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  • Sabato 28 ottobre 2023

Cosa si inventarono gli inglesi per vincere la loro unica Coppa del Mondo di rugby

La storia del lungo percorso che portò gli inventori del rugby dal peggior periodo della loro storia al famoso "drop" di Jonny Wilkinson

di Pietro Cabrio

Jonny Wilkinson nella finale della Coppa del Mondo di rugby del 2003 (Getty Images)
Jonny Wilkinson nella finale della Coppa del Mondo di rugby del 2003 (Getty Images)

Anche la decima edizione della Coppa del Mondo di rugby ha avuto come vincente una nazionale dell’emisfero australe, il Sudafrica, che nella finale di Parigi ne ha battuta un’altra, la Nuova Zelanda. Non è stata affatto una novità, visto che nella storia della competizione hanno vinto nove volte su dieci squadre dell’emisfero sud.

Basterebbe questo a rendere speciale la vittoria che l’Inghilterra ottenne vent’anni fa in Australia, preceduta da un percorso tortuoso ma altrettanto speciale che si concluse in modo spettacolare, all’ultimo secondo di una finale combattutissima, con un gesto atletico ritenuto ancora oggi la singola azione più famosa nella storia del rugby professionistico.

Proprio il professionismo ebbe una parte rilevante in questa storia, e probabilmente è il fattore che determina ancora oggi il divario tra i due emisferi (che è il modo in cui il rugby viene diviso globalmente per questioni storiche, tecniche e culturali).

Gli anni Novanta furono infatti il decennio in cui il rugby di alto livello lasciò l’ambito amatoriale in cui era sempre esistito per diventare professionistico. Le federazioni nazionali a compiere in modo più deciso questo passo furono le tre grandi dell’emisfero australe, ossia Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica, che per questioni geografiche erano solite incontrarsi più spesso durante l’anno. Lo fecero dietro l’iniziativa fondamentale dell’editore e produttore televisivo australiano Rupert Murdoch, che in quegli anni stava lanciando le sue televisioni via cavo e per questo aveva bisogno di presentare al pubblico offerte ricche e innovative. In questo modo Murdoch garantì i primi grandi finanziamenti necessari al sostentamento di un nuovo regime professionistico, e non a caso per la nazionale del suo paese, l’Australia, gli anni a cavallo tra i Novanta e i Duemila furono i più vincenti di sempre.

In breve tempo le nazionali dell’emisfero sud progredirono a una velocità ben maggiore rispetto al passato e guadagnarono ancora più vantaggio nel confronto con le vecchie nazionali dell’emisfero nord, che invece ci misero più tempo ad accettare il professionismo e ancora di più per adattarsi ai nuovi standard, anche in assenza di sostegni economici come quelli garantiti da Murdoch. Lo scetticismo dell’emisfero nord fu influenzato in particolare dall’Inghilterra, ossia la federazione con più peso internazionale, che a un certo punto fu però costretta a farsi piacere l’idea del professionismo.

Da inventori del rugby, gli inglesi temevano che la natura e lo spirito del gioco sarebbero stati stravolti. Lo stesso tipo di scetticismo si era intravisto già nel modo in cui la Nazionale inglese aveva preso sottogamba la prima edizione della Coppa del Mondo, quella del 1987 vinta dalla Nuova Zelanda. L’eliminazione alla prima fase del torneo, peraltro contro il Galles, convinse tuttavia il paese a organizzare l’edizione successiva con il chiaro intento di vincerla e rimarcare il suo peso nel mondo del rugby. Ma andò male anche in quel caso, perché perse la finale contro l’Australia.

Quella sconfitta contribuì a diffondere la convinzione che il movimento avesse bisogno di essere riformato per restare al passo degli avversari: quindi in pratica di trovare il modo di farsi andare bene il professionismo. Il passaggio ufficiale avvenne nel 1995, dopo la memorabile edizione della Coppa del Mondo ospitata dal Sudafrica. In quel torneo il rugby uscì dalla sua nicchia per via dell’impatto che ebbe nel paese ospitante, per il coinvolgimento in prima persona di Nelson Mandela e anche perché da lì iniziò la storia di Jonah Lomu, ritenuto ancora oggi il rugbista più dominante di tutti i tempi. Una delle sue prestazioni più impressionanti fu peraltro contro l’Inghilterra, battuta in semifinale.

