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  • Sabato 4 novembre 2023

Netanyahu è più impopolare che mai

La maggior parte degli israeliani lo ritiene inadeguato a guidare il paese in questo momento di crisi, e lui non sta facendo molto per convincerli

(Abir Sultan/Pool Photo via AP)
(Abir Sultan/Pool Photo via AP)

Nelle settimane successive al massacro di civili compiuto da Hamas il 7 ottobre, nella politica e nell’opinione pubblica di Israele stanno avvenendo due fenomeni apparentemente opposti. Da un lato si sta verificando quello che in gergo inglese è chiamato “rally ‘round the flag”, che avviene quando una comunità che ha subìto un forte trauma si compatta a sostegno del leader al potere. In Israele, in questo momento, i sondaggi mostrano come la popolazione sia piuttosto unita e sostiene con convinzione l’operazione militare che l’esercito sta conducendo nella Striscia di Gaza.

Ma al contrario di quanto avviene in questi casi, la popolazione israeliana non si sta riunendo attorno alla leadership di Benjamin Netanyahu, anzi: il primo ministro israeliano è più impopolare che mai, e la stragrande maggioranza dei suoi concittadini lo ritiene inadeguato a condurre la guerra e a gestire l’enorme crisi provocata dall’attacco di Hamas.

Secondo alcuni sondaggi riportati dal Financial Times, soltanto il 7 per cento della popolazione israeliana si fida di Netanyahu nella gestione della guerra. Questa sfiducia è enorme tra gli elettori di centrosinistra (soltanto il 4 per cento di loro si fida di Netanyahu) ma è molto forte anche tra gli elettori di centrodestra (il 10 per cento si fida). È anche in fortissimo contrasto con l’ampia fiducia (al 74 per cento) che invece viene accordata ai capi delle forze armate, con cui Netanyahu ha avuto ampi dissidi in passato e anche dopo l’inizio della guerra.

Anche a livello politico Netanyahu è in crisi: se si votasse oggi, soltanto il 29 per cento degli israeliani lo vorrebbe come primo ministro, contro il 48 per cento di Benny Gantz, il capo dell’opposizione che dall’inizio della guerra è entrato in un governo di unità nazionale.

È il dato più basso della lunghissima carriera di Netanyahu, che è stato al potere in Israele per buona parte degli ultimi 15 anni ed è considerato uno dei politici più abili della sua generazione, eccezionale nelle campagne elettorali e capace di formare coalizioni anche molto azzardate pur di rimanere al potere. La coalizione con cui ha governato fino a ottobre, quando parte dell’opposizione è entrata nel governo, era quella più a destra della storia di Israele, e comprendeva numerosi leader politici estremisti e fondamentalisti ebraici. Il suo governo era già duramente contestato per una proposta di riforma della giustizia che secondo l’opposizione avrebbe indebolito le libertà democratiche del paese, ma lo scoppio della guerra ha fatto precipitare tutto.

Le ragioni di malcontento nei confronti di Netanyahu sono principalmente di due tipi. La prima riguarda il fatto che Netanyahu nei suoi lunghi anni al potere ha sottovalutato la pericolosità di Hamas, sminuito la gravità della situazione nella Striscia di Gaza e cercato di politicizzare l’esercito per rispondere a esigenze che non riguardavano la sicurezza di Israele ma le priorità politiche sue e della sua coalizione di ultradestra.

Benché per molti anni il soprannome di Netanyahu fosse stato “Mr. Security”, mister sicurezza, in realtà nel corso degli anni sono stati tantissimi i membri della comunità della difesa israeliana che hanno criticato apertamente Netanyahu e le sue politiche, compresi alcuni ex capi del Mossad, i servizi segreti esterni, e dello Shin Bet, i servizi segreti interni. Secondo molte analisi Netanyahu, vedendo nella leadership delle forze armate e dell’intelligence un possibile avversario interno, l’ha molto spesso indebolita, anziché rafforzarla.

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Da molti ambienti, soprattutto a sinistra, Netanyahu è anche accusato di aver concesso legittimità politica a Hamas, con l’obiettivo di indebolire la leadership palestinese moderata di Fatah, che governa la Cisgiordania. Questo non significa che Netanyahu abbia aiutato o sostenuto direttamente Hamas, ma che molto spesso abbia approfittato del dominio del gruppo sulla Striscia di Gaza per evitare di affrontare politicamente la questione palestinese e per minimizzare la possibilità di negoziati seri con la leadership di Fatah.

La seconda ragione di malcontento nei confronti di Netanyahu riguarda il suo comportamento nei giorni e nelle settimane successive al massacro di Hamas. Benché abbia fatto numerosi discorsi piuttosto bellicosi contro Hamas, Netanyahu è sembrato più preoccupato a preservare la sua immagine, a scansare ogni responsabilità e a ridurre le possibili perdite di consensi politici che a guidare un paese traumatizzato e in crisi.

Mentre nei giorni dopo il massacro i comandanti delle forze armate e delle forze di sicurezza hanno chiesto scusa per quanto avvenuto con Hamas, Netanyahu ha evitato in tutti i modi anche soltanto di mostrare rammarico. Secondo Aviv Bushinsky, un ex consigliere di Netanyahu che adesso fa l’analista politico, Netanyahu evita di chiedere scusa o di fare ammenda perché teme che le scuse saranno usate contro di lui a livello politico. Ma così facendo, ha spiegato al Financial Times, ha finito per alienarsi buona parte del suo elettorato. «La gente dice: i nostri soldati stanno rischiando le proprie vite a Gaza, migliaia di persone hanno perso la propria casa, Moody’s, Fitch e S&P potrebbero ridurre il nostro rating e tutto quello a cui pensa Netanyahu è la sua sopravvivenza politica».

Questo atteggiamento si è visto molto bene la settimana scorsa, quando Netanyahu, peraltro molto tardi nel corso della notte, ha pubblicato un tweet in cui accusava i comandanti dell’esercito e dell’intelligence di non averlo avvertito di possibili attacchi di Hamas, di fatto scaricando tutta la colpa su di loro. Nel giro di poche ore ci sono state enormi proteste da parte di tutti i politici israeliani, e Netanyahu ha cancellato il tweet, chiedendo scusa. Alcuni giornalisti e commentatori hanno notato che sono state le uniche scuse fatte dal primo ministro.

Netanyahu ha anche mostrato un certo distacco nei confronti delle famiglie delle oltre 200 persone rapite da Hamas e portate nella Striscia di Gaza. Ha impiegato giorni per rivolgersi a loro direttamente con telefonate e messaggi, e poi per incontrarle di persona, probabilmente per timore di ricevere critiche. Negli ultimi giorni in Israele ci sono state grosse manifestazioni organizzate dalle famiglie degli ostaggi per chiedere al governo di rendere prioritaria la loro liberazione.

Tutto questo ha portato a una rabbia diffusa contro il primo ministro, che si è resa evidente anche con alcune manifestazioni plateali: negli scorsi giorni, tra le altre cose, alcuni attivisti hanno lanciato sangue finto contro la sede di Tel Aviv del Likud, il partito di Netanyahu.

Le ragioni di malcontento nei confronti di Netanyahu potrebbero aumentare ulteriormente nei prossimi mesi, tra le altre cose perché l’economia di Israele rischia di risentire duramente della guerra contro Hamas.

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