Le protesi non devono per forza assomigliare agli arti umani

Varie aziende e designer da tempo sperimentano con materiali, forme e colori per realizzare arti artificiali diversi da quelli a cui siamo abituati a pensare

La modella Kelly Knox indossa la protesi Vine 2.0 di Alternative Limb Project (@thealternativelimbproject, Instagram)
La modella Kelly Knox indossa la protesi Vine 2.0 di Alternative Limb Project (@thealternativelimbproject, Instagram)
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Secondo le stime, che variano di paese in paese e in base allo specifico studio, tra il 60 per cento e l’80 per cento delle persone che hanno subìto amputazioni (e che quindi non hanno più uno o più dei propri arti) soffre di “sindrome dell’arto fantasma”. In pratica, per ragioni neurologiche, queste persone continuano a percepire sensazioni tattili provenienti dall’arto amputato, avvertendone la posizione e sentendo soprattutto un dolore continuo e spesso debilitante, che talvolta dura anche per anni dopo l’amputazione: come se il cervello umano avesse un’idea dei confini del corpo in cui si trova che non corrisponde alla realtà fisica.

A lungo, una delle terapie proposte ai pazienti affetti da questa sindrome è stata quella di dotarli di protesi molto realistiche, che corrispondessero alla forma e alla funzione dell’arto che stavano sostituendo, per cercare di sollecitare il cosiddetto “embodiment”, ovvero il riconoscimento della protesi come parte integrante del corpo, e non come una massa estranea. Una serie di studi recenti, condotti soprattutto dalla neuroscienziata dell’università di Cambridge Tamar Makin, mostrano però che i cervelli delle persone che hanno subìto amputazioni non percepiscono come particolarmente diverse le protesi realistiche e quelle che invece non assomigliano per nulla a una mano o una gamba in carne e ossa: in entrambi i casi, il cervello classifica le protesi come una categoria a sé, distinta sia dagli arti biologici sia da un semplice strumento estraneo al corpo. Su questi studi si basa il lavoro di diverse persone e aziende che negli ultimi anni stanno lavorando a un tipo di protesi diverso da quello a cui siamo abituati a immaginare, come ha raccontato di recente l’Economist.

Gli esseri umani fanno ricorso a protesi di vario tipo fin dall’antichità. Secondo il giornalista Samanth Subramanian, che si è a lungo occupato del tema, la più antica protesi di cui siamo a conoscenza fu un alluce in legno e cuoio ritrovato nella tomba di una donna egizia mummificata attorno all’anno 1000 prima di Cristo, che con ogni probabilità le permetteva di rimanere in equilibrio e camminare dopo un’amputazione.

Le protesi a cui pensiamo oggi sono fatte di materiali particolarmente resistenti e leggeri, sviluppati inizialmente per il settore aerospaziale, e si dividono soprattutto in due categorie: quelle più realistiche e usate spesso soprattutto per nascondere la mancanza di un arto, ma che hanno funzionalità ridotte, e quelle meccaniche, che offrono una più vasta funzionalità e capacità di movimento ma sono più difficili da nascondere, come quelle usate dagli atleti delle paralimpiadi.

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Per normalizzare e destigmatizzare l’utilizzo quotidiano di protesi non realistiche, evidenziare la personalità dell’utilizzatore e aumentare la gamma di movimenti possibili, negli ultimi anni sempre più aziende, designer, artisti e ingegneri biomedici stanno lavorando allo sviluppo di “protesi espressive”, che siano al contempo molto funzionali ma anche belle o interessanti da indossare. Quella di sentirsi a proprio agio nel proprio corpo è una necessità che viene citata spesso nelle interviste a persone che usano protesi: Kiera Roche, attivista per i diritti delle persone che hanno perso un arto, spiega per esempio che «all’inizio si è molto consapevoli di essere diversi, di essere sfigurati, ma con il tempo ci si adatta e si cambia prospettiva. Nei primi anni il mio obiettivo era cercare di essere normale, indossando abiti che nascondessero il fatto che avevo subìto un’amputazione, ma ora accetto di avere gambe diverse per attività e occasioni diverse». Per questo, ritiene che «avere una protesi davvero bella, realizzata per te, ti fa sentire speciale».

Alcune aziende, come LIMB-art, producono principalmente “cover” colorate per chi ha bisogno di portare una protesi al posto dei propri arti inferiori: in questo caso, non si concentrano tanto sull’aumento di funzionalità quanto sulla volontà di personalizzare le proprie protesi, rendendole così meno realistiche e anche più visibili. LIMB-art è stata fondata nel 2018 dall’ex nuotatore paralimpico gallese Mark Williams con lo scopo di «aiutare gli altri utilizzatori di protesi ad aumentare la propria autostima, a essere orgogliosi di ciò che sono e al contempo a divertirsi e mettersi in mostra».

Un modello venduto da LIMB-art (@limbartcovers, Instagram)

Altri designer lavorano invece a progetti un po’ più radicali: l’artista Sophie de Oliveira Barata e l’ingegnere Dani Clode, per esempio, lavorano da tempo a The Alternative Limb Project, ideando e producendo protesi innovative che si allontanano molto da quelle a cui siamo abituati. Buona parte dei loro modelli è pensata più per essere indossata nel contesto di performance artistiche che per uso quotidiano: alcuni sono realistici, ma in larga parte si tratta di modelli che loro definiscono “surrealisti” o “irreali”, fatti di un’ampia varietà di materiali, dai metalli al cristallo.

Per esempio, per la modella e attivista per i diritti delle persone disabili Kelly Knox, a cui è stata amputata gran parte di un braccio, de Oliveira Barata e Clode hanno creato vari modelli: uno assomiglia a una sorta di lunga liana verde da cui crescono fiori finti; un altro sembra più il tentacolo di una creatura marina. In entrambi i casi, la protesi è manovrata grazie a sensori e altri componenti elettronici tramite Bluetooth, e può muoversi in diversi modi. In altri casi, i due hanno progettato braccia attorno a cui sembra attorcigliarsi un serpente e lunghe gambe appuntite (utilizzate in un video musicale), bellissimi arti bionici da accoppiare ad abiti eleganti e altri che assomigliano in modo piuttosto realistico ai muscoli e le ossa di una gamba.

La modella Kelly Knox indossa un tentacolo dell’Alternative Limb Project (@thealternativelimbproject / Instagram)

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