Le “carrambate” sono cambiate

Le trasmissioni televisive sono sempre meno centrali rispetto alle pagine Facebook, che hanno cambiato il modo di cercare persone perse di vista da anni o addirittura decenni

Foto in bianco e nero di persone
Alcune foto di famiglia in una casa di Alken, in Belgio, nel 2020 (AP Photo/Francisco Seco)
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Lo scorso dicembre Nadia ha ritrovato uno zio che cercava da oltre vent’anni. Lo zio fu adottato quando aveva sei anni, nel 1978: secondo la sua famiglia, in particolare secondo la testimonianza della madre, cioè la nonna di Nadia, fu adottato in modo non consensuale. Quando era bambino venne portato in ospedale per un infortunio, lì i medici fecero firmare alla madre alcuni documenti. La madre era analfabeta e firmò senza controllare, fidandosi. Da quel momento il bambino le fu portato via. Come accertò un avvocato a cui la famiglia si affidò tempo dopo, in realtà quei documenti servivano a dichiarare lo stato di adozione del bambino. Diverse inchieste hanno dimostrato che in passato questo tipo di affidi o adozioni non consensuali avvenivano piuttosto spesso, soprattutto ai danni di famiglie senza molti mezzi per capire.

In tutto questo tempo Nadia ha fatto di tutto per ritrovare lo zio: si è rivolta a trasmissioni televisive e servizi sociali, blog su internet, sempre senza successo. Ci è infine riuscita attraverso una pagina Facebook chiamata “Ti Cerco. appelli di persone che cercano le loro origini e i propri cari”.

La diffusione di queste pagine ha cambiato il modo in cui si cercano parenti o conoscenti persi di vista da anni o addirittura decenni. Fino a una decina di anni fa ci si poteva affidare alle agenzie di investigazioni private, agli annunci sui giornali oppure a trasmissioni televisive come Carràmba! Che sorpresa di Raffaella Carrà, in onda tra gli anni Novanta e Duemila e vista ogni sabato sera da milioni di persone. Proprio da Carràmba deriva carrambata, un neologismo utilizzato per descrivere un incontro inatteso con una persona di cui non si avevano notizie da anni. È una parola che sta andando sempre più in disuso a causa dei social: da quando Facebook ha iniziato a essere utilizzato da milioni di persone in Italia e nel mondo, l’approccio a questo tipo di ricerche è completamente cambiato.

La pagina “Ti Cerco” esiste dal 2016 e non è l’unica di questo tipo. Su Facebook ce ne sono diverse, come questa, ma “Ti Cerco” è una delle più citate tra le persone che frequentano questi siti. Ha oltre 307mila iscritti, che nel corso degli anni hanno contribuito alla sua funzione principale: non tanto effettuare concretamente le ricerche, ma far girare il più possibile gli annunci con migliaia di condivisioni. Da alcune settimane la pagina “Ti Cerco” è stata hackerata, e le tre amministratrici non riescono a riprenderne il controllo: ne hanno aperta un’altra, che però deve ricostruire tutto il seguito perso.

I post «arrivano ovunque», dice una delle sue amministratrici, Rossella Pannocchi: per esempio in Argentina, in Brasile e in Polonia, tre paesi di casi reali gestiti grazie alla pagina. Ad aver cambiato il modo di trovare le persone perse, infatti, è soprattutto la condivisione e ricondivisione degli annunci, un passaparola estremamente amplificato che può arrivare in paesi molto lontani, dall’altra parte del mondo così come nelle piccole frazioni dei comuni italiani.

«Capita che gli annunci vengano letti dalla signora del piccolo paese che magari ha sentito dei pettegolezzi: vede su Facebook e ci segnala una persona, magari proprio quella che chi ha scritto l’annuncio sta cercando», dice un’ex amministratrice della pagina che preferisce restare anonima. A differenza di Pannocchi, lei ha indagato in prima persona su alcuni casi e non vuole essere coinvolta nelle questioni familiari delle persone di cui ha permesso il ritrovamento.

Grazie a pagine come “Ti Cerco” è cambiato anche il lavoro di chi si occupa delle ricerche per le trasmissioni televisive, giornalisti e autori. Oltre a Carràmba!, le più note sono C’è posta per te di Maria De Filippi, Così lontani così vicini, I fatti vostri, ItaliaSì!.

In passato erano soprattutto le persone in cerca di parenti o conoscenti a contattare le trasmissioni, le cui redazioni effettuavano poi le ricerche più approfondite. Spesso le storie nascevano anche da notizie raccontate da giornali locali oppure su spinta dei cosiddetti ganci, cioè parenti o amici che conoscevano delle storie e aiutavano le redazioni a combinare gli incontri a sorpresa.

Alcune di queste trasmissioni vanno in onda anche oggi con un discreto successo, ma ora le pagine social hanno facilitato il lavoro. Pannocchi dice che la sua pagina è stata contattata in varie occasioni da redattori e redattrici di trasmissioni televisive in cerca di storie, magari le più dolorose o spettacolari, attorno a cui costruire le puntate. «Ci sono trasmissioni che cercano storie di ritrovamenti già avvenuti, altre che cercano persone alla ricerca di parenti mai conosciuti o da cui sono stati divisi alla nascita: abbiamo sempre fornito le storie gratuitamente», dice.

Nelle puntate televisive, anche per il tipo di programmi, si insiste molto sul lato emotivo, spesso senza approfondire quelle che secondo Pannocchi sono «ingiustizie»: si riferisce in particolare a diverse storie di adozioni non consensuali a danno di donne che decenni fa non avevano gli strumenti per opporsi o decidere per loro stesse. Secondo le ricostruzioni di Pannocchi, basate sulle testimonianze raccolte negli ultimi anni, questo tipo di adozioni illegali è stato fatto anche in strutture pubbliche e in case famiglia. Ci sono poi storie di nati da parto in anonimato che cercano la donna che li ha partoriti, una possibilità prevista dalla legge ad alcune condizioni.

