Mentiamo tutti, mentiamo spesso

Ma in misura variabile a seconda delle attitudini individuali, del tipo di bugia, delle relazioni interpersonali e anche del mezzo di comunicazione

graffito nuova sede BCE 2014
Un graffito dell’artista tedesco Case Maclaim all’esterno della sede della Banca Centrale Europea, a Francoforte, il 7 maggio 2014 (AP Photo/Michael Probst)
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In misura variabile a seconda dei casi, delle circostanze e delle attitudini, consapevolmente o inconsapevolmente, tutte le persone mentono. Negli studi di semiotica (la scienza dei segni linguistici) la capacità di mentire è considerata un’abilità comunicativa tipicamente umana, e l’inganno un tratto così radicato nel linguaggio verbale da essere una caratteristica distintiva. Secondo una nota definizione del semiologo e scrittore italiano Umberto Eco, se infatti un segno non può essere usato per mentire, non può essere usato nemmeno per dire la verità.

A volte si mente per fretta, altre volte per semplificare un argomento complesso, altre volte ancora per ricerca di consensi e approvazione. Ci sono persone che mentono con l’obiettivo di evitare dispiaceri o dolori ad altre persone, altre per manipolarle, e altre ancora che mentono per il gusto di mentire. Ma oltre che da inclinazioni individuali la tendenza a mentire dipende da diverse variabili, da tempo oggetto di ricerche e studi di psicologia. Può dipendere dal grado di intimità con l’interlocutore o l’interlocutrice, per esempio, ma anche dal contesto, dal tipo di interazione – se di persona o a distanza – e dal canale della comunicazione.

Uno degli studi più citati sulla frequenza delle bugie risale agli anni Novanta e fu condotto da un gruppo di ricerca guidato dalla statunitense Bella DePaulo, psicologa sociale della University of California Santa Barbara. A un campione di 147 persone adulte fu chiesto di annotare per una settimana ogni bugia che dicevano: i risultati mostrarono che le persone mentivano in media uno o due volte al giorno. La maggior parte delle bugie era innocua: le persone le dicevano principalmente o per nascondere le proprie inadeguatezze, o per proteggere i sentimenti di altre persone.

Confermando l’impressione del gruppo di ricerca sul fatto che le bugie siano parte delle normali interazioni sociali quotidiane, i partecipanti dissero di non considerare le loro bugie come un comportamento biasimevole. Il gruppo di ricerca scoprì inoltre che le persone non programmavano di dire bugie, di solito, né si preoccupavano della possibilità di essere scoperte. Allo stesso tempo i risultati dello studio indicarono che le interazioni sociali in cui venivano tendenzialmente raccontate le bugie erano meno piacevoli e meno intime rispetto a quelle in cui non veniva detta alcuna bugia.

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Uno studio successivo, pubblicato nel 2010 e condotto da un gruppo di ricerca della Michigan State University su un campione di mille persone negli Stati Uniti, si concentrò sulla distribuzione oltre che sulla frequenza delle bugie, e contribuì in parte ad attenuare l’idea che mentire fosse un comportamento diffuso più o meno uniformemente in tutta la popolazione. Ai partecipanti fu chiesto di indicare il numero di bugie raccontate in un periodo di 24 ore: circa il 60 per cento disse di non averne detta alcuna, e circa la metà di tutte le bugie segnalate (1.646) provenivano soltanto dal 5,3 per cento del campione. La distribuzione delle bugie non era uniforme, in altre parole, e la maggior parte era raccontata soltanto da poche persone inclini a mentire.

La tendenza a mentire è condizionata in parte anche da variabili ambientali, come il livello di intimità nell’interazione e il mezzo di comunicazione, non sempre in modi facilmente prevedibili. Alcune ricerche hanno tentato di scoprire se le bugie siano più frequenti nelle interazioni faccia a faccia o in quelle a distanza, per esempio. Per uno studio pubblicato nel 2014 e condotto da un gruppo della Cornell University, nello stato di New York, e della Northwestern University, in Illinois, a 164 studenti di età compresa tra 18 e 34 anni fu chiesto di esaminare i 30 messaggi di testo più recenti da loro inviati e controllare se contenessero bugie oppure no.

Anche in questo caso il gruppo di ricerca riscontrò che un piccolo numero di persone era molto più incline della media a dire bugie. Mentire nei messaggi di testo era però un comportamento abbastanza diffuso in generale: più di quanto lo fosse nelle interazioni di persona. Il 76 per cento dei partecipanti disse di aver detto almeno una bugia nei 30 messaggi di testo presi in considerazione. Il gruppo di ricerca trovò anche qualche prova a sostegno della tesi secondo cui nei messaggi a distanza le persone dicono tendenzialmente meno bugie alle persone con cui hanno una relazione più stretta, forse perché sentono in quel caso una minore pressione sociale a mentire.