Dopo quel torneo la Nazionale inglese si mise alla ricerca di un nuovo allenatore e scelse quello che sembrava meno quotato, Clive Woodward, che era stato giocatore, allenava nel campionato inglese ma la cui attività principale era una piccola azienda di noleggio di apparecchiature elettroniche da ufficio.

Woodward aveva molte idee e conosceva il rugby internazionale, avendo vissuto e allenato in Australia, ma l’impatto con la Nazionale inglese fu tremendo. Di certo non fu aiutato dalla tournée che la federazione aveva già organizzato per il 1998 proprio nell’emisfero sud — il cosiddetto «tour infernale» — di cui si ricorda soprattutto la prima partita: un 76-0 contro l’Australia che rimane ancora oggi la peggior sconfitta nella storia dell’Inghilterra.

Quella tournée evidenziò in tutti i punti possibili l’inferiorità della selezione inglese: poco profonda rispetto alle avversarie già a pieno regime professionistico, non abbastanza allenata e ancora acerba sotto molti aspetti, sia tecnici che tattici. Rischiò anche di compromettere il coinvolgimento di alcuni nuovi giovani giocatori, tra cui Jonny Wilkinson, il cui debutto in Nazionale fu molto difficile, ma che poi di questa storia riuscirà a diventare il protagonista.

Dopo la “tournée infernale” e la Coppa del Mondo dell’anno successivo, persa ai quarti di finale contro il Sudafrica, fu proprio Wilkinson il giocatore che rispecchiò maggiormente i cambiamenti in atto nel rugby inglese. Già noto per una devozione assoluta, quasi ossessiva, nei confronti del rugby, Wilkinson cambiò e intensificò i suoi allenamenti stimolato dall’idea di dover prepararsi meglio di chiunque altro. Questa sua filosofia si inserì alla perfezione nella preparazione che l’Inghilterra aveva in mente per la Coppa del Mondo del 2003.

Woodward aveva passato gli anni precedenti a studiare come sfruttare i benefici dati dal professionismo. Era andato negli Stati Uniti per osservare l’organizzazione delle grandi squadre nord americane, a cui per esempio si ispirò per aumentare il numero di preparatori al seguito della Nazionale, fin lì piuttosto limitato. Di conseguenza l’intensità degli allenamenti aumentò e inizialmente questo ebbe ripercussioni tra i giocatori, che di quel periodo ricordano ancora oggi l’ambiente brutale ed estremamente competitivo che si viveva nei ritiri. Ci fu anche uno scandalo che coinvolse Lawrence Dallaglio, il giocatore di origini italiane che Woodward aveva scelto come suo capitano. Nel 1999 il News of the World lo accusò infatti di uso e spaccio di cocaina ed ecstasy. Successivamente queste accuse non furono confermate, ma nel frattempo Dallaglio dovette lasciare l’incarico di capitano al coetaneo Martin Johnson.

A un certo punto tutti questi cambiamenti cominciarono però a far vedere i primi risultati. L’Inghilterra iniziò l’avvicinamento alla Coppa del Mondo in Australia in grandi condizioni, sia tecniche che atletiche. Il potenziamento della preparazione fisica ebbe i suoi effetti e la squadra ricevette una spinta notevole dal contribuito dei più giovani e dei meno esperti, come Wilkinson e Jason Robinson, giocatore che fino al 2000 aveva giocato nel rugby a 13 e che una volta passato al rugby a 15 divenne in poco tempo una delle ali più forti al mondo.

