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  • Lunedì 12 febbraio 2024

L’ultima trasformazione politica di Imran Khan, dal carcere

L'ex primo ministro del Pakistan ha di fatto vinto le elezioni benché si trovi in prigione, dopo una lunghissima storia di cadute, scontri e rinascite

Una protesta contro l'incarcerazione di Imran Khan dopo i risultati delle elezioni (REUTERS/Akhtar Soomro)
Una protesta contro l'incarcerazione di Imran Khan dopo i risultati delle elezioni (REUTERS/Akhtar Soomro)
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I risultati delle elezioni in Pakistan, arrivati domenica, costituiscono l’ultima svolta sorprendente della carriera politica di Imran Khan, l’ex primo ministro del paese che da mesi è in carcere con accuse che lui e i suoi sostenitori ritengono pretestuose. In maniera inaspettata e contro tutte le previsioni degli analisti le elezioni sono state vinte dai candidati vicini a Khan, che hanno battuto i partiti sostenuti dall’esercito, che ha un’enorme influenza nel paese.

Questa vittoria è un segno della grande popolarità di Imran Khan, che prima di diventare politico era un grande campione di cricket molto amato in Pakistan e all’estero. È anche un elemento di forte incertezza per il sistema politico pachistano, dove con ogni probabilità rischiano di riproporsi gli scontri in corso da mesi tra i sostenitori di Khan e quelli dell’esercito.

Alle elezioni i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti sono stati quelli che facevano parte del partito di Khan, il Movimento per la Giustizia (PTI). Si parla di singoli candidati, e non di partito, perché alle elezioni si sono dovuti presentare come indipendenti, dopo che il PTI era stato reso illegale da una sentenza della Corte Suprema del Pakistan. È stata una delle tante misure con cui le istituzioni pachistane, in gran parte controllate in modo più o meno diretto dall’esercito, hanno cercato di contrastare il partito dell’ex primo ministro Khan.

Gli ex membri del PTI hanno ottenuto 93 seggi parlamentari, mentre la Lega musulmana del Pakistan (PML-N), il partito dell’altro ex primo ministro Nawaz Sharif che gode del sostegno dell’esercito, ne ha ottenuti 73. Né il PTI né il PML-N, comunque, hanno ottenuto voti a sufficienza per avere la maggioranza in parlamento, cioè 169 seggi.

Una manifestazione a Karachi (AP Photo/Fareed Khan)

La vittoria dei candidati vicini a Khan, in ogni caso, è stata letta come un importante segnale di sfida da parte degli elettori al potere dell’esercito del Pakistan, che di fatto ha sempre indirizzato la scelta dei primi ministri. I militari hanno enormi interessi economici in tutto il paese, gestiscono buona parte dei media e della propaganda e godono di leggi speciali che di fatto consentono di imporre pene molto gravi a chiunque li critichi.

La vittoria degli ex membri del PTI è arrivata anche in circostanze piuttosto rocambolesche, e nonostante la dura repressione delle attività politiche da parte dell’esercito. I candidati dell’ex PTI – quelli che non sono stati colpiti da misure giudiziarie – hanno sfruttato una grandissima mobilitazione popolare passata soprattutto da internet e dai social media: i raduni vietati del partito sono stati sostituiti da appuntamenti online, il passaparola sui social e su Whatsapp è stata la principale arma di mobilitazione dell’elettorato, e sono stati creati anche dei comizi di Khan sfruttando strumenti di intelligenza artificiale.

Tra le altre cose, dopo la vittoria il team di Khan ha fatto circolare un suo “deepfake”, cioè un falso video creato con software di intelligenza artificiale, in cui Khan, che si trova in prigione e non può comunicare con il pubblico, pronuncia un discorso della vittoria. Il video è qui sotto, e sia l’audio sia il video sono stati riprodotti artificialmente. Il testo del discorso, invece, è stato approvato personalmente da Khan, a detta del suo team.

La storia del rapporto tra Imran Khan e l’esercito è lunga e accidentata, e non è stata sempre conflittuale. Nel 2018 Khan era diventato primo ministro proprio grazie al sostegno dei militari, ma ne aveva perso i favori fino a essere deposto nel 2022. Oggi è il più radicale e seguito critico del potere dell’esercito.

