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  • Lunedì 12 febbraio 2024

I graffiti su questi grattacieli di Los Angeles

Sono un modo per riappropriarsi di un complesso da un miliardo di dollari incompiuto dal 2019, o almeno per far parlare del problema

I grattacieli con i graffiti a Los Angeles, il 2 febbraio
Los Angeles, 2 febbraio (Ringo Chiu/ SOPA Images via ZUMA Press Wire, ANSA)
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Tra fine gennaio e inizio febbraio alcune persone hanno scavalcato le recinzioni di un complesso abbandonato in centro a Los Angeles e disegnato sulle facciate dei suoi tre grattacieli incompiuti graffiti e “tag”, le tipiche firme stilizzate che secondo i pareri più critici sulla street art hanno poco di artistico. Le immagini dei grattacieli graffitati hanno attirato molta attenzione, non solo perché si trovano di fronte all’arena dove domenica scorsa si erano tenute le premiazioni dei Grammy, cioè i principali premi dell’industria discografica statunitense, ma anche perché secondo Forbes quelli dovevano diventare i grattacieli residenziali più alti della città.

I grattacieli fanno parte di un complesso da un miliardo di dollari chiamato Oceanwide Plaza, che avrebbe dovuto ospitare negozi, hotel e appartamenti di lusso. Era uno dei progetti più imponenti nel quartiere del Downtown, ma fu bloccato quando la società cinese che lo stava realizzando dichiarò fallimento.

Secondo la stampa statunitense gli street artist sarebbero almeno una decina e avrebbero fatto le proprie scritte nel giro di tre notti, salendo più di 25 piani a piedi, peraltro in condizioni di sicurezza precarie. Il loro gesto ha provocato le proteste di alcuni abitanti della zona: mercoledì la polizia di Los Angeles, che aveva subito promesso di intervenire, ha detto di aver arrestato quattro persone, al momento sotto indagine per «numerosi crimini».

Dietro ai graffiti sui grattacieli di Los Angeles non c’è un movimento artistico omogeneo, ma piuttosto un’iniziativa di partecipazione spontanea, che la professoressa del Pitzer College Susan Phillips, esperta di arte urbana, ha definito «forse la più leggendaria nella storia di Los Angeles». Per Stefano Bloch, che insegna Geografia culturale all’Università dell’Arizona, l’operazione di questi street artist è «un commento potente» su chi ha il diritto di sfruttare gli spazi nelle città. Parlando con il New York Times, Bloch ha detto che si tratta di «persone che si prendono la responsabilità di usare uno spazio che per molti versi era stato abbandonato da altre persone con soldi e potere».

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