Anche il canale della comunicazione influisce in una qualche misura sulla tendenza a mentire. Lo statunitense David M. Markowitz, che insegna comunicazione alla Michigan State University e studia da anni come i diversi canali tecnologici influenzino la codifica e la decodifica dei messaggi, ampliò in uno studio pubblicato nel 2021 i risultati di uno studio del 2004 sulla tendenza delle persone a raccontare più bugie al telefono che per email o nei messaggi di testo. Chiese a un campione di 250 persone di segnalare nell’arco di una settimana le bugie da loro raccontate nelle interazioni di persona, tramite social media, SMS, telefono, videochiamate e email.

Confermando i risultati dello studio del 2004, Markowitz scoprì che le persone tendevano effettivamente a dire più bugie nelle interazioni sociali che avvengono in simultanea (sincrone) e di cui non rimane generalmente traccia, come telefono e videochiamata. Le differenze tra le persone erano tuttavia un fattore più potente delle differenze tra i canali di comunicazione nel determinare la variabilità dei comportamenti. Tra i canali a distanza l’email risultò in assoluto quello in cui le bugie erano meno frequenti, e sia lo studio di Markowitz che quello del 2004 citarono come possibili ragioni di questa tendenza due fattori.

Uno è che la registrazione di una traccia teoricamente indelebile da parte del destinatario della bugia attiva implicitamente maggiori attenzioni da parte degli interlocutori e rende la menzogna meno attraente. E l’altro è che le bugie sono spesso il risultato di azioni estemporanee, quindi meno probabili attraverso canali asincroni come le email e i messaggi, che implicano un certo ritardo nella comunicazione e di conseguenza una maggiore probabilità di analizzare le parole prima di condividerle.

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Esiste poi anche una correlazione tra le bugie e il dispositivo tecnologico utilizzato, come sostenuto in uno studio del 2022 recentemente ripreso dal Wall Street Journal. Secondo i risultati dello studio, le persone hanno maggiori probabilità di mentire per il proprio tornaconto quando svolgono attività su un laptop anziché su un telefono cellulare. Una possibile spiegazione – che riprende in parte le conclusioni dello studio del 2014 sull’influenza del livello di intimità nell’interazione – è che le persone associano i laptop al lavoro e il cellulare ad amici e familiari.

Una parte dello studio prevedeva un esperimento di contrattazione che chiedeva ai partecipanti di utilizzare un laptop o un cellulare per inviare un’email a un destinatario casuale con un’offerta una tantum di condividere una certa somma fittizia di denaro. Chi proponeva l’offerta sapeva che la somma sul piatto era 125 dollari, mentre i destinatari delle email sapevano soltanto che l’importo sul piatto era compreso tra 5 e 200 dollari. L’email da inviare era di questo tipo: «L’importo che ti offro è __ dollari. La dimensione totale del piatto è __ dollari». Se il destinatario accettava l’offerta, entrambe le parti venivano pagate: il destinatario della email prendeva la parte di premio concessa dall’offerente, che riceveva quanto restava dei 125 dollari.

I risultati dell’esperimento mostrarono che in generale i partecipanti che utilizzavano il laptop per fare le loro offerte dicevano ai destinatari dell’email che l’importo del piatto era significativamente più piccolo rispetto a quello indicato dai partecipanti che facevano la loro offerta utilizzando il cellulare. Gli utenti di laptop, in altre parole, mentivano di più sulla dimensione del piatto, nella speranza di tenerne di più per sé.

Come notato in un articolo sul sito The Conversation dallo statunitense Christian B. Miller, docente di filosofia alla Wake Forest University, in North Carolina, e autore del libro Honesty: The Philosophy and Psychology of a Neglected Virtue, il tipo di relazione con l’interlocutore o l’interlocutrice influenza infine non soltanto la frequenza ma anche il tipo di bugie. I risultati di alcuni studi degli anni Novanta condotti da DePaulo e citati da Miller indicano che le persone tendono a dire più spesso agli estranei o a chi conoscono poco le piccole bugie di tutti i giorni: dire di una torta appena assaggiata che è squisita davanti a chi l’ha cucinata, per esempio.

La tendenza a mentire di più con le persone che non si conoscono che con familiari e amici è anche abbastanza comprensibile, considerata l’impersonalità dell’interazione in un caso e i legami di affetto e di cura nell’altro caso. Ma la tendenza si inverte quando si prendono in considerazione le bugie gravi, che riguardano per esempio questioni finanziarie, tradimenti, comportamenti proibiti, atti di violenza e fatti compromettenti: in questo caso le bugie sono più spesso rivolte a partner e persone intime. «Forse non sorprende che in queste situazioni le persone possano apprezzare di più il non danneggiare le proprie relazioni che la verità», ha scritto Miller.