Storia di un grattacielo assurdo a Manhattan

Interamente in cemento e senza finestre, il 33 Thomas Street ha prima ispirato film di spionaggio, e poi è finito davvero in mezzo allo scandalo della NSA

(Lars Plougmann, Wikimedia Commons)
(Lars Plougmann, Wikimedia Commons)

Nella parte meridionale di Manhattan, nell’area del “triangolo a sud di Canal Street” che da qualche decennio è conosciuta come Tribeca, dal 1974 c’è un edificio imponente, alto circa 170 metri, senza una sola finestra. Le sue pareti esterne sono composte di blocchi di cemento rivestiti di granito svedese, da cui spiccano sei grosse sporgenze a base rettangolare, necessarie per ospitare condotti dell’aria, scale e ascensori. Le uniche aperture verso l’esterno sono una serie di cappe di ventilazione. La notte non c’è nessuna luce ad illuminarlo: l’effetto è quello di un enorme pilastro buio che interrompe le tantissime luci degli edifici circostanti.

È il Long Lines Building, oggi conosciuto soprattutto con il nome dell’indirizzo a cui si trova, 33 Thomas Street. Molti lo considerano un esemplare particolarmente riuscito di brutalismo, ovvero di quello stile architettonico emerso negli anni Cinquanta e caratterizzato da un largo uso del cemento a vista e una predilezione per la funzionalità sobria e impersonale degli edifici. Ed è un posto stranissimo: praticamente impossibile da visitare, ha ispirato varie storie di spie al cinema e in televisione, prima di essere indicata come sede di operazioni di spionaggio da parte dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA) statunitense da varie inchieste nei primi anni Dieci.

(Gunnar Klack, Wikimedia Commons)

A metà degli anni Sessanta l’azienda di telecomunicazioni AT&T, che all’epoca deteneva sostanzialmente il monopolio del settore negli Stati Uniti e aveva uno strettissimo rapporto sia con il governo che con l’apparato militare del paese, decise di far costruire nel mezzo di Manhattan un edificio che doveva servire a ospitare il più grande centro di elaborazione delle chiamate telefoniche a lunga distanza del mondo. Il progetto fu affidato a John Carl Warnecke, che all’epoca era uno degli architetti più rinomati del paese: vicino a vari politici e potenti uomini d’affari, era in rapporti particolarmente buoni con la famiglia Kennedy, al punto di essere incaricato di progettare personalmente la tomba di John Fitzgerald Kennedy dopo il suo assassinio, avvenuto nel 1963.

Nel contesto della Guerra fredda, AT&T aveva come priorità la protezione delle infrastrutture di telecomunicazione statunitensi anche in caso di attacco nucleare: per questo motivo, per esempio, molte delle sue stazioni di commutazione erano protette da portoni resistenti alle esplosioni e rifornite di cibo, sistemi di trattamento delle acque reflue e docce di decontaminazione. E per lo stesso motivo, a Warnecke venne chiesto di progettare un edificio che fosse capace di resistere a un attacco nucleare e alle conseguenti radiazioni, ma anche di custodire centinaia di migliaia di litri di combustibile per alimentare i generatori di riserva e abbastanza cibo, acqua e spazio per accogliere comodamente 1500 persone per due settimane in caso di emergenza.

Nel descrivere l’edificio che aveva progettato, Warnecke scrisse che immaginava il Long Lines Building come «una fortezza del ventesimo secolo, che sappia difendersi non da lance e frecce ma dai protoni e neutroni che rischiano di assediare silenziosamente l’esercito di macchine che stanno al suo interno», e dove quindi «non possono essere consentite finestre o aperture».

In un recente articolo dedicato all’edificio pubblicato sulla rivista Places, il giornalista Zach Mortice ha però raccontato che il Long Lines Building fu progettato anche per resistere a un altro tipo di potenziale attacco: quello portato avanti dalla popolazione civile nel contesto di un’eventuale rivolta o attacco terroristico. Mortice ricorda che gli anni Sessanta e Settanta furono segnati infatti prima dalle partecipate manifestazioni contro la guerra in Vietnam, e poi dalle azioni di gruppi radicali per il miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione afroamericana come le Pantere Nere, considerate dalla polizia federale statunitense uno dei più grandi pericoli per la sicurezza pubblica del paese. In questo contesto, scrive, era chiaro che «i rivoluzionari erano disposti a usare la violenza per raggiungere i propri obiettivi politici, e che lo stato avrebbe risposto allo stesso modo».

