta al Duemila circa l’80% della superficie del bacino lagunare centrale ha subito tassi di erosione elevati o moderati, rendendola «l’area più instabile della laguna». Finora buona parte degli studi ha ricondotto questa erosione all’apertura del Malamocco-Marghera alla fine degli anni Sessanta, un canale che inizia dalla bocca di porto di Malamocco, a sud del Lido e del centro storico di Venezia, e arriva alla zona industriale di Marghera. È da qui che entrano in laguna le navi commerciali e dal primo agosto del 2021 anche le navi da crociera da più di 25mila tonnellate di stazza lorda, dopo che un decreto-legge ne ha vietato l’accesso nel bacino e canale di San Marco e nel canale della Giudecca. Queste navi adesso devono attraccare in alcuni porti temporanei nella zona di Marghera e a Chioggia.

Il commissario straordinario delle crociere, nominato con lo stesso decreto nel 2021, vorrebbe riportare quelle di media dimensione (tra le 50mila e 65mila tonnellate, lunghe dai 230 ai 280 metri) fino alla Marittima, che è vicina al centro storico, passando dal Malamocco-Marghera e costeggiando la zona industriale. Da lì dovrebbero girare poi verso il Vittorio Emanuele III, un canale parallelo al ponte della Libertà scavato per la prima volta negli anni Venti del Novecento per collegare Venezia a Marghera e poi fondamentalmente dismesso alla fine degli anni Sessanta. Entrambi i canali dovranno essere sottoposti a lavori di manutenzione e di scavo per consentire le manovre delle navi in sicurezza.

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Zaggia e altri esperti dell’università di Padova sostengono però che lo scavo del canale e il traffico navale non siano le uniche cause umane dell’erosione del bacino centrale della laguna. Potrebbero avere contribuito anche alcune strutture, chiamate “moli foranei” o “guardiani”, costruite già nell’Ottocento ai lati delle bocche di porto – le aperture della laguna verso il mare Adriatico – per renderle più stabili e al contempo impedire l’ingresso eccessivo di sabbia dal mare, che altrimenti avrebbe ostacolato la navigazione. È stato osservato come il vento di bora, tipico dell’area, sposti lungo i litorali grandi quantità di sedimenti più fini. Se non fossero deviati al largo dai guardiani potrebbero quindi entrare nella laguna, controbilanciando almeno parzialmente la perdita costante dei sedimenti dovuta al movimento inverso, cioè al vento (e alle navi) che dentro la laguna provoca onde che spingono i sedimenti dei fondali verso il mare aperto. «Andrebbero fatti altri studi per capire se l’erosione è il risultato anche di questo intervento precedente alla costruzione del canale Malamocco-Marghera» dice Zaggia.

C’è però un altro aspetto che preoccupa i comitati ambientalisti. A ottobre del 2023 è uscita una ricerca delle università di Padova e di Ca’ Foscari a Venezia, che ha esaminato gli effetti sulle vongole – molto presenti nella laguna – dell’esposizione a sedimenti campionati in diversi punti sul fondo del canale Vittorio Emanuele III. Le analisi hanno rilevato alte concentrazioni di sostanze contaminanti e cancerogene come metalli pesanti, diossine e policlorobifenili (PCB), fino a 120 volte superiori alle soglie di controllo. Per Tomaso Patarnello, tra gli autori della ricerca e professore del dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione di Padova, «non è sorprendente trovare questo tipo di inquinanti, vista la storia industriale di Marghera. I risultati dello studio ci devono però rendere consapevoli che quei fanghi vanno gestiti in modo adeguato».

Serviranno altre analisi per capire quanto e fino a quale profondità il Vittorio Emanuele III sia inquinato. Quelle svolte dai ricercatori hanno comunque permesso di individuare un’alterazione nei geni delle vongole e l’aumento di microrganismi potenzialmente patogeni. Di conseguenza, spiega Patarnello, andrebbero chiarite due cose: la prima è quali potenziali effetti negativi potrebbero avere i sedimenti scavati su altre specie animali in ambienti diversi, se quei sedimenti dovessero essere utilizzati per realizzare nuove barene (isolotti) artificiali; la seconda, quali tecniche vadano utilizzate per ridurre al minimo la dispersione dei sedimenti durante le operazioni di scavo. «Queste tecniche esistono già. È ovvio però che non parliamo di un’attività a rischio zero» dice Patarnello. «Si può agire su quei sedimenti, ma il costo ambientale non va messo in secondo piano». Per valutare lo stato delle aree della laguna su cui si dovrà intervenire per le opere previste dalla struttura commissariale è già stata bandita una gara da circa tre milioni di euro per affidare specifiche indagini ambientali.

Alcune misure per mitigare l’impatto delle navi sulla morfologia della laguna vennero già indicate dalla ricerca uscita nel 2019. Le ha riprese anche uno studio più recente commissionato dall’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Settentrionale per trovare soluzioni sostenibili per la navigazione verso i porti di Venezia e Chioggia. Channeling the Green Deal for Venice, questo il nome del progetto, ha valutato i possibili impatti sul Malamocco-Marghera: sarebbe possibile ridurre lo stress sul canale diminuendo, tra le altre cose, la velocità fino a 8 nodi (circa 15 chilometri all’ora) e rinforzando i lati del canale con barene artificiali.

Il presidente dell’Autorità portuale Fulvio Lino Di Blasio, che è anche il commissario straordinario delle crociere, ha parlato di modifiche minime, che «permetterebbero di triplicare l’operatività della principale via d’accesso al porto di Venezia, di migliorare la sicurezza e di abbattere del 50% i fenomeni di erosione». Per l’associazione Venezia Cambia e il comitato No Grandi Navi sono però «interventi faraonici», che coinvolgono anche altri progetti dell’Autorità portuale, per esempio quello dedicato alle casse di colmata (isole artificiali realizzate con materiale di scavo) del Malamocco-Marghera, che è stato oggetto di diversi esposti delle associazioni ambientaliste.

Per Giovanni Andrea Martini, consigliere comunale di Venezia nella lista civica Tutta la città insieme, «l’ipotesi di scavare il Malamocco-Marghera e il Vittorio Emanuele III è comunque pericolosa e perdente. In pratica, è come vedere rientrare dalla porta sul retro quello che è uscito dalla porta principale con il decreto del 2021, con tutti i rischi del caso su una laguna già compromessa. Oltretutto, sbarcare in zona industriale nel frattempo non è proprio l’esperienza turistica più appagante che si possa immaginare». Venezia, sostiene Martini, dovrebbe puntare su un turismo crocieristico più «di qualità, con navi più piccole e all’avanguardia per gli standard di sostenibilità». Secondo Marco Zanetti, portavoce dell’associazione Venezia Cambia, e Tommaso Cacciari del comitato No Grandi Navi, continuare a portare navi da crociera dentro la laguna è anacronistico, se si considera la tendenza «al gigantismo di quel tipo di navi, tanto che i porti moderni ormai si allargano all’esterno, non dentro le baie».

Al momento, il concorso di idee bandito nel 2021 per raccogliere proposte per realizzare un porto off shore, quindi fuori dalla laguna, è fermo per una serie di ricorsi amministrativi e non si sa se e quando verrà ripreso.

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