– Leggi anche: I nati da parto in anonimato che vogliono rintracciare le proprie origini biologiche

In moltissimi casi a cercare i parenti biologici sono persone che hanno scoperto da adulte e in autonomia di essere state adottate (in Italia la legge 184 del 1983, quella sulle adozioni, prevede all’articolo 28 l’obbligo di informare le persone adottate della loro condizione). Su “Ti Cerco” si trovano anche annunci di persone che hanno un semplice interesse a rintracciare le proprie origini, persone che cercano parenti per conto di altri (magari parenti anziani che non utilizzano internet). C’è chi cerca il proprio compagno di servizio militare, chi vuole rintracciare ex compagni di scuola e chi cerca persone conosciute anni prima in vacanza.

Sulla pagina ci sono anche annunci stranieri, scritti in altre lingue o verosimilmente tradotti con un traduttore automatico, tra cui un annuncio di una famiglia tunisina che cerca i propri nipoti partiti con un’imbarcazione di fortuna verso l’Europa. C’è anche chi cerca oggetti perduti o proprietari di oggetti trovati, come nel caso di un annuncio che mostra la foto di una medaglietta con sopra un nome, trovata in un ex campo di prigionia nazista.

Nadia dice che per ritrovare suo zio ha condiviso lo stesso annuncio sulla pagina “Ti Cerco” per anni, sperando ogni volta che venisse nuovamente diffuso via via da più persone. Ha iniziato a cercarlo nel 2003, contattando inizialmente proprio due trasmissioni televisive: Il treno dei desideri, che non ha mai risposto, e C’è posta per te, che ha risposto ma la cui redazione le disse di non essere riuscita a trovare suo zio.

Su “Ti Cerco” Nadia ha detto di aver condiviso la foto di suo zio da piccolo, una delle ultime scattate prima dell’adozione, e poi quelle di suo padre, il fratello dello zio, a cui da adulto avrebbe forse potuto assomigliare.

Per anni la ricerca non ha portato a nulla, fino a quando una signora di un paese in cui viveva suo zio ha notato alcune somiglianze con persone che conosceva e si è decisa a rispondere. La risposta conteneva solo un nome, comunque un indizio prezioso. A quel punto Nadia ha iniziato una lunga e complicata ricerca dei profili di tutti gli uomini con il nome rivelato dalla donna, fino a quando ha identificato un profilo che la convinceva. Ma incontrarlo non è stato facile. Lo zio, infatti, non apriva il suo profilo Facebook da tempo e non poteva vedere i messaggi della nipote.

Nadia ha dovuto allargare nuovamente la ricerca. Ha esaminato tutte le fotografie dell’uomo e ha individuato quella che riteneva essere la moglie. L’ha contattata prima su Facebook, poi su Instagram e poi su TikTok. Solo dopo questa lunga e complicata ricerca, Nadia è riuscita a mettersi in contatto con suo zio. Si sono telefonati e prima di Natale si sono incontrati.

Quello di Nadia è un caso esemplare che mostra non solo come siano cambiate le ricerche, ma anche il motivo per cui la parola carrambata non è più così diffusa. Ora infatti l’incontro non è più improvviso o imprevisto, come probabilmente avveniva anni fa quando le persone si ritrovavano in uno studio televisivo sapendo poco o nulla. Ci si incontra prima attraverso i social e solo dopo faccia a faccia.

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In molti casi i ricongiungimenti sono favoriti dai controlli incrociati delle stesse amministratrici: c’è stato il caso di alcune sorelle che si cercavano tra loro e che nel corso degli anni si erano rivolte alla stessa pagina “Ti Cerco”. Quando è arrivato il secondo annuncio, un’amministratrice ha cercato tra i messaggi ricevuti e ha trovato il messaggio dell’altra sorella. Le hanno messe in contatto e si sono trovate. Questa storia fu poi raccontata durante una puntata dei Fatti Vostri, su Rai 2, ha detto Pannocchi.

Le amministratrici gestiscono gli annunci con alcuni accorgimenti, soprattutto per evitare violazioni della privacy: vengono accettati solo appelli di persone maggiorenni, per esempio, ed è prevista una conversazione preliminare con chi invia una richiesta per capire chi stanno aiutando. Negli annunci si evita di inserire cognomi e indirizzi, e le amministratrici gestiscono attentamente anche la condivisione delle foto, in questo caso valutando storia per storia cosa fare. In un primo momento le persone potevano pubblicare autonomamente i propri annunci, ma col tempo e i rischi aumentati la gestione è cambiata.

A volte gli annunci sono scritti senza poter risalire all’autore: Pannocchi dice che succede soprattutto nei casi di persone adottate, che magari sono interessate alle loro origini ma temono una reazione negativa da parte della famiglia adottante. È possibile anche che le persone cercate non vivano serenamente questa situazione che invece chi cerca i parenti trova del tutto comprensibile.

Per le amministratrici la gestione della pagina richiede molto tempo. L’amministratrice più impegnata nelle ricerche dice che a spingerla è l’interesse che ha sempre avuto nei confronti di questo genere di storie, grazie anche a un programma televisivo statunitense che guardava da piccola, in cui le persone si rivedevano dopo anni. Fino a poco tempo fa era impiegata come commessa in un negozio poco frequentato, e nel tempo dell’attesa faceva ricerche su internet per aiutare chi aveva contattato la pagina a a trovare una persona persa anni prima.