Illustrare un articolo per il “New Yorker”

«L’art director mi chiede candidamente: "L’illustrazione di cui abbiamo bisogno deve raffigurare il concetto generale di ghostwriting, ma deve anche parlare del nuovo libro e ovviamente ci vogliamo far mancare il ritratto del principe Harry? Certo che no. Mi servirebbero delle idee fra cui scegliere entro giovedì – mail scritta martedì sera – e i disegni finali per il lunedì successivo»

Particolare dell'illustrazione (Simone Massoni)
Particolare dell'illustrazione (Simone Massoni)

Mi scrive Alexandra Zsigmond, art director al New Yorker, per sapere se sono interessato a disegnare l’illustrazione a corredo di un pezzo di J.R. Moehringer di prossima uscita. Sorvolando sull’ovvietà che sono interessato, lo sono eccome, la proposta contiene un piacevole grattacapo. Beninteso, nel nostro mestiere il grattacapo è niente più e niente meno che un problema da risolvere visivamente, una piacevole sfida da affrontare, specialmente in campo editoriale, più che una scocciatura da scansare. L’illustrazione può servire a tanti scopi e può funzionare in modi diversi. Quella per magazine e riviste porta con sé tutta una serie di consuetudini che per comodità potremmo riassumere così: tempi stretti e leggera ansia.

Aggiungo un po’ di contesto alla email di Alexandra Zsigmond: J.R. Moehringer fa anche il ghostwriter, ruolo per il quale è diventato famoso e conosciuto non solo fra coloro per cui scrive libri e biografie (la più famosa fra tutte è Open del tennista Andre Agassi), ma anche fra tutti coloro che dell’esistenza di J.R. non dovrebbero proprio sapere, cioè i lettori dei suddetti libri. Questo lo rende una specie di ossimoro vivente: l’insospettabile autore fantasma di cui tutti più o meno, però, conoscono l’identità.

Il nuovissimo libro, e lungamente atteso, si chiamerà Spare e sarà scritto ufficialmente dal principe Harry perché altrimenti non sarebbe più un’autobiografia, anche se tutti o quasi sanno che l’autore è Moehringer, che firmerà in prima persona l’articolo sul New Yorker. Quindi l’art director mi chiede candidamente, parafrasando: l’illustrazione di cui abbiamo bisogno deve raffigurare il concetto generale di ghostwriting, ma chiaramente deve anche parlare del nuovo libro e ovviamente ci vogliamo far mancare il ritratto del principe Harry? Certo che no. Mi servirebbero delle idee fra cui scegliere entro giovedì – mail scritta martedì sera – e i disegni finali per il lunedì successivo.

– Leggi anche: Chi sono i ghostwriter

A me di solito lavorare dall’Italia con il fuso americano della costa est, quindi per clienti che stanno in città come New York, Boston, Miami per citare le più note, è sempre piaciuto. Il suddetto fuso, indietro di 6 ore rispetto a noi, è molto vantaggioso per dormire di più la mattina, ma pessimo in questo caso perché Alexandra mi ha scritto nel suo primo pomeriggio quando io in Italia avevo appena messo in pausa cervello, penne e computer per approcciarmi a una rilassante serata. Visti i tempi lei si aspetta una risposta a breve, quindi dovrò cominciare da subito a ragionare sul tema. Guardo la mia serata rilassante essere risucchiata in un gorgo e allontanarsi verso il punto di fuga dell’orizzonte.

Normalmente è molto bello lavorare a un’illustrazione e far partire tutta una serie di iterazioni con gli art director, avviare un dialogo di botte e risposte, concentrarsi su una singola idea e lavorarla piano piano perché raggiunga la sua forma migliore. Ma capita solo quando si ha tanto tempo, il che purtroppo è raro in ambito editoriale. Un primo grattacapo è quindi che dovrò lavorare contemporaneamente a più schizzi, in gergo Sketch Ideas, da presentare tutti assieme.

Grattacapo numero due: la penna a firma dell’articolo è un personaggio molto rilevante, e questo fatto generalmente crea aspettative più alte e dunque art director più esigenti e pedanti.

Terzo grattacapo, estensione diretta dei due precedenti, è la leggera ma immancabile ansia da prestazione.

E per quanto riguarda la parte pratica? Dovrò pensare a una soluzione che mi permetta di rappresentare un personaggio particolare – il principe Harry – e allo stesso tempo un concetto generale come il ghostwriting, e trovare una forma che faccia sembrare naturale il fatto che si trovino uno accanto all’altro.

Lascio passare due giorni in cui lavoro sia con la testa che con la matita per presentare le prime due immagini alla redazione. Aggiungo delle note a corredo nel tentativo di prevedere possibili domande o incomprensioni.

Sketch No.1

La parte di scarabocchio può essere, appunto, uno scarabocchio che mima una grafia o magari potrebbe essere anche parte dell’articolo vero e proprio. Una sorta di costruzione in abisso per unire immagine e articolo.

