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  • Domenica 18 febbraio 2024

Cos’è oggi Rafah

Nell'ultima città che Israele non ha ancora attaccato via terra si sono rifugiati 1,4 milioni di persone, molte delle quali abitano in tendopoli in pessime condizioni sanitarie

Tre bambini palestinesi in una tendopoli a Rafah, nella zona a sud della Striscia di Gaza
Tre bambini palestinesi in una tendopoli a Rafah, nella zona sud della Striscia di Gaza (Ahmad Hasaballah/Getty Images)
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Rafah è l’ultima grande città della Striscia di Gaza che Israele non ha ancora attaccato via terra nella guerra contro Hamas. Da ottobre, quando sono iniziati i bombardamenti dell’esercito israeliano sulle città della Striscia di Gaza che hanno causato 30mila morti, quasi un milione e mezzo di persone ha lasciato le altre città per spostarsi a sud, al confine con l’Egitto, in una zona che lo stesso esercito aveva definito sicura.

In poche settimane a Rafah sono state costruite tendopoli e accampamenti. La popolazione è senza medicinali, con poco cibo e acqua potabile, senza la possibilità di spostarsi da altre parti. Nonostante le pessime condizioni sanitarie e il sovraffollamento, la scorsa settimana il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva annunciato un’imminente invasione dell’area, per ora fermata in seguito alla pressione della comunità internazionale.

Prima dell’inizio della guerra nel governato di Rafah, una divisione amministrativa accomunabile a una provincia italiana, abitavano circa 275mila persone. Con i suoi 64 chilometri quadrati, era già una delle aree più densamente popolate della Striscia di Gaza che a sua volta è una delle aree più densamente popolate al mondo. Secondo le stime diffuse da diversi media internazionali, oggi a Rafah vivono 1,4 milioni di persone. La popolazione è aumentata di almeno cinque volte e la densità della popolazione è arrivata a 22mila persone per ogni chilometro quadrato. Nella città di Milano, per avere un termine di paragone, la densità è di circa duemila persone per chilometro quadrato.

A ovest della città molti palestinesi hanno cercato rifugio nell’area di Muwasi, lungo la costa, su spiagge in precedenza disabitate: era stata dichiarata “zona sicura” dall’esercito israeliano, anche se nelle ultime settimane sono stati segnalati attacchi. Ma anche tutta la zona fra la città e il mare, fatta per lo più di dune e deserto, è stata occupata da tende, così come le piazze, i parchi e le strade di Rafah. Le strutture dell’ONU, principalmente scuole, sono sovraffollate, mentre in un solo appartamento vivono ora fino a 30 persone. Si stima che attualmente a Rafah ci siano oltre 600mila minori.

In queste foto satellitari affiancate si può notare l’aumento della densità avvenuto tra ottobre e la metà di gennaio. Nelle ultime settimane, in seguito all’intensificarsi dei bombardamenti dell’esercito israeliano, la popolazione a Rafah è ulteriormente aumentata.

A Rafah manca qualsiasi cosa. La rete elettrica è quasi inesistente. Le persone cercano di arrangiarsi con pannelli solari, l’unico modo per caricare i telefoni cellulari. Code e lunghi spostamenti sono necessari anche per arrivare alle cisterne che distribuiscono acqua potabile, mentre il 90 per cento della popolazione di Rafah mangia meno di un pasto al giorno, secondo l’ONU. I generi alimentari, quando disponibili, sono aumentati di prezzo anche di dieci volte, un singolo uovo può costare circa un euro. Gli aiuti umanitari non raggiungono tutti e in un contesto di crescente bisogno sono comuni gli assalti ai tir che li trasportano, per accaparrarsi razioni di cibo.

Mancano anche i medicinali. Gli ospedali ancora attivi, fra cui l’Abu Yousef Al Najjar e l’Al Kuwaiti, faticano a gestire anche solo le emergenze causate dai bombardamenti. Sebbene il collasso del sistema sanitario di Gaza abbia reso difficile tenere traccia dei numeri esatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato almeno 369mila casi di malattie infettive dall’inizio della guerra, utilizzando i dati raccolti dal ministero della Sanità di Gaza e dall’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi.

Netanyahu ha detto che l’obiettivo della prossima operazione sarà distruggere quattro battaglioni di Hamas che l’intelligence israeliana ritiene siano a Rafah: ha ordinato ai vertici militari di studiare un piano di evacuazione per i civili, che però è decisamente complesso. Anche gli alleati, fra cui gli Stati Uniti, hanno evidenziato come un’operazione militare in queste condizioni non sia sostenibile, perché causerebbe un numero elevatissimo di perdite civili.

Tutte le altre città della Striscia di Gaza sono state bombardate dall’esercito israeliano. L’analisi dei dati satellitari mostra che non sono rimasti molti altri posti dove rifugiarsi. Si stima che in tutta la Striscia di Gaza sia stata danneggiata o distrutta circa la metà degli edifici.

Lunedì scorso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto nuovamente al governo israeliano di fare tutto il possibile per abbandonare i piani di invadere Rafah, l’ultima grande città della Striscia di Gaza che Israele non ha ancora attaccato via terra nel corso della guerra contro Hamas. Biden ha ripetuto che «una grande operazione militare» a Rafah non dovrebbe essere effettuata senza un piano credibile per garantire la sicurezza dei tanti civili palestinesi sfollati che sono rifugiati in città.

Negli ultimi giorni video e immagini satellitari verificate in modo indipendente hanno mostrato che l’Egitto sta costruendo alcune strutture nella zona a ridosso di Rafah. Non è ancora chiaro a cosa potrebbero servire le strutture, tanto più che il governo egiziano nega che siano in corso lavori, ma l’ipotesi più probabile è che l’Egitto stia creando una zona in cui accogliere e al tempo stesso rinchiudere i palestinesi che scapperanno una volta che Israele avrà attaccato Rafah.

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