Perché ci si può sentire alticci anche con le bevande analcoliche

C’entrano soprattutto abitudini e condizionamenti psicologici, riscontrati anche in molti studi sugli effetti placebo

Una scena dei Simpson in cui il direttore della società produttrice di birra Duff presenta alla stampa una versione analcolica (nella scena subito successiva l'azienda dichiarava fallimento dopo appena mezz'ora)
Una scena della serie animata “I Simpson”
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Da diversi anni una più diffusa e profonda consapevolezza degli effetti dell’alcol sulla salute ha fatto crescere la domanda di versioni analcoliche di note bevande alcoliche: principalmente birra e vino, ma anche distillati come rum e gin. A sostenere la domanda è il desiderio di continuare a gustare queste bevande ma senza subire gli effetti provocati dalle versioni tradizionali. Alcune persone, dopo aver bevuto bibite analcoliche, riferiscono tuttavia di sentirsi più rilassate, o persino leggermente alticce: un effetto tipicamente provocato dall’alcol, che quindi sembra inspiegabile.

Sebbene sia un fenomeno ancora poco studiato in modo specifico e approfondito, si ritiene che la sensazione di rilassatezza, appagamento o persino lieve ebbrezza che le bevande analcoliche possono talvolta indurre in alcune persone abbia principalmente a che fare con condizionamenti psicologici e abitudini personali. Sul piano neurobiologico, questa reazione potrebbe derivare dagli stessi meccanismi del cervello che controllano il sistema di ricompensa (quello che ci fa sentire appagati in varie circostanze) e da cui deriva in parte anche la reazione al consumo di bevande alcoliche. Lo suggeriscono indirettamente diversi esperimenti di psicologia condotti fin dagli anni Settanta sugli effetti delle bevande placebo, e direttamente alcuni studi più recenti sull’attività del cervello in risposta al consumo di bevande alcoliche e analcoliche.

Per uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Behavioural Brain Research un gruppo di ricerca della University of Texas a Austin esaminò il cervello di 22 giovani adulti dopo che avevano bevuto una bevanda analcolica pensando di berne una alcolica. Le risonanze magnetiche funzionali (fMRI) mostrarono un aumento significativo dell’attività cerebrale in due delle aree del cervello maggiormente coinvolte nei processi cognitivi della ricompensa. L’aumento era maggiore di quello determinato dall’assunzione di una bevanda “di controllo” dichiaratamente analcolica (un integratore di sali minerali). Il gruppo di ricerca riscontrò inoltre una correlazione tra l’aumento di quella particolare attività cerebrale e la sensazione dei partecipanti di essere brilli, suggerendo che l’aspettativa di consumare una bevanda alcolica può influenzare in parte l’esperienza stessa del bere, indipendentemente dal contenuto di alcol ingerito.

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Negli studi sulle bevande alcoliche il coinvolgimento del sistema di ricompensa – un fattore alla base di molte forme di dipendenza – è noto da tempo. In uno studio pubblicato nel 2013 un gruppo di ricercatori della scuola di medicina della Indiana University eseguì una serie di scansioni del cervello (in questo caso PET, tomografie a emissione di positroni) su 49 bevitori abituali di birra a cui erano stati serviti 15 ml di birra. Nonostante i partecipanti avessero ingerito una quantità troppo piccola per sentire gli effetti dell’alcol (più o meno l’equivalente di un cucchiaio da tavola), le scansioni mostrarono che quel semplice assaggio era bastato a determinare un aumento dei livelli di dopamina – il neurotrasmettitore che regola le sensazioni di piacere – nelle aree del cervello associate all’aspettativa di una ricompensa.

Il fatto che le bevande alcoliche e quelle analcoliche attivino in parte le stesse risposte neurobiologiche è anche una delle ragioni per cui molte persone che si occupano di dipendenze sconsigliano le bevande analcoliche ad alcuni soggetti a rischio. Secondo una revisione di dieci studi pubblicata nel 2022 sulla rivista Nutrients le persone con problemi di dipendenza dall’alcol o anche solo problemi di consumo eccessivo sperimentano un aumento del desiderio di alcol quando consumano bevande analcoliche. Mostrano anche alcune risposte fisiologiche simili a quelle che si verificano quando assumono alcol, tra cui un aumento della sudorazione e della frequenza cardiaca.

