La Banca Mondiale continua a finanziare i combustibili fossili

Da anni viene criticata da associazioni e attivisti per il clima: le cose potrebbero cambiare con il nuovo presidente

(AP Photo/Andrew Harnik)
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Alla 28esima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, in breve COP28, uno dei temi in discussione è l’istituzione di fondo di compensazione per i paesi in via di sviluppo più esposti agli effetti del cambiamento climatico (in inglese si usa l’espressione “loss and damage”, “perdite e danni”). Nell’istituzione di questo fondo potrebbe avere un ruolo la Banca Mondiale. Sulla possibilità che proprio la Banca Mondiale possa gestire il fondo ci sono numerose perplessità, di ordine politico ed economico. Tra le altre cose, l’istituzione è da tempo al centro di forti critiche per i notevoli finanziamenti che fornisce al settore dei combustibili fossili, quelli che provocano le emissioni di gas serra e l’aumento delle temperature dell’atmosfera: petrolio, gas e carbone.

Una ricerca recente elaborata dall’organizzazione Urgewald, che si occupa proprio di tracciare le risorse economiche che arrivano ai settori inquinanti, dimostra che nel 2022 il gruppo della Banca Mondiale ha erogato oltre 3,7 miliardi di dollari di finanziamenti che in varie forme sono arrivati ad aziende attive proprio nel settore dei combustibili fossili.

Con “gruppo della Banca Mondiale” si intende l’insieme di istituzioni internazionali che si occupano di finanziare progetti a lungo termine nei paesi più poveri e in via di sviluppo, dove tra l’altro notoriamente le fonti fossili sono ancora molto sussidiate. Da tempo molti osservatori e studiosi chiedono la riforma delle regole per l’erogazione dei fondi: spesso hanno meccanismi opachi e contorti, che non consentono di tracciare con precisione dove vanno a finire i soldi. Con il risultato che la Banca Mondiale finanzia anche settori da cui la maggior parte delle organizzazioni internazionali e dei governi stanno gradualmente prendendo le distanze, quantomeno nelle intenzioni.

Di recente si era discusso molto del legame tra Banca Mondiale e fonti inquinanti anche a causa del suo presidente, David Malpass, che era stato accusato di avere posizioni negazioniste sul cambiamento climatico: era stato indicato nel 2019 dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump e a febbraio di quest’anno aveva annunciato le sue dimissioni proprio per le forti critiche ricevute. Con l’arrivo a giugno del nuovo presidente, l’imprenditore indo-statunitense Ajay Banga, sembra che per la Banca Mondiale sia iniziato un periodo di ripensamento su come provare a cambiare le cose.

Cos’è la Banca Mondiale
La Banca Mondiale è un’istituzione creata alla fine della Seconda guerra mondiale. Nacque insieme al Fondo Monetario Internazionale e nelle intenzioni le due istituzioni dovevano avere compiti diversi ma complementari, con la finalità comune di garantire una cooperazione economica che fosse davvero efficace a livello internazionale: il FMI doveva servire a garantire la stabilità monetaria internazionale e a dare prestiti di emergenza in caso un paese si trovasse in una grave situazione di squilibrio economico; alla Banca Mondiale fu invece affidato il compito di aiutare la ricostruzione dei paesi più colpiti dalla guerra attraverso finanziamenti ai governi.

Dopo la sua creazione divenne evidente che in realtà il compito della ricostruzione lo aveva principalmente assunto il piano Marshall, il grande progetto di aiuti economici provenienti dagli Stati Uniti e diretti ai paesi europei. Nel corso degli anni lo scopo della Banca Mondiale è quindi cambiato e si è evoluto: oggi si occupa di studiare i processi che portano le nazioni allo sviluppo economico e soprattutto di offrire capitali a lungo termine, assistenza e consulenza ai paesi più poveri per crescere e iniziare a prosperare.

Per prassi ormai consolidata la nomina del presidente della Banca Mondiale spetta agli Stati Uniti, mentre quella del direttore del FMI ai governi europei.

Inizialmente la Banca Mondiale nacque con il nome Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS), e con il tempo fu affiancata da altre istituzioni: tra queste le più rilevanti sono l’International Finance Corporation (IFC), il cui unico compito è stimolare gli investimenti esteri e fornire capitali alle aziende nei paesi in via di sviluppo e l’International Development Association (IDA), che concede prestiti a condizioni di favore ai paesi particolarmente svantaggiati. Con l’espressione Banca Mondiale generalmente si intendono solo la BIRS e la IDA, mentre con l’espressione “gruppo della Banca Mondiale” tutte le varie istituzioni insieme.

