La nostra era un’altra “Tata”

Nella traduzione italiana la protagonista della serie cominciata 30 anni fa diventò da newyorkese di origini ebraiche a ciociara, generando un po' di stranezze e contraddizioni

Il 3 novembre del 1993, trent’anni fa, andò in onda l’episodio pilota (cioè il primo della serie) della sitcom statunitense The Nanny, che in Italia è conosciuta con il titolo La tata. Raccontava la storia di Fran Fine (interpretata da Fran Drescher), una donna di origini ebraiche nata nel distretto newyorkese del Queens, che all’inizio della serie incontrava un ricco e riservato produttore di Broadway, Maxwell Sheffield. L’uomo la assumeva per lavorare come governante e badare ai suoi tre figli, Maggie, Brighton e Grace, mansione che sarebbe stata poi al centro della trama della serie.

Negli Stati Uniti la serie andò in onda dal 1993 al 1999, per un totale di sei stagioni. In Italia fu trasmessa su Canale 5 a partire dal 1995, e tre anni dopo su Italia 1. Il pubblico italiano, però, conobbe una “Tata” abbastanza diversa rispetto all’originale. Questo perché le persone che curarono l’adattamento della serie scelsero di stravolgere diversi elementi, come i nomi dei personaggi, la loro provenienza geografica, i loro legami di parentela e la loro caratterizzazione. I cambiamenti riguardarono in primo luogo l’identità della protagonista: nella versione italiana Fran Fine fu infatti sostituita da Francesca Cacace, una donna nata e cresciuta a Frosinone che, raggiunta la maggiore età, decide di emigrare negli Stati Uniti in cerca di fortuna.

The Nanny fu scritta e prodotta dalla stessa Fran Drescher e dall’allora marito Peter Marc Jacobson, motivo per cui il personaggio protagonista aveva molte cose in comune con l’attrice, a partire dalle origini del Queens ed ebraiche. Le modifiche apportate alla versione italiana crearono alcuni paradossi narrativi: ad esempio, Cacace raccontava spesso aneddoti relativi ai suoi anni trascorsi in Ciociaria (una regione non ben definita del Lazio meridionale), ma i flashback dedicati alla sua infanzia erano tutti ambientati a New York. Anche la famiglia della protagonista subì degli sconvolgimenti nella traduzione: i suoi genitori, Silvia e Morty Fine, diventarono gli zii Assunta Iannantuono e Antonio Cacace, e di conseguenza sua sorella Nadine divenne Nadia, sua cugina.

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Il cambiamento più problematico, però, riguardò le origini ebraiche di Fine, che nell’adattamento italiano non furono mai neppure menzionate. Questo creò moltissime forzature, dato che nella serie originale erano presenti frequenti riferimenti alla religione ebraica e alle sue tradizioni, dal bar mitzvah (la festa con cui si celebra il raggiungimento dell’età della maturità nella religione ebraica) alla Pasqua ebraica (la celebrazione che ricorda la fuga e la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana), fino ai matrimoni ebraici con tutte le loro ritualità, come la rottura dei bicchieri.

Peraltro, in diverse scene la Tata e i suoi parenti frequentavano sinagoghe e indossavano indumenti tipici dell’ebraismo, senza che però ne venisse spiegato il motivo. Anche molti degli aneddoti narrati da Cacace finivano per cozzare con il suo presunto passato da ciociara: ad esempio, in un episodio della terza stagione, raccontava di una notte trascorsa all’interno di un kibbutz (le comunità egualitarie presenti in Israele) con il suo fidanzato del tempo.

Negli anni, l’adattamento italiano di The Nanny è stato studiato e approfondito. Ad esempio, nel 2013 la studentessa dell’Università di Padova Susanna Sacconi dedicò a questo tema la sua tesi di laurea in Lingue moderne. Tra le altre cose, Sacconi spiegò che, nella serie originale, l’effetto comico era il risultato dell’incontro di due prospettive molto diverse: da un lato quella di Sheffield, un imprenditore britannico sobrio, distinto e serioso; dall’altro quella della famiglia Fine, basata una versione estremizzata degli stereotipi che, negli Stati Uniti, vengono solitamente associati alle famiglie ebraiche.

Ad esempio, scrive Sacconi, il personaggio di Fran Fine è modellato sul cliché della “Jewish American Princess” (principessa ebrea americana, ndr), che tende a rappresentare le donne ebree come «egocentriche, lamentose e snob», mentre sua madre Sylvia incarna un altro luogo comune molto diffuso nella cultura statunitense: quello della “Jewish mother”, la madre ebrea, dipinta come invasiva, rigida e morbosamente attaccata ai figli. Per mantenere questo meccanismo narrativo, spiega ancora Sacconi, i traduttori si servirono di un altro luogo comune molto diffuso: quello delle famiglie meridionali. Non a caso, nella versione italiana la famiglia Cacace è molto cattolica, parla spesso in dialetto, ama le festività e le ricorrenze e parla frequentemente di lontani parenti rimasti a vivere in Italia.

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Guido Leoni, adattatore della serie fino alla quinta stagione, non parlò mai direttamente delle motivazioni di questi stravolgimenti. Tuttavia, è probabile che le modifiche furono apportate per rendere la serie più comprensibile e familiare per un pubblico particolare come quello italiano, che aveva poca dimestichezza con i luoghi comuni con cui gli sceneggiatori statunitensi del tempo rappresentavano le famiglie ebraiche.

A questo proposito, in un’intervista data al sito Just Another Movie nel 2015, Mino Caprio (che nella serie doppia il personaggio di Niles, il maggiordomo della famiglia Sheffield) disse: «Per La Tata, Guido Leoni, ha usato l’escamotage di rendere la tata una ciociara. Potevano darle un altro dialetto, ma essendo una lunga serie non voleva stancare a lungo andare. Il risultato è comunque un successo, sia in Italia che in America».

Negli ultimi tempi, Fran Drescher ha fatto parlare di sé in quanto presidente del sindacato degli attori SAG-AFTRA e per il suo ruolo determinante rispetto alla crisi che Hollywood sta attraversando in questi mesi. Tra le tante cose per cui il personaggio di Fran era amato ed è ancora oggi ricordato ci sono i costumi: essendo un’appassionata di moda accostava in modo estroso e appariscente cortissime minigonne, aderenti dolcevita, completi coordinati, gilet, gioielli e acconciature. Recentemente, col riaffermarsi dell’estetica anni Novanta e di una generale nostalgia delle persone che oggi hanno tra i trenta e i quarant’anni per i prodotti culturali di quando erano giovani, il personaggio della Tata è tornato di grande interesse, portando tra le altre cose Drescher a collaborare con l’e-commerce di vestiti di seconda mano thredUP per proporre una collezione ispirata allo stile di Fran e a fare da testimonial a Dolce & Gabbana.