Sketch No.2

Domanda innocente ma che è sempre meglio fare: è chiaro che stanno tenendo in mano una penna? Mi ero scordato di menzionare che nella prima email Alexandra aveva lanciato l’idea di rappresentare uno stand-off, cioè una situazione di stallo, nella sua forma più comune: il faccia a faccia tipico delle conferenze stampa in cui l’incontro viene presentato al pubblico come un combattimento fra due pugili. Stand-off, quindi, tra autore-ombra e principe Harry. La richiesta non mi rendeva molto entusiasta, ma uno dei punti cardine dell’articolo sarebbe stato il rapporto diventato intimo, ma a tratti conflittuale, tra J.R. Moehringer e il principe.

Ho quindi mandato qualche idea e un approccio più generico al tema con piccole variazioni. Tutti sapevamo però, senza bisogno di dircelo, che in ognuno di questi schizzi il personaggio non era immediatamente riconoscibile come il principe perché il viso sarebbe stato davvero piccolo (e questo al di là delle mie doti di ritrattista tutte da rivedere). Il titolo provvisorio del pezzo non menzionava direttamente il nome di Harry e quindi il collegamento fra i due poteva andare perso.

Sketch No.3

La mia idea preferita era la prima, quella dello Sketch No.1. Era la più divertente da disegnare e si smarcava maggiormente da immagini cliché. Allo stesso tempo mi rendevo conto del fatto che quell’immagine richiedeva più attenzione delle altre, implicava una comprensione più lenta, specialmente per chi scorreva velocemente le pagine della rivista. Per selezionarla ci voleva una certa dose di coraggio perché il riferimento diretto al principe non era immediato, e non sfruttare il gancio visivo di un personaggio mediatico di tale portata in un articolo del genere sarebbe stata un’occasione sprecata.

Nel giro di un giorno e dopo qualche scambio di email di convenevoli a orari strampalati arriva la loro preferenza: è quella per il principe Harry sul red carpet. «Piccola delusione ma va bene anche così», cerco di convincermi. Mi ero quasi convinto quando l’editor, che nella gerarchia redazionale gestisce gli art director, si è presentato a scompigliare le carte in tavola: l’idea con gli scarabocchi aveva lasciato un segno.

A questo punto sono seguiti altri veloci scambi tra me e l’art director su come fare le modifiche necessarie e consentite da questo tempo che scorre impietoso, e che più se ne risparmia più tutti sono sereni. Parliamo nuovamente della possibilità di inserire un testo con un senso compiuto invece di svolazzi e ghirigori, ma l’opzione è impraticabile perché l’editing e le modifiche all’articolo sono continue fino a poco prima di andare in stampa (questa è nuova anche per me) ed è praticamente impossibile sapere con precisione quello che ci sarà scritto davvero.

Al posto delle frasi reali potremmo forse usare quelle tratte dal libro? Meglio di no, risponde l’art, perché complicarsi la vita rischiando di infrangere il copyright per un vezzo stilistico senza il quale il disegno funziona ugualmente?

Ultimo e meno importante dettaglio: non bisogna scordare che l’illustrazione finale vivrà stampata sulle pagine di una rivista ma anche nella sua versione digitale e, per quanto lo sfondo bianco entusiasmi tutti, nello spazio a colonna su tablet e cellulari rischierebbe di creare un vuoto tale da affievolire quello stesso entusiasmo. Bisogna quindi creare qualcosa di solido dietro allo scarabocchio che dia un po’ di corpo al tutto.

Eccoci alla resa dei conti, quindi. Pronti a procedere all’esecuzione del tanto atteso artwork finale. Le domande a corredo di questo solenne momento sono sempre le stesse.

È quello che avrei fatto se avessi potuto decidere io ogni singolo passaggio?

Ho ricevuto commenti che hanno migliorato il disegno oppure opinioni che non hanno contribuito a elevare la qualità iniziale delle mie idee?
Ma poi queste idee erano davvero buone? E così via in una spirale di questioni che diventano sempre meno compiacenti e aggrovigliate, ma soprattutto puntano dritte alla totale perdita di significato. Anche dette: le solite pippe. Ma in definitiva, quanto sono soddisfatto? Questa è una delle volte che mi reputo contento. Non era nient’affatto un finale scontato.

Mentre mi perdo in pensieri inutili mi viene in mente che ancora devo disegnarla, questa benedetta illustrazione. E manca un giorno dalla consegna. In ventiquattr’ore si possono considerare un’infinità di possibilità e si è nella condizione di poter lavorare un po’ sul tratto e su quei particolari e vezzi stilistici che in altri frangenti sarebbero sacrificabili. Il giorno passa, e appena sveglia Alexandra trova nella sua casella di posta in arrivo un paio di alternative fra cui scegliere.

Va un po’ peggio stavolta. Io ero affezionato alla prima versione, in stampa andrà la seconda. Ma perché gliele ho fatte vedere entrambe?
Domande di poca utilità. Come sopra.

Il pezzo funziona e io ho tutto il resto della giornata da riempire con cose più interessanti delle ormai celebri solite pippe.

– Leggi anche: L’autobiografia del principe Harry, secondo chi l’ha scritta

Simone Massoni
Simone Massoni

Visual artist, si occupa e preoccupa di tutto ciò che ritiene visivamente stimolante. Ha cominciato come autore di libri per bambini, oggi le sue opere si possono trovare in libri – non solo per bambini – riviste, campagne pubblicitarie e mostre. È nato a Roma, cresciuto a Lucca, ora vive a Firenze.

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