Come e in cosa investe il gruppo della Banca Mondiale
Nel 2022 il gruppo della Banca Mondiale ha garantito complessivamente 104 miliardi di dollari di finanziamenti in tutto il mondo. Per la maggior parte finanzia progetti che devono garantire nel tempo un profitto economico e che devono avere anche un valore sociale e orientato allo sviluppo dei paesi dove vengono avviati. Riguardano i settori più vari: dall’agricoltura alla realizzazione di infrastrutture, dall’assistenza sanitaria alla ricerca e via così.

Tra questi ci sono anche investimenti per lo sviluppo di energie da fonti rinnovabili, ma c’è ancora una quota consistente di fondi che finanziano le fonti fossili, benché la maggior parte delle organizzazioni internazionali e degli stati stia gradualmente riducendo i legami con i settori di petrolio, gas e carbone. Non c’è niente di illegale nel continuare a investire in questi settori, ma si pone una notevole questione etica e reputazionale nel caso di un’organizzazione internazionale partecipata dai governi di tutto il mondo e che ha tra i suoi obiettivi concreti il contrasto al cambiamento climatico.

La Banca Mondiale ha comunque dichiarato che da luglio di quest’anno tutti i finanziamenti che erogherà dovranno essere in linea con gli obiettivi degli accordi di Parigi del 2015, che semplificando prevedono di limitare l’aumento della temperatura media globale entro i due gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. Anche se riuscirà ad allinearsi ci sono comunque delle opacità di fondo su come sono classificate le sue diverse operazioni, per cui alcune potrebbero apparire in linea con gli obiettivi pur di fatto andando a finanziare le fonti fossili.

Il problema è che, per come sono strutturate le operazioni della Banca Mondiale, è molto complicato capire con la precisione che sarebbe necessaria la destinazione dei finanziamenti erogati. In parte perché alcuni degli strumenti finanziari usati dalla Banca e molto comuni nel commercio internazionale, perfettamente legittimi ma per loro natura piuttosto opachi, non consentono di verificare in maniera granulare dove vanno i finanziamenti. In secondo luogo perché al momento la Banca Mondiale non è davvero attrezzata a monitorare gli effetti climatici dei suoi investimenti.

Molti esperti e organizzazioni per la lotta al cambiamento climatico chiedono da tempo che le istituzioni appartenenti alla Banca Mondiale rendano più trasparenti i loro criteri di classificazione dei finanziamenti, per poter valutare in modo più facile e immediato il rispetto degli obiettivi ambientali. Secondo un recente rapporto di Oxfam, organizzazione internazionale non profit, circa il 40 per cento dei finanziamenti erogati dalla Banca Mondiale non è verificabile in questo senso.

Nel caso della Banca Mondiale fino a luglio di quest’anno – quando l’istituzione ha dichiarato di volersi conformare ai parametri dell’accordo di Parigi – non c’erano neanche dei parametri precisi su cui basare una valutazione sul rispetto o meno delle quote di investimento che potevano essere destinate a settori inquinanti. Oltretutto, gli investimenti nel settore di petrolio, gas e carbone non sono neanche esclusi dalla lista di investimenti vietati per statuto.

Le cose comunque potrebbero cambiare, anche in seguito alle vicende recenti sul cambiamento del presidente. A febbraio il presidente David Malpass annunciò che si sarebbe dimesso: negli ultimi mesi del 2022 era stato duramente criticato da attivisti ambientalisti – tra cui l’ex vicepresidente statunitense Al Gore, noto per le sue campagne ambientaliste – perché, durante un evento pubblico organizzato dal New York Times, si era rifiutato di dire se riconosceva o meno il prevalente consenso scientifico sul fatto che l’uso dei combustibili fossili fosse la causa del riscaldamento globale. Da allora più volte erano state chieste le sue dimissioni.

A giugno è diventato presidente della Banca Mondiale Ajay Banga, imprenditore che è stato per anni anche amministratore delegato dell’azienda di pagamenti elettronici Mastercard. È stato indicato dal presidente statunitense Joe Biden per la sua esperienza nella promozione di misure contro il cambiamento climatico: il presidente viene eletto dal consiglio di amministrazione della Banca, ma è prassi che venga scelta la persona indicata dall’amministrazione statunitense. Nell’annuncio, Biden ha detto che Banga ha decenni di esperienza nella creazione di aziende internazionali e partenariati tra pubblico e privato per finanziare possibili soluzioni ai cambiamenti climatici e alla migrazione, nonché la capacità di interfacciarsi con i vari leader globali.

Prima di assumere la carica di presidente della Banca Mondiale Banga era vicepresidente di General Atlantic, una società che ha investito oltre 800 milioni di dollari nella ricerca di nuove soluzioni per veicoli elettrici, energia solare e agricoltura sostenibile. Nei dodici anni in cui ha lavorato a Mastercard ha spesso guidato progetti riguardanti il clima, l’uguaglianza di genere e l’agricoltura sostenibile.

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