Quando inizia l’arte contemporanea?

La proposta di superare il criterio del 1900 come ultima data possibile di realizzazione dei dipinti esposti alla National Gallery di Londra ha aperto un dibattito sulla difficoltà di fissare dei limiti

Un dipinto nella tonalità principale del verde, che mostra file di lunghi alberi dal punto di vista di un osservatore che si trova alla convergenza di tre sentieri che si diramano nel bosco
Il dipinto Woldgate Woods II del pittore inglese David Hockney alla casa d’aste Sotheby’s, a Londra, il 22 giugno 2022 (AP Photo/Alberto Pezzali)
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All’inizio di febbraio il critico d’arte inglese Julian Spalding, ex direttore di alcuni dei più importanti musei del Regno Unito, ha inviato una lettera alla National Gallery di Londra, uno dei musei di arte moderna più famosi al mondo. Rivolgendosi all’attuale direttore Gabriele Finaldi, Spalding ha proposto al museo di revocare una decisione presa negli anni Novanta di non esporre dipinti realizzati dopo il 1900. Da allora, sulla base di un accordo, i dipinti successivi a quella data furono infatti ceduti alla Tate, il complesso museale di arte moderna e contemporanea di cui fa parte la Tate Modern (ma anche Tate Britain, Tate Liverpool e Tate St Ives).

Indipendentemente dalle ragioni contingenti che portarono all’accordo tra i due musei, la lettera di Spalding ha stimolato un dibattito sull’opportunità di fissare rigidi limiti temporali anziché tematici o di altro tipo nella selezione delle collezioni da esporre nei musei, e in generale sull’ambiguità e la mutevolezza delle periodizzazioni convenzionali della storia dell’arte del Novecento. Una delle questioni, in parte valida anche in altri ambiti della cultura e nel discorso comune, è se il nostro rapporto con il tempo che passa influisca sul significato di “contemporaneo” e di altre espressioni che utilizziamo abitualmente per definire i fenomeni a noi coevi. Per certi versi è una questione simile a quella che potrebbe porsi in futuro quando espressioni come “anni Venti” o “anni Trenta”, in assenza di altre indicazioni contestuali, smetteranno di avere un riferimento implicito al Novecento.

Parte dell’ambiguità della parola “contemporaneità” è dovuta prima di tutto al fatto che il significato che ha nell’arte non coincide con quello che ha nel linguaggio comune, dove i confini tra la definizione di contemporaneo e quella di moderno sono molto sfumati, e spesso le due parole sono utilizzate come sinonimi. Consideriamo sia un prodotto contemporaneo a noi che moderno nel senso di peculiare del nostro tempo, per esempio, una famosissima e imitata lampada da terra: la lampada Arco. Che fu progettata però oltre sessant’anni fa, da Achille e Pier Giacomo Castiglioni. È probabile quindi che a legittimare la sua appartenenza alla contemporaneità nel linguaggio e nell’immaginario comune contribuisca la sua popolarità duratura nel tempo, anche commerciale, più che la distanza tra la sua data di progettazione e il presente: distanza inevitabilmente destinata ad aumentare.

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D’altro canto definire l’arte contemporanea come quella prodotta da artisti viventi, per esempio, fornirebbe punti di riferimento stabili per chi parla, per quanto arbitrari e casuali, ma non può essere il criterio con cui stabilire nel corso del tempo l’appartenenza o meno di un artista a un certo periodo della storia dell’arte, a quello precedente o a quello successivo.

La proposta di spostare alcuni dipinti dalla Tate alla National Gallery è sostenuta dalla convinzione che il criterio del 1900 impedisca di apprezzare una continuità tra l’estetica dell’Ottocento e quella del Novecento, ma anche dall’idea che far parte della collezione della National Gallery implichi per gli artisti avere una certa rilevanza “storica”, maggiore o comunque diversa rispetto a quella normalmente attribuita agli artisti esposti alla Tate.

Un uomo scatta una fotografia con una reflex a uno di due dipinti molto simili che mostrano dei girasoli in un vaso

Due dipinti della serie I girasoli del pittore olandese Vincent Van Gogh esposti alla National Gallery, a Londra, il 24 gennaio 2014 (Mary Turner/Getty Images)

La ragione della perplessità suscitata dalla scelta della National Gallery di considerare il 1900 come limite temporale rilevante per le proprie collezioni è la sostanziale debolezza del criterio, dovuta alla mancanza di avvenimenti significativi a cui correlare quella data. Tra gli storici dell’arte la distinzione tra periodi si basa di solito su date scelte per convenzione a partire da determinati avvenimenti storici, pubblicazioni o innovazioni tecnologiche, e non sempre con approcci unanimemente condivisi. Come data di inizio del Rinascimento nell’arte, per esempio, si prende in considerazione il 1401 perché in quell’anno fu bandito a Firenze un famoso concorso per la decorazione in bronzo della Porta Nord del Battistero di San Giovanni, a cui parteciparono tra gli altri Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti.

