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  • Lunedì 19 febbraio 2024

Gli allevatori di bufale del casertano protestano da prima degli agricoltori

Perché per debellare un'epidemia di una malattia infettiva, la brucellosi, la Regione Campania ha fatto macellare migliaia di animali

Un agricoltore che fa parte del comitato "Salviamo le bufale" nel suo allevamento di bufale nell'alto casertano, alle pendici del monte Matese, colpito dalla brucellosi (Mauro Pagnano)
Un agricoltore che fa parte del comitato "Salviamo le bufale" nel suo allevamento di bufale nell'alto casertano, alle pendici del monte Matese, colpito dalla brucellosi (Mauro Pagnano)
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Alla fine di gennaio trecento agricoltori e allevatori di bufale si sono incontrati a Grazzanise, un piccolo comune del casertano, nella stalla di Pasquale D’Agostino, un imprenditore agricolo. D’Agostino ha dovuto mandare al macello tutte le sue bufale per un’epidemia di brucellosi, una malattia infettiva di origine batterica. In un post su Facebook ha scritto che «dopo aver fatto lavori per 30mila euro per ammodernare la stalla, come mi avevano chiesto i veterinari dell’Azienda sanitaria locale (ASL) per evitare che gli animali si ammalassero tra loro», è stato costretto ad abbattere tutti gli animali.

D’Agostino ha deciso allora di mettersi in sciopero della fame, e per aiutarlo alcuni artisti napoletani hanno organizzato un concerto nella stalla ormai vuota. Durante la serata gli studenti del conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, guidati dal loro maestro Luca Signorini, hanno intonato un Requiem in memoria della strage delle bufale.

Qualche giorno dopo, quando in tutta Italia si è diffusa la protesta degli agricoltori contro le politiche agricole del governo e dell’Unione Europea, gli allevatori del comitato «Salviamo le bufale» (così si sono chiamati) hanno occupato una rotatoria spartitraffico di fronte allo svincolo autostradale di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Hanno parcheggiato i trattori attorno alla rotonda, e lungo i due lati della strada fino al casello della Roma-Napoli hanno appeso una bandiera tricolore a un ulivo e hanno montato un gazebo che è diventato un punto d’incontro. Da lì si sono mossi per andare a Grazzanise il 9 febbraio, dove hanno lasciato latte e altri prodotti «in conto vendita» davanti a una banca per simboleggiare i debiti contratti da quando è iniziata l’epidemia di brucellosi. Poi sono andati a Roma il 15 febbraio, dove hanno manifestato in piazza del Campidoglio insieme ad agricoltori, balneari e pescatori.

La manifestazione in Campidoglio (Mauro Scrobogna /LaPresse)

La protesta a Grazzanise (ANSA/CESARE ABBATE)

Gli allevatori protestano contro la decisione della Regione Campania di uccidere le bufale malate e anche quelle sane, se nell’allevamento il 20 per cento risulta positivo al test della brucellosi. Parliamo di una malattia infettiva batterica che colpisce gli animali e che si può trasmettere anche agli esseri umani, attraverso il contatto diretto con le bestie infette o con i liquami, per inalazione nelle stalle dove vivono molte bufale, oppure più raramente mangiando mozzarelle e formaggi se il latte non è pastorizzato. I sintomi nelle persone sono simili a quelli di un’influenza, con febbre e spossatezza, ma la differenza è che i sintomi durano alcuni mesi e in qualche caso fino a un anno. Anche se la gran parte dei casi si risolve con una cura antibiotica, tra il 2019 e il 2022 nel casertano venti persone sono finite in ospedale.

Negli animali la brucellosi causa aborti nei periodi avanzati della gravidanza, ma anche infiammazioni nei testicoli e nell’epididimo (cioè le strutture coinvolte nella produzione e nel trasporto degli spermatozoi), con problemi di fertilità. Spesso la malattia è presente in modo silente, il che significa che gli animali infetti potrebbero non mostrare alcun sintomo, mentre contagiano altri individui sani. Per questo è importante isolare e abbattere gli animali malati o che si sospetta possano essere stati contagiati.

La malattia ha cominciato a diffondersi negli allevamenti negli ultimi anni. Nel 2014 arrivò a scadenza il piano della Regione con l’obbligo di vaccinazione per le bufale tra i sei e i nove mesi di vita nelle «zone ad alto rischio». Nei piani successivi poi l’obbligo non è stato rinnovato, secondo la Regione perché le sostanze contenute nel vaccino sarebbero poi finite nel latte e di conseguenza in mozzarelle e scamorze. Nel 2019, per contrastare l’aumento dei casi, venne approvato un piano di eradicazione della malattia che prevedeva l’isolamento e poi l’abbattimento degli animali infetti.