Un barista versa un cocktail analcolico rosso in sette bicchieri di plastica trasparente con ghiaccio, di cui uno con una scorza di limone e un rametto di rosmarino

Un cocktail analcolico servito durante un evento organizzato dalla rivista Teen Vogue a New York, il 2 giugno 2018 (Cindy Ord/Getty Images)

In base alle leggi italiane è considerata alcolica qualsiasi bevanda con una gradazione superiore a 1,2 gradi: è una birra analcolica, per esempio, qualsiasi birra con una gradazione alcolica uguale a o minore di 1,2 gradi. Alcune birre analcoliche sono infatti minimamente alcoliche, perché hanno una gradazione maggiore di 0 gradi (in questo caso sono infatti presenti sull’etichetta i simboli che indicano il divieto di assunzione per le donne in gravidanza e per chi deve guidare).

In Australia, negli Stati Uniti e in altri paesi la soglia stabilita dalle leggi per definire analcolica una bevanda è di 0,5 gradi. È una quantità di alcol paragonabile a quella che si sviluppa durante i processi di fermentazione nelle banane mature o nel succo d’arancia: troppo esigua per considerarla la ragione dell’apparente ebbrezza sperimentata da alcune persone dopo aver bevuto bevande analcoliche.

Alcune persone attribuiscono peraltro lo stesso effetto a bevande esplicitamente descritte sull’etichetta come bevande “0,0%”. In questo caso i produttori assicurano che la bevanda sia completamente priva di alcol, a differenza delle analcoliche, il cui eventuale contenuto di alcol può appunto variare tra 0 e 1,2 gradi (ma di solito, per renderle esportabili come analcoliche in più paesi, non supera 0,5). Dagli studiosi che se ne sono occupati le ragioni del rilassamento e delle altre particolari sensazioni associate da alcune persone al consumo di bevande analcoliche sono ricondotte perlopiù a fattori psicologici.

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Molti dati provenienti da esperimenti condotti fin dagli anni Settanta sugli effetti delle “finte” bevande alcoliche e analcoliche indicano che le persone sono generalmente in grado di riconoscere la presenza di alcol in bevande descritte come analcoliche e in cui è stato aggiunto dell’alcol a loro insaputa. Sono invece molto meno abili nel caso opposto: quando devono riconoscere l’assenza di alcol in bevande presentate come alcoliche. Lo mostrano, tra gli altri, i risultati di un esperimento condotto su 720 persone, pubblicati nel 2012 in un ampio studio su Psychological Science.

Ad alcuni partecipanti riuniti in gruppi di tre persone fu servito un cocktail preparato versando della vodka da una bottiglia di vodka Smirnoff e del succo di mirtillo rosso: solo che la bottiglia, a insaputa dei partecipanti, conteneva in realtà acqua tonica. Tutti i partecipanti tranne uno, pur non mostrando segni di ebrezza, affermarono di aver bevuto un cocktail alcolico. A farglielo credere, oltre all’osservazione delle fasi di preparazione e alle indicazioni degli sperimentatori, contribuirono altri fattori tra cui la temperatura bassa della bevanda. Uno studio più recente condotto su quegli stessi dati indicò inoltre che il consumo di gruppo di finte bevande alcoliche generava reazioni simili a quelle riscontrate in altri esperimenti in cui i partecipanti bevevano finte bevande alcoliche da soli: il fatto che il consumo avvenisse in gruppo era quindi ininfluente rispetto alla convinzione delle persone di aver bevuto un cocktail alcolico.

Il professore di psicologia Denis M. McCarthy, direttore del centro di ricerca sulle dipendenze della University of Missouri, ha detto a Slate che in questo tipo di esperimenti i partecipanti non solo credono di aver assunto alcol, ma spesso mostrano anche alcuni cambiamenti nel loro comportamento in base a quella convinzione. E quei cambiamenti tendono a riflettere le passate esperienze delle persone quando bevono alcolici, caso per caso: alcune diventano meno ansiose, altre più loquaci e allegre. In generale si aspettano di sentirsi come si sentono dopo aver bevuto, anche se su un piano farmacologico non è cambiato niente nel loro corpo.