Dopo una brillante carriera sportiva, Khan entrò in politica nel 1996 fondando un nuovo partito, il PTI (Movimento per la Giustizia), ma per circa un decennio rimase una figura marginale nella politica pachistana, con pochi o nessun seggio in parlamento. Le cose cambiarono a metà degli anni Dieci, quando il capo di stato maggiore dell’esercito Qamar Javed Bajwa decise di sfruttare la popolarità di Khan per promuovere il PTI come terza forza politica del paese e contenere l’influenza dei due partiti principali, il PPP (Partito Popolare Pachistano) e il PML-N (Lega Musulmana del Pakistan).

Secondo numerose ricostruzioni i militari manipolarono i risultati delle elezioni del 2018 per attribuire a Khan la vittoria e farlo diventare primo ministro. Nel giro di pochi anni, però, il rapporto tra Khan e il capo di stato maggiore Bajwa cominciò a peggiorare: l’esercito era insoddisfatto dei terribili risultati economici del governo di Khan e dei numerosi tentativi del primo ministro di rendersi indipendente dal controllo dei militari. Così alla fine dell’anno scorso i militari tornarono a usare la loro influenza per convincere il PPP e il PML-N a votare in parlamento la sfiducia contro Khan e a destituirlo.

Khan è tutt’altro che un leader riformista e un democratico sincero: nei suoi quattro anni di governo è stato più volte accusato di tendenze autoritarie e di aver tentato di reprimere l’opposizione. Liberista in politica economica, ispirato da princìpi musulmani, durante il suo mandato Khan si fece notare a livello internazionale per un certo avvicinamento del Pakistan alla Cina e soprattutto alla Russia.

La sua destituzione finì per rinsaldarne il legame con i sostenitori, che si stava indebolendo per i pochi risultati ottenuti dal suo governo. Gli permise anche di proporsi con un nuovo approccio: Khan cominciò una campagna durissima contro l’esercito, con enormi manifestazioni in tutto il Pakistan, in cui chiedeva nuove elezioni libere.

Imran Khan scortato dalla polizia all’arrivo al tribunale di Islamabad, Pakistan, a maggio 2023 (AP Photo/Anjum Naveed, File)

Inizialmente l’esercito fu preso alla sprovvista dalla ribellione di Khan. Nel maggio del 2023 Khan fu arrestato con un’accusa di corruzione, ma fu rapidamente liberato da una sentenza della Corte Suprema, anche a seguito delle enormi proteste dei suoi sostenitori, che avevano attaccato vari edifici di pertinenza dell’esercito. Poi la repressione dei militari diventò molto più dura e ad agosto Khan fu condannato una prima volta per corruzione: ora le condanne a suo carico sono quattro, per dodici differenti reati, con pene complessive per 34 anni di carcere. Migliaia di sostenitori di Khan sono stati arrestati negli ultimi mesi, così come la quasi totalità dei dirigenti del suo partito, che è stato dichiarato illegale.

Khan era anche stato ferito a una gamba in un attentato a novembre del 2022 a Wazirabad, nella regione del Punjab: durante un comizio un uomo aveva iniziato a sparare, uccidendo una persona e ferendone 14, fra cui l’ex primo ministro.

Manifesti elettorali per le strade di Lahore (AP Photo/K.M. Chaudary)

Al momento non è chiaro come la vittoria elettorale di Khan influenzerà la vita politica pachistana nei mesi a venire: il partito dell’ex primo ministro Nawaz Sharif è formalmente il vincitore delle elezioni (perché i candidati dell’ex partito di Khan sono formalmente indipendenti, e non hanno un partito) e cercherà alleati per un governo di coalizione, ma secondo molti osservatori, fra cui l’ex primo ministro Shahid Khaqan Abbasi «ogni governo che non includa Khan sarà considerato illegittimo. L’unica via percorribile sembra una coalizione con il suo partito, ma non è scontato che l’esercito lo accetti».

Lo scontro politico, che già negli scorsi mesi ha portato a proteste animate e attacchi a uffici pubblici e militari, potrebbe diventare ancora più radicale, in un paese da 240 milioni di abitanti che nei suoi 76 anni di storia non ha mai sviluppato una reale forma democratica indipendente dal potere militare.