• di Vincenzo Latronico
  • Storie/Idee
  • Domenica 14 aprile 2024

Romanzi che invecchiano in fretta

«La rapidità del cambiamento tecnologico minaccia il territorio del romanzesco, che è definito dai confini del mistero: un viaggiatore si smarrisce; appare in città un visitatore misterioso; due amanti sono separati da una distanza incolmabile. Ma il senso della tecnologia di oggi è far ritrovare chi si smarrisce, disperdere i misteri, colmare le distanze. Quindi il romanzesco cerca territori al di fuori della contemporaneità. Forse non è un caso se ultimamente la narrativa sembra guardare all’indietro»

Rembrandt, "Ritratto di un vecchio", 1651 (John Phillips/Getty Images for Sotheby's)
Rembrandt, "Ritratto di un vecchio", 1651 (John Phillips/Getty Images for Sotheby's)
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Di recente mi sono trovato a rimettere le mani sul mio secondo romanzo, La cospirazione delle colombe, in vista di una riedizione. L’ho scritto nel 2009, è uscito nel 2011. È un romanzo contemporaneo? Tredici anni nella storia letteraria non sembrano tanti, ma nella realtà lo sono: il mondo di oggi è diverso da quello in cui si svolge quel libro, scritto da un uomo che non aveva mai toccato un iPhone. Ho rivisto il testo con l’imbarazzo di chi nota le miopie e l’esibizionismo di gioventù; e ho avuto la tentazione di integrare, spiegare, togliere. Si può fare? Si deve?

Ad esempio: il romanzo si svolge a Milano, e parla di quello che allora era il suo futuro, cioè i cantieri del Bosco Verticale. Ora quel futuro è presente, o passato prossimo; il personaggio che ne finanzia la costruzione, evidentemente, non andrà in bancarotta – il che in qualche modo è uno spoiler del finale noto prima ancora dell’inizio del libro. Alcune scene ambientate nel quartiere Isola, in cui vivevo (definendolo, ai tempi, “semiperiferia”), sembrano inconcepibili: gli appartamenti pieni di studenti perché poco cari; le lattine bucate lasciate dai fumatori di crack sotto gli eterni ponteggi; la penuria di bar (!!!); gli spazi abbandonati trasformati in ostelli, doposcuola o mercati da qualunque gruppo di occupanti avesse un flessibile a batteria, in quello che oggi è uno dei distretti più cari della più cara città d’Italia.

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Questi non dovrebbero essere problemi: il valore dei romanzi non può dipendere dall’attualità della loro ambientazione – anzi, per molti versi la letteratura ci offre un documento prezioso di com’era vivere in tempi o luoghi lontani, senza l’oggettività e l’ampiezza di sguardo delle opere storiche o sociologiche ma con una grana più fine e minuta. Ma la Milano di tredici anni fa non è un luogo o un tempo lontano. Il senso del romanzo come documento sorge quando tramonta la sua contemporaneità, la sua capacità di aiutarci a capire – al di là di quei quesiti intimi, nebulosi ma reali che nei sussidiari impariamo a chiamare “temi universali” – il mondo in cui viviamo oggi. Una storia indubbiamente attuale (con e-mail e Frecciarossa e voli low-cost in giro per l’Europa) ambientata in una città tanto irriconoscibile non sembra un portale verso un mondo perduto. Sembra datata.

Questo invecchiamento è diverso da quello, ad esempio, dei marchi di moda citati da molti romanzi degli anni ’80 sulla scia del più famoso Bret Easton Ellis, per significare la ricchezza e la vacuità di certi personaggi. Chi avesse letto American psycho tredici anni dopo magari non avrebbe visualizzato il taglio specifico di quei jeans di Helmut Lang, o lo avrebbe trovato passé; ma ne avrebbe riconosciuto il significato in quanto paramento del censo. Per molti versi, la città che racconto io risulta invece irriconoscibile.

Anche da un punto di vista tecnologico succede qualcosa di simile. Nel romanzo compaiono parecchi telefoni fissi. La tensione di una scena si regge sul fatto che il protagonista non può sapere l’esito di un’asta perché i BlackBerry potevano navigare in rete ma non aprire i PDF. Una svolta cruciale della trama dipende dall’impossibilità di conservare lunghi file audio su un cellulare. Molte di queste cose per un lettore di oggi necessitano di spiegazioni (non poteva aprire quel PDF?). Anche questa è la norma: leggendo un romanzo di un’epoca passata non ci sorprende che un viaggio per noi rapido richieda decine di ore in treno o in carrozza, o che per tenere in fresco il cibo occorra periodicamente riempire un armadio di ghiaccio. È normale che queste differenze non vengano spiegate: lo stato di cose tecnologico, nei romanzi, è sempre dato per scontato, perché nessuno scrittore può prevedere cosa, del suo mondo, è destinato a cambiare.

Ma vale qui ciò che dicevo sui cambiamenti di Milano: nel caso di trasformazioni così profonde in tempi così brevi, più che documentare un mondo passato la storia suscita uno straniamento incredulo, un senso di farraginoso ed implausibile (non poteva aprire quel PDF?). La storia è tanto vicina all’oggi che risulterebbe ridicola una prefazione di contesto come usa nei romanzi storici; ma non tanto vicina all’oggi da poterne fare a meno. Non è un romanzo storico né un romanzo contemporaneo: è un romanzo vecchio.

