Come si evade dal carcere in Italia

La percentuale di persone detenute che scappano è più alta della media europea, la gran parte di loro lo fa mentre si trova all'esterno per permessi o in regime di semilibertà

I controlli al carcere minorile Cesare Beccaria di Milano dopo un’evasione, 25 dicembre 2022 (LaPresse)
I controlli al carcere minorile Cesare Beccaria di Milano dopo un’evasione, 25 dicembre 2022 (LaPresse)

Il 12 marzo 2022 Massimo Riella, un detenuto del carcere Bassone di Como, è evaso. Riella in realtà non si trovava all’interno dell’istituto penitenziario. Recluso con l’accusa di aver rapinato due anziani nel comune di Consiglio di Rumo, dopo varie proteste aveva ottenuto un permesso premio per andare sulla tomba della madre, morta poco prima. Il 12 marzo mattina l’uomo era stato accompagnato da quattro agenti penitenziari nel piccolo cimitero di Brenzio, sull’alto lago di Como. Qui con una gomitata si è liberato della custodia ed è scomparso nel bosco, sfuggendo agli spari degli agenti (uno lo avrebbe colpito alla spalla).

Riella è stato descritto come un uomo difficile da gestire, che in passato si sarebbe buttato dal secondo piano di un palazzo per sfuggire alla polizia senza farsi niente, e un’altra volta si sarebbe arrampicato sul tetto del carcere aggrappandosi a un tubo di scolo. Secondo il racconto dei giornali locali, che man mano ha assunto toni sempre più cinematografici, durante l’evasione Riella avrebbe vagato per settimane nei boschi dell’alto lago di Como, che conosceva fin da bambino, si sarebbe procurato cibo da solo e si sarebbe curato le ferite causate dagli spari della polizia con fango ed erbe del bosco. L’evasione di Riella è durata 125 giorni e si è conclusa il 17 luglio 2022 a Podgorica, in Montenegro, dove è stato di nuovo arrestato.

Nei mesi successivi è stato estradato in Italia e ora si trova sotto processo per il reato di evasione, per cui l’articolo 385 del codice penale italiano prevede la reclusione da uno a tre anni. In altri paesi invece, come la Svizzera, la Germania, l’Islanda e la Danimarca, l’evasione non è considerata reato. Neanche in Messico: una volta un giudice della Corte Suprema del paese, Juventino Victor Castro y Castro, disse che «il desiderio fondamentale di libertà è implicito in ogni uomo. Cercare di scappare non può essere considerato un crimine».

Le evasioni dal carcere non sono un evento raro in Italia. Secondo gli ultimi dati del 2021 dell’osservatorio europeo Space, il tasso di evasione è di 22,8 ogni 10mila detenuti, contro una media europea di 2,2. Tra il 1992 e il 2016 in Italia ci sono stati 3.820 casi di fuga di detenuti. I dati più aggiornati del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) dicono che dal primo gennaio 2023 a oggi le evasioni in Italia sono state 72, lo stesso numero di tutto il 2022. Nella maggior parte dei casi i detenuti sono fuggiti mentre già si trovavano all’esterno degli istituti, come successo con Massimo Riella.

Nel 2022 le evasioni durante lavoro all’esterno, permessi di necessità, permessi premio e regime di semilibertà (che consente alla persona reclusa di trascorrere parte della detenzione fuori dal carcere) sono state 61, cioè l’85 per cento del totale. Nel 2023 finora sono state 67 su 72, il 93 per cento del totale. Ogni anno poi in Italia avvengono anche evasioni più rocambolesche e strutturate, all’interno degli istituti penitenziari. Nel 2022 ci sono state 11 evasioni dal carcere (su 48 tentate), con dieci detenuti poi ripresi. Nel 2023 ce ne sono state cinque (su 33 tentate), con tre detenuti ripresi.

Scappare durante un permesso premio o una situazione di semilibertà è più semplice, perché è sufficiente non fare ritorno all’istituto. La fuga dall’interno delle carceri richiede invece più ingegno e studio, visti i pochi mezzi e strumenti utili a disposizione dei detenuti.