Le misure regionali già allora provocarono molte proteste tra gli allevatori, che inviarono una petizione alla Commissione Europea per chiedere l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti della Campania. Ci furono anche interrogazioni alla Regione, alla Camera dei deputati e al Parlamento Europeo per chiedere di ripristinare la vaccinazione. Nel 2021 la commissaria europea Stella Kyriakides rispose a un’interrogazione dell’europarlamentare dei Verdi Piernicola Pedicini scrivendo che «la Commissione ha raccomandato a più riprese alle autorità italiane la vaccinazione nelle zone con alto tasso di infezione, in cui rientrano le bufale della Campania», sostenendo che «i risultati raggiunti dal piano della Regione sono ben al di sotto degli obiettivi concordati».

Un agricoltore che fa parte del comitato “Salviamo le bufale” nel suo allevamento di bufale nell’alto casertano, alle pendici del monte Matese (Mauro Pagnano)

All’inizio del 2022, in un’area che comprende sette comuni – Cancello ed Arnone, Carinola, Castel Volturno, Francolise, Grazzanise, Santa Maria la Fossa e Sparanise – c’è stato un picco del 18,5 per cento di animali infettati dal batterio. Qui è allevata la metà delle 184mila bufale casertane e l’alta concentrazione – circa 71 animali per chilometro quadrato di territorio – ne ha favorito il contagio, che è stato alimentato anche dalle scarse condizioni igieniche in cui vengono tenuti gli animali in molti allevamenti, e dal ristagno dei residui organici.

Per limitare questa nuova diffusione dell’epidemia, allora, la Regione Campania approvò un altro piano con l’obiettivo di portare il tasso di brucellosi nella «zona ad alto rischio» dal 18,5 per cento a meno del 5 per cento entro il 2027. Le misure approvate prevedono la pulizia dei canali di scolo, l’ammodernamento delle stalle, l’isolamento delle bufale infette e gli abbattimenti dove si sviluppano focolai, con «misure di sostegno alle imprese colpite dalla distruzione o riduzione della mandria». Vuol dire che per ogni bufala abbattuta gli allevatori ricevono un indennizzo di circa 1.500 euro. Per attuare il piano, alla fine di maggio del 2022 la Regione Campania nominò come «commissario straordinario per la gestione dell’emergenza» il generale dei carabinieri Luigi Cortellessa.

Gli allevatori del comitato «Salviamo le bufale» sospettano che dietro le mancate vaccinazioni e gli abbattimenti di massa delle bufale, anche di quelle sane, ci siano interessi economici legati al mercato della carne. La brucellosi infatti si trasmette solo attraverso il latte non pastorizzato e per questo un regolamento europeo ne consente la commercializzazione dopo un controllo del veterinario.

«Da quando la Regione ha dichiarato guerra alla brucellosi sono state abbattute 145mila bufale, sono fallite trecento aziende, abbiamo perso cinquemila posti di lavoro e il 15 per cento delle stalle è vuoto perché gli allevatori stanno ancora aspettando i risarcimenti statali per le bestie uccise», dice il presidente dell’Associazione per la tutela e l’allevamento della bufala mediterranea Andrea Noviello. Nel 2019 nella provincia di Caserta si contavano circa 1.200 allevamenti di bufale, ora secondo gli ultimi dati della Regione sono 766, con 20mila animali in meno rispetto al 2018. L’abbattimento dei capi infetti o potenzialmente contagiati, comunque, è una procedura essenziale e raccomandata dalle autorità sanitarie nei casi di focolai.

Una biologa in un allevamento di Villa Literno dove erano state abbattute quasi tutte le bufale per la brucellosi (Mauro Pagnano)

Bufale in un allevamento di Villa Literno dove erano state abbattute quasi tutte le bufale per la brucellosi. Con un forte investimento hanno riqualificato tutta l’azienda e comprato giovani vitelli (Mauro Pagnano)

Noviello ha dovuto abbattere 180 bufale dei suoi due allevamenti, a Cancello ed Arnone e Mignano Monte Lungo, e per protesta anche lui ha fatto due settimane di sciopero della fame. Sostiene che «il 98,5 per cento degli animali uccisi non fosse malato», perché le analisi batteriologiche su campioni di organi, sangue e tessuti fatte dopo la macellazione «non hanno trovato i batteri della brucella [il nome con cui sono vengono genericamente indicati i batteri che causano la malattia, ndr]». Gli allevatori del comitato «Salviamo le bufale», di cui fa parte, contestano i test sierologici fatti dai veterinari delle ASL.