La maggior parte degli storici e dei critici definisce arte moderna in Occidente quella prodotta tra gli anni Sessanta dell’Ottocento e gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, e arte contemporanea tutta quella prodotta dopo quella data. Il discorso è reso piuttosto scivoloso prima di tutto dalla mancanza di uniformità tra gli studiosi nella scelta delle date convenzionali di inizio e di fine dei periodi. Ma lo è anche perché quei periodi non coincidono con i periodi che nella comune periodizzazione della storia indicano la modernità (dalla scoperta dell’America nel 1492 alla Rivoluzione francese nel 1789) e la contemporaneità (dalla Rivoluzione francese al tempo presente).

Molti indicano come inizio dell’arte moderna la data scelta per convenzione come inizio dell’Impressionismo: il 1863, anno dell’esposizione del famoso dipinto Colazione sull’erba del pittore francese Édouard Manet al Salon des Refusés a Parigi. La data della fine è più incerta, perché cambia a seconda di quale corrente successiva all’arte moderna (l’arte concettuale, la Pop Art o altre) viene considerata più influente su un generale cambio dell’estetica e delle sensibilità artistiche.

Una enorme tela del colore della ruggine, senza raffigurazioni

Un dipinto della serie Seagram murals del pittore statunitense Mark Rothko esposto alla Tate Britain, a Londra, il 15 ottobre 2020 (John Phillips/Getty Images)

Indipendentemente dalle date esistono infatti tra l’arte moderna e quella contemporanea soprattutto differenze concettuali ed estetiche che aiutano a distinguere una produzione dall’altra. La prima si basò su una rottura con le tradizioni e i movimenti artistici che l’avevano preceduta: artisti come Manet non solo raffiguravano scene di vita “moderna”, appunto, ma lo facevano rifiutando i precedenti tentativi neoclassici di imitazione del mondo reale attraverso la prospettiva o altre tecniche. La tendenza a concentrare l’attenzione sul tratto del pennello e quindi sul “mezzo” – sull’opera d’arte in sé, più che su ciò che rappresentava – ispirò successive generazioni di artisti di molti altri movimenti, dal cubismo al surrealismo all’espressionismo, per questo motivo generalmente inclusi nell’arte moderna.

Definire l’arte contemporanea è invece più problematico: prima di tutto perché i confini tendono a spostarsi man mano che il tempo passa. Per lungo tempo è stata considerata arte contemporanea quella prodotta dopo il Secondo dopoguerra (ancora oggi il 1945 è una delle date convenzionali utilizzate per indicarne l’inizio). Ma negli ultimi decenni è diventato più comune indicare come inizio gli anni Sessanta del Novecento.

Sul piano delle differenze concettuali rispetto alla modernità i tentativi di definire l’arte contemporanea sono invece complicati dalla mancanza di un principio organizzatore comune tra fenomeni artistici che sono eterogenei e in continua evoluzione, in alcuni casi anche distanti nel tempo, ma percepiti come ancora influenti sul presente. È associata all’arte contemporanea una certa estetica della citazione e un’idea dell’opera d’arte come performance, per esempio. Ma a seconda della corrente artistica presa in considerazione e delle particolari prospettive assunte di volta in volta è possibile riscontrare una parziale continuità rispetto ad approcci già esplorati in precedenza, oppure l’origine di idee e nozioni incentrate sul superamento della modernità.

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La National Gallery fu fondata nel 1824 e ospita una collezione di oltre Duemila dipinti datati tra la metà del XIII secolo e il 1900: niente arte contemporanea, quindi, ma nemmeno tutta quella moderna, stando alle più comuni distinzioni cronologiche tra l’una e l’altra. Nella lettera inviata al museo Spalding ha scritto che la scelta di non includere dipinti realizzati dopo il 1900 suggerisce implicitamente l’idea fuorviante che da allora «la pittura sia morta come grande forma d’arte». Ha quindi suggerito di revocare quella scelta, in occasione del bicentenario della fondazione del museo, e di aggiungere alla collezione dipinti di grandi pittori del Novecento (alcuni dei quali viventi) conservati alla Tate Modern.

