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  • Sabato 30 dicembre 2023

Com’è che l’anguria è diventata un simbolo della resistenza palestinese

Quest'anno l'emoji del frutto rosso, verde, bianco e nero si è diffuso moltissimo sui social network, ma è una rappresentazione che esiste da decenni

(Vuk Valcic/ZUMA Press Wire)
(Vuk Valcic/ZUMA Press Wire)
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Da quando il 7 ottobre è iniziata la guerra tra Israele e Hamas, sui social network l’emoji che rappresenta una fetta di anguria è stata usata per esprimere solidarietà al popolo palestinese, e disegni dello stesso frutto sono stati usati sui cartelli durante le molte manifestazioni contro Israele. L’anguria infatti è un frutto che cresce nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, e i suoi colori (rosso, verde, bianco e nero) sono anche i colori della bandiera palestinese.

Negli ultimi mesi questa rappresentazione ha cominciato a essere usata e compresa largamente un po’ in tutto il mondo, ma l’anguria è stata un simbolo della resistenza palestinese segretamente per decenni, anche se è difficile dire con esattezza da quando.

Sascha Crasnow, una ricercatrice che si occupa di arte palestinese e islamica all’università del Michigan, ha detto al New York Times che le origini del simbolo dell’anguria non sono chiarissime. La sua storia inizia molto probabilmente con la soppressione della bandiera palestinese da parte di Israele tra il 1967 (quando dopo la guerra dei Sei giorni Israele occupò molti territori tra cui Gerusalemme est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza) e il 1993 (quando furono ratificati gli accordi di Oslo, con cui per la prima volta Israele e Palestina si riconobbero come legittimi interlocutori).

La bandiera palestinese non fu esplicitamente vietata da Israele ma fu di fatto fatta sparire a forza dai territori occupati: fu in quegli anni, secondo Crasnow, che si cominciarono a usare immagini di angurie al posto delle bandiere. Anche più di recente e prima di ottobre, comunque, non era inusuale che l’esercito israeliano confiscasse bandiere palestinesi nei territori occupati.

Secondo un’altra ricostruzione tutto cominciò dalla reazione di alcuni artisti palestinesi a cui negli anni Ottanta l’esercito israeliano vietò di usare i colori della bandiera nelle loro opere. Uno degli artisti, Sliman Mansour, ha detto in un’intervista che si sentì dire che gli avrebbero confiscato le opere se avesse usato quei colori, fosse anche per disegnare un’anguria. Un artista palestinese che è stato molto ripreso a partire dal 2021 è Khaled Hourani, che vive in Cisgiordania e che usa molto spesso l’immagine dell’anguria nelle sue opere.

 

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L’emoji dell’anguria invece fu introdotta nelle app di messaggistica nel 2015 e cominciò a essere usata più frequentemente nel 2021, quando le tensioni accumulate negli anni tra Israele e Hamas sfociarono in una nuova guerra. Negli ultimi mesi l’uso dell’emoji dell’anguria online è stato un modo per le persone che volevano mostrare solidarietà al popolo palestinese di non farlo troppo esplicitamente, per evitare di essere penalizzati dall’algoritmo o da interventi di moderazione di Meta (il gruppo che possiede Instagram e Facebook), che negli ultimi mesi ha bloccato o rallentato la circolazione di contenuti sull’attacco israeliano nella striscia di Gaza.

In un’intervista al Washington Post Dina Matar, docente di comunicazione e media del mondo arabo della SOAS University of London, ha spiegato che esporre la bandiera palestinese è così importante perché permette di esprimere un senso di comune appartenenza nazionale a un gruppo di persone che rivendicano l’esistenza del proprio stato: «i palestinesi non hanno uno stato, ma hanno una nazione. La bandiera è un simbolo importante per affermare che la Palestina esiste», ha detto Matar.

Con la recente grande diffusione di questo simbolo, ha commentato Crasnow, il significato della sua esposizione è molto cambiato. Prima era una pratica sovversiva di chi conosceva il significato di questo simbolo, e che si basava principalmente sull’intento di non dare nell’occhio (come invece avrebbe fatto una bandiera); oggi l’anguria è diventata «un simbolo per tutti» e «più ampio», alla portata di chiunque faccia parte di questa «resistenza», come l’ha definita Crasnow.