33 Thomas Street appartiene ancora oggi ad AT&T, una delle più importanti aziende private di telecomunicazione statunitense, anche se alcuni piani dell’edificio oggi sono di Verizon, altra azienda fornitrice di servizi di telecomunicazioni e internet a banda larga. Non si sa esattamente quante persone ci lavorino, ma è piuttosto certo che grandissima parte dello spazio sia ancora occupato da computer, cavi, server e altre macchine che servono sia per le comunicazioni telefoniche a lunga distanza (per esempio quelle intercontinentali) sia per conservare dati particolarmente riservati. Secondo la storica dell’architettura Addison Godel, i pavimenti che dividono un piano dall’altro sono molto alti e rinforzati, pensati per sostenere carichi pesantissimi. Le cappe di ventilazione, piazzate verso la cima dell’edificio, sono invece necessarie per evitare che i computer si surriscaldino.

Data la sua conformazione vagamente minacciosa e la totale assenza di finestre, 33 Thomas Street ha presto ispirato sceneggiatori e registi: vari film e serie tv, soprattutto del secolo scorso, hanno immaginato che al suo interno fossero condotte operazioni di sorveglianza, di propaganda o di controllo sociale. L’edificio è apparso in serie di fantascienza come Mr Robot e X-Files, ma anche in una serie di thriller e film di spionaggio degli anni Settanta come Executive Action, The Parallax View, Coma e Winter Kills. In quest’ultimo film, l’edificio è il centro operativo di una fitta rete di spionaggio, e nelle sue stanze si trovano pile e pile di documenti accumulati nel tempo con il solo scopo di ricattare politici e uomini di potere.

A distanza di cinquant’anni, nel 2016 un’inchiesta del giornale statunitense The Intercept ha accusato AT&T di permettere alla National Security Agency (NSA, ovvero l’organismo del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti responsabile della sicurezza nazionale) di accedere con facilità ai dati e alle comunicazioni che passavano per vari suoi centri, tra cui quello di 33 Thomas Street. The Intercept, testata diventata famosa per essere stata la prima a pubblicare i documenti ottenuti da Edward Snowden sui programmi di sorveglianza di massa dell’NSA, scrisse che il Long Lines Building era uno dei centri di sorveglianza più importanti del paese, usato per intercettare telefonate, fax, email, videoconferenze e altri dati scambiati attraverso i cavi telefonici e le altre infrastrutture di AT&T. Il nome in codice dell’edificio era TITANPOINTE.

(Wikimedia Commons)

Della collaborazione molto stretta tra AT&T e governo federale si era già scoperto molto, grazie ai documenti condivisi da Snowden, negli anni precedenti: secondo i documenti, infatti, l’azienda aveva avuto un ruolo molto rilevante nell’applicazione del programma speciale di sorveglianza previsto dall’amministrazione Bush in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001.

Dall’ottobre del 2001, aveva scoperto The Intercept, AT&T aveva fornito al governo americano «miliardi» di email e telefonate effettuate sulla propria rete, cedendo volontariamente email scambiate da cittadini non americani e fornendo assistenza tecnica all’amministrazione americana per il suo programma di spionaggio al quartier generale dell’ONU. Il programma aveva permesso, nell’arco di dieci anni, di intercettare le telecomunicazioni di istituzioni come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Unione europea, le Nazioni Unite e i governi di 38 paesi, tra cui Italia, Francia, Germania e Giappone.

AT&T si difese dicendo di «non consentire ad alcuna agenzia governativa di connettersi direttamente o di controllare in altro modo la nostra rete», ma di limitarsi a «rispondere alle richieste di informazione del governo, basate su ordinanze e altri processi obbligatori, oppure su base legale e volontaria quando la vita di una persona è in pericolo e il tempo stringe, come in caso di rapimento». L’azienda disse anche che i rappresentanti dell’NSA non avevano accesso ad alcuna stanza all’interno della loro porzione di 33 Thomas Street, ma non disse niente sulle parti dell’edificio gestite da Verizon.

Nei documenti dell’NSA, comunque, non si diceva che l’agenzia potesse «connettersi direttamente o controllare in altro modo la rete», ma che invece avesse collocato dentro a TITANPOINTE delle proprie apparecchiature in grado di intercettare telefonate e dati. Ancora oggi non è certo che TITANPOINTE fosse effettivamente 33 Thomas Street, ma il Long Lines Building è l’unico edificio appartenente ad AT&T che corrisponde alle descrizioni contenute nei documenti condivisi da Snowden.

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