La procedura prevede un esame detto di «sieroagglutinazione rapida», che individua il batterio in maniera indiretta attraverso un esame degli anticorpi che si sviluppano quando c’è un’infezione. Se un animale risulta positivo di solito si fa una seconda analisi, anche questa indiretta, detta «fissazione del complemento», che analizza la reazione del sistema immunitario all’attacco del batterio.

In una interrogazione presentata al Parlamento Europeo, il deputato dei Verdi Pedicini ha scritto che la Regione Campania utilizza un kit della società Thermo Fisher Scientific di Zurigo, chiamato Bovigam, che «per ammissione del produttore, è indicato esclusivamente per i bufali africani e non per quelli di specie mediterranea», e per questo non sarebbe affidabile nel rilevare con esattezza la brucellosi. «Probabilmente le bufale sono risultate positive ai test perché avevano altre infiammazioni, visto che all’unico test diretto non sono risultate infette», dice ancora Noviello.

«C’è un’alta percentuale di errore, la positività potrebbe essere data da un altro agente patogeno, come la clamidia, che non è pericolosa per l’uomo», spiega Gianni Fabbris, presidente di Altragricoltura, un’associazione del settore che segue la vicenda della brucellosi dall’inizio. Per questo, dice, «se un test ha esito positivo l’animale va isolato e prima di abbatterlo si dovrebbe procedere a ulteriori accertamenti per individuare il batterio, come l’analisi delle feci o un tampone vaginale, oppure bisogna valutare se l’animale proviene da un allevamento infetto».

Un allevamento di bufale nell’alto casertano, alle pendici del monte Matese, colpito dalla brucellosi (Mauro Pagnano)

La Regione Campania invece sostiene che i due test, «combinati fra loro, sono molto affidabili nel rilevare l’infezione negli animali». Ha fatto sapere che nel 2023, su 2.456 animali sottoposti al rilevamento del genoma della brucella dopo la macellazione, il 47 per cento è risultato positivo, mentre su 564 bufale sottoposte all’esame batteriologico 158 sono state trovate infette. Contesta anche le cifre sulle bufale macellate, che sarebbero circa 80mila e non 145mila come sostengono gli allevatori.

In una relazione inviata al Senato il 2 maggio del 2023, il commissario Cortellessa ha scritto che «non abbiamo intenzione di sterminare tutte le bufale presenti nei sette focolai di infezione». Secondo i dati diffusi alla fine di dicembre del 2023, l’incidenza della brucellosi è calata all’11,5 per cento, i comuni coinvolti dall’epidemia sono scesi da sette a cinque e sono state abbattute 6mila bufale, il 50 per cento in meno rispetto al 2021.

Dopo un anno e mezzo, nonostante tutte le misure prese, inclusi gli abbattimenti,  l’incidenza della brucellosi nell’area colpita dal focolaio è calata solo di pochi punti percentuali, dal 18,5 al 13 per cento. Gli allevatori sostengono che il piano non abbia funzionato e abbia messo in difficoltà l’intero comparto e l’economia che ruota intorno alla produzione della mozzarella di bufala casertana, che è esportata in tutto il mondo. Sono stati ricevuti al ministero della Salute, dove hanno chiesto di nominare un commissario governativo, di ripristinare la vaccinazione obbligatoria per gli animali e di macellare solo le bufale infette.

Il commissario Cortellessa invece sostiene che i contagi calino lentamente per il  sovraffollamento nelle stalle e per «lo sversamento illecito di letami e di carcasse di animali e di feti infetti» negli oltre duemila chilometri di canali che finiscono nel fiume Volturno, molti dei quali attraversano le aziende zootecniche. «Durante le ispezioni negli allevamenti, i veterinari dell’ASL di Caserta quasi sempre riscontrano» problemi più o meno gravi di sicurezza che costituiscono un grosso rischio, «se si considera che molti allevamenti, specie nelle zone cluster, sono contigui o distano fra loro poche centinaia di metri», ha scritto nella relazione al Senato. Per cui «se si apre un focolaio di brucella in un allevamento, è altamente probabile che pure quelli si infettino a loro volta».