Due finestre e la recinzione del carcere minorile di Milano Cesare Beccaria, dopo l’evasione del 25 dicembre 2022 (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)

Pietro Buffa, oggi direttore generale della Formazione e del Personale del DAP, nell’articolo del 2019 Fuggire dal carcere: brevi riflessioni fenomenologiche elenca una serie di strumenti usati abitualmente dai detenuti per evadere. Si va da un uso generalizzato di lenzuola e manici delle scope per realizzare funi e scalette, a coprimaterassi in tela, teli da bagno o cordame proveniente dal campo sportivo interno. I ganci da fissare alle sommità dei muri per calarsi possono derivare poi da parti dei telai o dei fermi delle finestre della cella, da sponde laterali anticaduta dei letti, dai manici dei carrelli portavivande o da parti degli sgabelli. Per lavorare questi materiali vengono infine usate tenaglie, viti, fascette, nastro adesivo, il fuoco delle bombolette del gas e seghetti trafugati generalmente nel reparto manutenzione degli istituti di pena.

Il 24 febbraio Marco Raduano, boss mafioso detenuto nel carcere di massima sicurezza di Nuoro, in Sardegna, è evaso calandosi con le lenzuola dal muro di cinta. L’uomo, con una condanna fino al 2046, non è ancora stato trovato. A luglio ce n’è stata un’altra nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Davide Meloni si è arrampicato sul muro di cinta e si è calato giù, sempre con un lenzuolo legato. È stato catturato il giorno successivo. Un’altra evasione simile è avvenuta il 25 settembre nel carcere di Teramo, in Abruzzo. Roland Dedja, detenuto per reati legati al traffico di stupefacenti, ha tagliato le sbarre della finestra della sua cella e si è calato con una fune da alpinista, sfruttando il cantiere dell’edificio. In questo caso parte della strumentazione tecnica usata per l’evasione gli era stata consegnata attraverso un drone comandato da un complice all’esterno. Dedja non è ancora stato catturato.

Secondo dati citati nell’articolo di Buffa, l’83,9 per cento delle fughe tra il 1992 e il 2016 è avvenuto in solitaria, ma nella cronaca più recente ci sono stati anche casi di evasioni di gruppo. La più eclatante è di marzo del 2020, quando le carceri italiane furono interessate da estese rivolte innescate dalle limitazioni imposte per l’emergenza coronavirus. Oltre ai 13 detenuti morti in circostanze mai del tutto chiarite tra gli istituti di Modena, Rieti e Bologna, in quelle ore 77 detenuti dell’istituto penitenziario di Foggia riuscirono a scappare direttamente dal cancello, approfittando della sommossa in corso e dell’evacuazione degli agenti penitenziari. La gran parte dei fuggitivi venne poi catturata, alcuni però non sono mai stati trovati.

Detenuti del carcere di Foggia durante la sommossa, 9 marzo 2020 (Franco Cautillo/ansa)

Gli addetti ai lavori spiegano le evasioni generalmente con tre cause. La prima ha a che fare con la polizia penitenziaria e la sorveglianza. «Oggi veniamo da un ventennio di destrutturazione della sicurezza all’interno delle carceri, con un taglio progressivo delle risorse destinate ai sistemi di sicurezza, a cui si è anche aggiunto il taglio operato alla pianta organica dalla legge Madia [che dal 2016 riorganizzò le amministrazioni pubbliche, ndr]», spiega Giuseppe Moretti, presidente dell’Unione Sindacati Polizia Penitenziaria (USPP). «Questo ha portato per esempio a una riduzione della presenza di personale sui muri di cinta, e allo stesso tempo non è stato previsto un sistema tecnologico adeguato per evitare le evasioni». Secondo l’Associazione Antigone, che si occupa di tutelare i diritti delle persone che si trovano in carcere, la carenza di organico nella polizia penitenziaria in Italia è del 12,5 per cento.

Una seconda causa riguarda il sovraffollamento carcerario (del 119 per cento a metà 2023), che rende più difficile sorvegliare gli spazi e i detenuti. Infine, una terza spiegazione delle evasioni ha a che fare con i cantieri. Le strutture carcerarie italiane sono spesso vecchie e fatiscenti e questo implica continui lavori di ristrutturazione, che a volte si prolungano per anni. Nel caso del carcere minorile di Milano Cesare Beccaria sono durati 18 anni. I lavori creano punti vulnerabili e violabili nei sistemi di sicurezza degli istituti. Al Beccaria il 25 dicembre del 2022 sette giovani detenuti sono riusciti a evadere aprendo un varco nella recinzione del cantiere e scavalcando il muro di cinta. Nei giorni successivi poi sono rientrati tutti nell’istituto: alcuni di loro volontariamente, altri sono stati rintracciati dalle forze dell’ordine.