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  • Venerdì 19 gennaio 2024

In Francia tre poliziotti sono stati condannati per il pestaggio di Théo Luhaka

Da tre a dodici mesi, con sospensione della pena: sette anni fa avevano picchiato un ragazzo nero durante un arresto, causandogli un'invalidità permanente

Manifestazione a sostegno di Théo Luhaka, Parigi, 18 febbraio 2017 (AP Photo/Francois Mori)
Manifestazione a sostegno di Théo Luhaka, Parigi, 18 febbraio 2017 (AP Photo/Francois Mori)
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In Francia si è concluso il processo sul caso di Théodore (Théo) Luhaka, un ragazzo nero rimasto con un’invalidità permanente dopo che nel 2017, durante un arresto, era stato violentemente picchiato da tre agenti della polizia francese e colpito nella zona anale con la punta di un manganello. Due dei tre poliziotti a processo, Tony Hochart, 31 anni, e Jérémie Dulin, 42 anni, sono stati condannati a tre mesi di carcere, con sospensione condizionale della pena. Marc-Antoine Castelain, 34 anni, l’agente che aveva colpito con il manganello Luhaka con un colpo che gli aveva rotto internamente lo sfintere provocandogli una lesione di circa dieci centimetri nel canale anale e nel retto, è stato condannato a 12 mesi di carcere, anche lui con sospensione della pena.

Hochart e Dulin avevano colpito Luhaka mentre era immobilizzato a terra e ammanettato. Poiché non hanno precedenti penali, la procura aveva chiesto per loro tre e sei mesi di carcere con sospensione della pena e per Dulin anche l’interdizione per due anni dall’esercizio della professione. Per Marc-Antoine Castelain, accusato di violenza volontaria aggravata per il fatto di aver causato «mutilazioni o infermità permanenti» (reato punito in Francia con una pena fino a quindici anni di carcere), la procura aveva chiesto tre mesi con sospensione della pena e il divieto di prestare servizio per cinque anni. Gli avvocati dei tre imputati avevano invece chiesto l’assoluzione, dicendo che i loro clienti avevano agito in quel modo per legittima difesa.

Il processo, iniziato martedì 9 gennaio, non si è svolto davanti a un semplice tribunale penale, ma davanti a una Corte d’Assise composta da tre giudici e da una giuria di sei persone perché il reato principale al centro del processo, violenza volontaria aggravata con conseguente invalidità permanente, era teoricamente punibile con una pena superiore ai dieci anni.

La storia di Théo Luhaka è stata seguita con costanza dai giornali francesi perché considerata un esempio dei metodi usati in alcune occasioni dalla polizia nei confronti delle persone giovani che risiedono nei quartieri più marginali della Francia.

I fatti al centro del processo erano avvenuti il 2 febbraio del 2017 verso le cinque del pomeriggio ad Aulnay-sous-Bois, nel dipartimento della Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi, ed erano stati ripresi in gran parte dalle telecamere di sorveglianza della città. Théo Luhaka al tempo aveva 22 anni, era incensurato e avviato verso una carriera di calciatore professionista. Si era trovato per caso, insieme ad altri ragazzi, in mezzo a un controllo di polizia che era presto degenerato.

Tre agenti si erano concentrati su Luhaka, che inizialmente oppose resistenza all’arresto, picchiandolo e spruzzandogli del gas lacrimogeno a pochi centimetri dal viso, anche mentre si trovata immobile a terra. Una volta fatto alzare a forza e ammanettato contro un muro, Castelain aveva colpito Luhaka con violenza nella zona anale con la punta in acciaio del manganello. Luhaka si era accasciato, ma i poliziotti avevano continuato a picchiarlo. Una volta al commissariato Luhaka aveva avuto una forte emorragia, era stato ricoverato in ospedale e operato d’urgenza per gravi ferite nel tratto finale dell’intestino.

– Leggi anche: L’“Affaire Théo”, il processo di cui si parla in Francia

Nei giorni subito successivi all’aggressione centinaia di persone avevano manifestato vicino a Parigi, c’erano stati scontri con la polizia e aveva preso posizione a sostegno di Luhaka anche l’allora presidente della Repubblica, François Hollande.

Dopo la prima denuncia di Luhaka, un poliziotto era stato formalmente accusato di stupro e altri tre di violenza aggravata. Nelle settimane successive per uno degli agenti era stata però esclusa l’accusa di “stupro” inizialmente indicata poiché la ferita di Luhaka, secondo gli esperti, era stata causata da un colpo al margine dell’ano, ma non direttamente da una penetrazione.

Il processo doveva stabilire se i colpi dati a Luhaka durante l’arresto, compreso quello con il manganello, fossero stati legittimi, necessari e proporzionati alla situazione oppure no. L’ultimo giorno di processo l’avvocato di Théo Luhaka, Antoine Vey, si era augurato che questa storia venisse ricordata come «una questione di giustizia, e non come una questione di abuso e violenza».