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  • Sabato 4 novembre 2023

Una parte dell’Asia ha un problema con la curcuma

Spesso per esaltarne il colore la sua polvere viene mescolata a sostanze nocive per la salute, ma in Bangladesh si è trovata una soluzione

curcuma
(EPA/ Chamila Karunarathne via ANSA)
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La curcuma è una pianta erbacea originaria del sud-est asiatico, dove è abbondantemente impiegata sia come spezia sia come colorante, e da qualche tempo ha cominciato a essere apprezzata e utilizzata anche in Europa per le sue proprietà antinfiammatorie e antiossidanti. La polvere che si ricava dal suo rizoma, cioè il fusto della pianta, le vale il suo nome in lingua hindi, “haldi”, che deriva dal sanscrito e significa “colore dell’oro”. Come ha spiegato di recente l’Economist, tuttavia il modo in cui viene trattata la curcuma in Asia per farle ottenere il suo tipico colore aranciato può essere molto pericoloso per la salute delle persone: è ancora un grosso problema in India mentre altri paesi, come il Bangladesh, hanno saputo trovare una soluzione.

Per esaltare il colore della spezia che si vuole ottenere, in alcuni paesi la polvere ricavata dai rizomi della curcuma viene mescolata insieme al cromato di piombo, un composto inorganico che spesso viene usato come pigmento in inchiostri e vernici, ma che se viene riscaldato produce fumi tossici, può essere altamente corrosivo ed è un forte ossidante. In diversi paesi del sud-est asiatico dove i controlli sulla produzione industriale sono piuttosto laschi, il piombo può essere assorbito attraverso utensili da cucina che ne contengono, cosmetici e altri prodotti di uso quotidiano. Alcuni studi però mostrano che la principale responsabile sarebbe la curcuma trattata in questa maniera (il processo è chiamato adulterazione), dato il grande uso che se ne fa.

L’esposizione delle persone ad alti livelli di piombo aumenta il rischio di sviluppare malattie cardiache e disturbi al cervello, con effetti particolarmente gravi nei bambini. Secondo un recente studio pubblicato su Lancet Planetary Health queste circostanze possono contribuire a spiegare come mai il sud-est asiatico abbia il più alto tasso di morti per avvelenamento da piombo, che nel 2019 ha ucciso almeno 1,4 milioni di persone. L’avvelenamento da piombo provoca anche disturbi nello sviluppo cognitivo dei bambini: un fenomeno che a detta del think tank statunitense Center for Global Development spiega almeno in parte il divario nell’istruzione tra paesi più o meno poveri.

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La questione sembra essere particolarmente grave in India, che è il paese in cui si produce il 75 per cento di curcuma, ma anche quello in cui si stima che ci sia la maggiore incidenza di avvelenamenti da piombo in tutto il mondo. L’Economist però ritiene che l’India possa prendere come esempio il Bangladesh, il paese vicino che nel giro di pochi anni sembra aver imparato a gestire la situazione in maniera efficace.

Tra il 2014 e il 2018 un gruppo ricercatori condotto da Jenna Forsyth della Stanford University (California) ha raccolto dati per dimostrare il collegamento tra un consumo elevato di curcuma e un’alta concentrazione di livelli di piombo nelle donne incinte delle aree rurali del Bangladesh. Dopodiché l’università ha cominciato a fare pressioni sulle autorità incaricate del controllo degli alimenti in Bangladesh per convincerle a vietare la pratica di mischiare la curcuma ad altre sostanze nocive.

Nel 2019 la Stanford University e il Centro Internazionale per la ricerca sulle malattie diarroiche del Bangladesh sono riusciti così ad avviare una campagna di sensibilizzazione che ha coinvolto anche l’ufficio della prima ministra del paese, Sheikh Hasina, che ha parlato dei rischi di avvelenamento da piombo collegati al consumo della curcuma sulla televisione pubblica. In tutto il paese è stata attivata una massiccia campagna con avvisi nei negozi e sui media locali. L’adulterazione della curcuma è stata dichiarata un reato, e sono state previste multe salate per i distributori che non rispettavano le indicazioni del governo.

I dati ufficiali pubblicati di recente dicono che nel giro di due anni la percentuale di curcuma prodotta in Bangladesh in cui c’erano tracce di piombo è passata dal 47 per cento a zero, il tutto senza costi eccessivi o ripercussioni. L’iniziativa sostenuta dal governo del paese ha comportato una drastica riduzione della quantità di piombo maneggiata dai dipendenti delle fabbriche in cui si lavora la curcuma, fra i quali i livelli di piombo nel sangue è diminuito in media del 30 per cento, scrive sempre l’Economist: a livello nazionale si stima che la campagna di sensibilizzazione possa aver salvato migliaia di vite.

Quelle applicate dal Bangladesh sono misure che insomma potrebbero adottare anche altri paesi coinvolti dal problema, sempre a patto che i loro governi siano disposti a sostenerle, collaborando con altre organizzazioni, e che ricevano l’appoggio dei media, dei negozianti e delle aziende, come è successo al di là del confine.

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