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Esistono tuttavia dei limiti a questo tipo di reazione alle finte bevande alcoliche. In generale, indipendentemente da come si comportano, le persone non arrivano a ubriacarsi: tendono a non accorgersi dell’assenza di alcol finché bevono due o tre drink, ma dopo quattro o cinque cominciano a scoprire la manipolazione. Inoltre non mostrano nel loro comportamento le difficoltà e le alterazioni tipiche del comportamento delle persone ubriache. In alcuni casi, dopo aver bevuto bevande analcoliche credendo di assumere alcol, le persone ottengono in alcuni test cognitivi risultati persino migliori rispetto alle persone che non hanno bevuto: probabilmente perché prestano maggiore attenzione a ciò che stanno facendo, pensando di dover compensare un deficit da loro attribuito al presunto effetto dell’alcol.

Il limite delle osservazioni basate sui risultati dei molti studi esistenti sugli effetti placebo delle finte bevande alcoliche è che nella maggior parte di quegli esperimenti le persone sono intenzionalmente tratte in inganno. I risultati forniscono informazioni utili, ma fino a un certo punto: nel caso delle sensazioni di rilassatezza comunemente attribuite da alcune persone alle bevande analcoliche, quelle persone sanno di non aver assunto alcol. E gli effetti delle bevande sul loro comportamento sono verosimilmente meno forti rispetto a quelli sperimentati dai partecipanti degli studi sugli effetti placebo. Quello che servirebbe, ha detto a Slate la neuroscienziata Dylan Kirsch, è una maggior quantità di studi sugli effetti del consumo consapevole di una bevanda senza alcol esplicitamente progettata per imitare aspetto e sapore di una corrispondente bevanda alcolica.

Un uomo in giacca e cravatta regge una Corona Zero, con una scorza di limone infilata nel collo della bottiglia

Una bottiglia di birra senza alcol, servita durante una conferenza stampa di presentazione di un accordo pubblicitario tra il Comitato Olimpico Internazionale e la società Anheuser-Busch InBev, a Londra, il 12 gennaio 2024 (AP Photo/Kin Cheung)

È possibile che una parte dei condizionamenti psicologici derivi dalle somiglianze tra bevande alcoliche e analcoliche, che spesso condividono la stessa bottiglia o la stessa lattina, sia per dimensioni che per colore. «Una delle cose che sappiamo essere fondamentali per potenziare gli effetti placebo sono i simboli che li circondano», ha detto a Slate Kathryn T. Hall, professoressa della Harvard Medical School e autrice del libro Placebos, pubblicato nel 2022. Un certo tipo di lattina o di bottiglia associata al bere una birra, alla sensazione di freddo nella mano che la regge, ai simboli presenti sull’etichetta o anche soltanto a un certo rituale, come bere una birra davanti alla TV, secondo Hall, «stimolerà tutti quei percorsi che erano stati condizionati in precedenza dalle tue abitudini nel bere».

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Diverse ricerche nel campo delle neuroscienze suggeriscono che, a determinate condizioni, le aspettative possono avere un impatto molto significativo sulla reazione a sostanze di qualsiasi tipo, non soltanto l’alcol. Secondo uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Frontiers in Behavioral Neuroscience la caffeina, per esempio, non è l’unica molecola responsabile dell’impatto del caffè sui nostri livelli di attenzione. Le ricercatrici e i ricercatori riscontrarono in un gruppo di partecipanti che avevano bevuto caffè un aumento di attività cerebrale nelle regioni associate al controllo cognitivo, alla memoria di lavoro e al comportamento orientato agli obiettivi. Non riscontrarono però gli stessi effetti neurobiologici quando i partecipanti assumevano la stessa quantità di caffeina attraverso un’altra bevanda diversa dal caffè.

Gli studi sull’impatto dei condizionamenti psicologici e degli effetti placebo tendono a suscitare una certa sorpresa nelle persone, ma secondo Hall non dovrebbero. Ogni giorno e per tutto il giorno, ha detto a Slate, le cose che pensiamo cambiano come ci sentiamo e il modo in cui funziona il nostro corpo. Se qualcuno entrasse in ufficio gridando che c’è un incendio e che bisogno uscire di corsa, la nostra frequenza cardiaca aumenterebbe, per esempio, e si verificherebbero altre reazioni: «tutta la nostra fisiologia cambierebbe in risposta a un’informazione che può essere vera o meno».