Una donna seduta su una panchina al centro di una sala del museo, davanti a quattro dipinti

Quattro dipinti del pittore norvegese Edvard Munch esposti durante una mostra alla Tate Modern, a Londra, il 26 giugno 2012 (Oli Scarff/Getty Images)

Spalding ha sostenuto che la revoca del limite del 1900 permetterebbe non soltanto di dimostrare che «l’arte della pittura è ancora molto viva», ma di ampliare notevolmente la rappresentanza delle artiste e quella dell’arte di molte culture diverse, riflettendo in modo più completo e appropriato la storia recente e il presente del Regno Unito. Citando come esempio il dipinto di Vincent Van Gogh La sedia, realizzato nel 1888 e acquisito dal museo appena 34 anni dopo, ha inoltre respinto la possibile obiezione secondo cui la grandezza di un artista non possa essere determinata in tempi relativamente brevi.

L’accordo tra la National Gallery e la Tate, che fu fondata nel 1897, risale ai primi anni Novanta. In diverse collezioni esposte prima di allora la National Gallery aveva utilizzato spesso classificazioni basate sulla nazionalità delle diverse scuole artistiche, indipendentemente dalla data dei dipinti. Sotto la direzione dello storico dell’arte Neil MacGregor, tra il 1987 e il 2002, fu invece preferita una classificazione cronologica per concentrare l’attenzione sulle influenze reciproche tra culture diverse, indipendentemente dalla nazionalità delle scuole artistiche.

Nel 1996, dopo decenni di relazioni piuttosto fredde tra i due musei, la National Gallery e la Tate Gallery, dedicata all’arte moderna e contemporanea, concordarono sulla scelta del 1900 come data spartiacque. Sulla base dell’accordo, che fu in seguito rinnovato e al momento non sembra essere in discussione, secondo il Guardian, la National Gallery trasferì in prestito a lungo termine alla Tate 14 dipinti realizzati dopo il 1900 e ne ricevette dalla Tate 51 realizzati prima di quell’anno, tra cui importanti dipinti del pittore francese Paul Gauguin, tra i maggiori esponenti del post-impressionismo.

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Come scritto da Spalding nella lettera, trasferire dipinti da un museo all’altro sarebbe piuttosto rapido ed economico: «il costo del furgone», come avveniva in passato. Ha indicato nello specifico una decina di dipinti posseduti dalla Tate, alcuni dei quali nemmeno esposti al pubblico, che secondo lui avrebbe senso esporre alla National Gallery. Tra questi un autoritratto del 1902 della pittrice gallese Gwen John, Il poeta sdraiato del 1915 del pittore franco-russo Marc Chagall, I tre ballerini del 1925 dello spagnolo Pablo Picasso, Metamorfosi di Narciso del 1937 dello spagnolo Salvador Dalí, Late morning del 1967-68 dell’inglese Bridget Riley (una delle principali esponenti della Optical Art) e My Parents del 1977 dell’inglese David Hockney.

Tre persone osservano un dipinto composto da linee orizzontali, che formano un'illusione ottica

Il dipinto di Bridget Riley “Persephone 1” alla casa d’aste Sotheby’s, a Londra, il 31 giugno 2011 (AP Photo/Matt Dunham)

In generale esiste un certo accordo nel considerare privo di significato il criterio del 1900, come ogni altro criterio rigidamente basato su date specifiche. Ma come osservato da alcuni critici uno dei diversi fattori che influenzano le scelte dei musei, a parte i criteri legati ai periodi storici o alle correnti artistiche, è banalmente lo spazio che hanno a disposizione. Gli spazi della National Gallery non sono ampi come quelli del Metropolitan Museum of Art di New York, per esempio, e cercare di includere in una stessa collezione dipinti di più epoche rischia di “diluire” e impoverire collezioni che magari avrebbe invece senso tenere separate.

Esistono inoltre ragioni economiche e volontà di mantenere distinzioni note e consolidate tra le collezioni dei due musei. «La National Gallery ha mostrato molta creatività negli ultimi anni, facendosi pubblicità nei centri commerciali, per esempio. Ma al momento è tutto in una situazione in cui non ci sono né i soldi né le circostanze per ottenere grandi cambiamenti», ha detto al Guardian Roy Strong, direttore della National Portrait Gallery e del Victoria and Albert Museum a Londra.

Strong ha comunque definito una bella idea revocare la soglia del 1900, e ha aggiunto che «prima o poi ci sarà una crisi e un ripensamento radicale di come guardiamo le immagini del passato». Alex Kidson, ex curatore d’arte alla Walker Art Gallery di Liverpool, ha concordato sul fatto di spostare in avanti la soglia del 1900, ma ha suggerito di mantenere comunque una soglia temporale – il 1945, per esempio – per limitare la scelta possibile. In questo modo si ridurrebbero anche le inevitabili discussioni su quali artisti della contemporaneità sia o non sia il caso di ritenere «effettivamente degni di entrare nella National Gallery».

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