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Ognuno crede di vivere in un’epoca unica, e ognuno si sbaglia, quindi occorrerà qualche precisazione. Non mi sto lamentando del fatto che il tempo scorre e il presente diventa passato. Questo non è specifico dei nostri tempi: è chiaro a ogni scrittore o scrittrice che voglia confrontarsi con la contemporaneità, che quindi – anticipando le esigenze di un pubblico futuro – dissemina la narrazione di piccole spiegazioni. Questo vale di John Dos Passos che scrive di Sacco e Vanzetti come di Alexandre Dumas che scrive dell’assedio di Giannina o di Nanni Balestrini che parla dei movimenti del ’68. In qualche misura questo era chiaro anche a me, che nel mio primo romanzo, del 2008, scrivevo anche del G8 di Genova del 2001, che all’epoca era storia recente e ora no; e che mi sforzavo in certi punti di contestualizzare a beneficio di chi non avesse presenti i fatti. Ma in quei casi si tratta dell’argomento di una storia, del suo centro. Quello di cui sto parlando io è il contorno, tutto il complesso di pratiche sociali, dispositivi, leggi e consuetudini che regolano lo svolgersi della vicenda e che quindi definiscono l’orizzonte del possibile al suo interno. Esistono i planisferi? I viaggi aerei? I telefoni? Gli smartphone? Queste domande trattano dei dettagli che fanno da sfondo alla trama, ma per molti versi non sono questioni di dettaglio. L’Odissea è possibile solo finché a tutte queste domande la risposta è no.

Ne scrivevo già qui sul Post. La rapidità del cambiamento tecnologico crea difficoltà per chi scrive romanzi, perché il territorio del romanzesco è definito dai confini del mistero: un viaggiatore si smarrisce; appare in città un visitatore misterioso; due amanti sono separati da una distanza incolmabile. Ma il senso della tecnologia di oggi è far ritrovare chi si smarrisce, disperdere i misteri, colmare le distanze. Quindi il romanzesco cerca territori al di fuori della contemporaneità. Forse non è un caso se ultimamente la narrativa sembra guardare all’indietro: sia quest’anno che lo scorso dei dodici finalisti del premio Strega i due terzi raccontano storie ambientate prima dell’esistenza degli smartphone.

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Questo non è, come potrebbe sembrare, sintomo di un rifiuto di guardare il contemporaneo, ma piuttosto dovuto al fatto che il contemporaneo non si incastra bene nei meccanismi del romanzo classico, ottocentesco. Gli ingranaggi si inceppano oppure girano a vuoto. Anche quando toccano il mondo di oggi, i narratori spesso scelgono di sfumare i dettagli della tecnologia pur presentissima nelle vite dei personaggi, senza concentrarsi sui meccanismi precisi di una certa app o un certo dispositivo per evitare il rischio dell’obsolescenza, e non dover spiegare cose oggi ovvie che magari fra sei mesi, un anno, o due non lo saranno più.

Eppure questa è una sorta di abdicazione, perché il senso dei romanzi come documenti storici è proprio nella loro attenzione ai dettagli tanto minuti da sfuggire a storia e sociologia. Il talento narrativo viene definito dalla precisione dello sguardo; un’esortazione comune, nelle scuole di scrittura, è quella ad essere “più specifici”. Questa specificità è uno degli aspetti fondanti del romanzo realista in generale: l’idea che una storia possa svolgersi in un certo modo solamente in un dato tempo e in un dato luogo, perché ogni vicenda umana è la risultante dello scontro fra certi assoluti (termine untuoso, come i “temi universali” dei sussidiari, ma di quello si tratta) e tutti i contingenti che trovano sulla loro strada. Il progresso tecnologico ha reso obsoleto il romanzo?

Verrebbe da dire di sì, ma la domanda è malposta, perché verte su una contrapposizione libro/telefono che è solo superficiale. Sotto la superficie, anche la narrazione è una tecnologia. È un dispositivo che abbiamo inventato per costruire un senso a ciò che abbiamo intorno. Come i telefoni quel dispositivo si è evoluto nel tempo, plasmato dalle nostre necessità e insieme plasmando possibilità nuove; la sua forma più diffusa oggi – il romanzo realista psicologico, che segue la vicenda di alcuni individui indagandone l’interiorità in rapporto a un contesto circoscritto – ha una storia relativamente breve. Già lo scrittore indiano Amitav Ghosh, in La grande cecità, ne sottolineava l’inadeguatezza a raccontare qualcosa di sovraindividuale e impossibile da circoscrivere come il cambiamento climatico. In questa luce, molti cambiamenti letterari degli ultimi anni spesso derubricati come “mode” sono solo adattamenti della tecnologia narrativa a queste nuove esigenze, tentativi di trovare un dispositivo più adeguato ai nostri tempi: il romance è un romanzo realista non psicologico; il fantasy e la fantascienza sono romanzi non realisti; il memoir e la nonfiction sono realisti e psicologici ma non sono romanzi.

Vale per il romanzo ciò che Nanni Balestrini ha detto una decina d’anni fa quando gli si chiedeva se gli e-book avrebbero fatto sparire l’oggetto libro, frusciante e odoroso di carta: «Il libro è un accidente storico della letteratura: la quale esisteva prima ed esisterà dopo. Per un lasso relativamente breve di tempo il loro percorso è stato comune: ma non dobbiamo illuderci che libri e letteratura siano la stessa cosa, perché non lo sono. Solo uno dei due vivrà per sempre».

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Vincenzo Latronico
Vincenzo Latronico

Traduce e scrive romanzi. Ne ha pubblicati quattro con Bompiani, l'ultimo a marzo 2022: Le perfezioni.

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