In quel periodo anche le questioni che avrebbero potuto rappresentare degli ostacoli ebbero degli effetti positivi, come quando nel 2000 i giocatori inglesi proclamarono uno sciopero senza precedenti nella storia del rugby locale. Lo fecero per chiedere retribuzioni adeguate per tutte le iniziative commerciali in cui venivano coinvolti senza però ricevere alcun compenso. Lo sciopero fu inizialmente molto criticato e anche Woodward la prese male, ma alla fine i giocatori, oltre a ottenere quello che avevano chiesto, uscirono da questa esperienza collettiva ancora più uniti fra di loro, cosa che poi si rivelò fondamentale.

Nel quadriennio 1999-2003 la Federazione inglese diede inoltre fondo ai ricavi generati dal regime professionistico. Soltanto per sostenere la preparazione di alto livello spese 73 milioni di sterline, e 4 milioni furono stanziati esclusivamente per la Coppa del Mondo in Australia. In questo modo l’Inghilterra vinse in quattro anni tre edizioni del Sei Nazioni, compresa quella nell’anno della Coppa del Mondo, a cui si presentò da prima nazionale del ranking.

Il resto lo fece lo staff messo insieme da Woodward, che in quegli anni introdusse metodi di allenamento che oggi sono diventati la prassi per ogni squadra di alto livello.

Una persona in particolare innovò i metodi di preparazione: Sherylle Calder, neuroscienziata sudafricana che aveva lavorato soprattutto nel cricket. Calder si era specializzata nella cosiddetta “consapevolezza visiva” applicata allo sport, in quegli anni chiamata anche “il body building degli occhi”. Calder allenò per anni i giocatori a potenziare la vista periferica, a migliorare l’uso del cosiddetto occhio debole e a usare la vista per migliorare la concentrazione. Tutti i giocatori venivano sottoposti a esercizi con il pallone, ad esempio nei passaggi, che dovevano però eseguire leggendo un testo posto davanti ai loro occhi, o senza mai guardare il pallone, che con l’avanzamento della preparazione fu ridotto di dimensioni fino ad arrivare alle palline da tennis.

Martin Johnson alle prese con uno degli allenamenti di Calder

Quando erano a riposo nei ritiri in albergo, i giocatori venivano sottoposti a vari esercizi di lettura. «Non c’è neanche bisogno di dire che il più veloce a completarli era sempre Jonny Wilkinson» ricordò nel 2015 Matt Dawson, il mediano di mischia di quell’Inghilterra. Wilkinson era già un giocatore di livello mondiale ma nei calci non era ancora infallibile. Con Calder imparò tuttavia a perfezionare le tecniche di concentrazione e preparazione ai calci, per esempio individuando un piccolo dettaglio posto all’interno dei pali dove avrebbe dovuto piazzare il pallone, come una luce o anche un indumento colorato di qualche spettatore.

Visto oggi, il percorso dell’Inghilterra alla Coppa del Mondo in Australia fu netto, con 7 vittorie in 7 partite. Ma durante il torneo le prestazioni non furono altrettanto convincenti, come quella ai gironi contro le piccole Samoa, che conclusero il primo tempo in vantaggio. Nelle partite più impegnative contro Sudafrica, Galles e Francia ebbero poi un ruolo fondamentale la gestione dei momenti da parte del gruppo, le doti motivazionali di Wooodward e il contribuito dei preparatori.

Contro il Sudafrica gli stessi giocatori ricordano tuttora come fondamentale il contribuito di Calder, che da sudafricana insegnò loro parole della lingua afrikaans parlata dagli avversari in campo, privandoli così di un vantaggio che erano abituati ad avere. Un assistente di Woodward risolse invece le difficoltà che la squadra aveva a presentarsi in campo concentrata e motivata dopo gli intervalli con una intuizione per nulla scontata. Consigliò infatti a Woodward di far cambiare le divise dei giocatori tra il primo e il secondo tempo, in modo da indurli a sentirsi meglio, a pensare meno alla stanchezza e alle eventuali difficoltà da incontrare. Inizialmente Woodward pensò fosse una stupidaggine, ma in semifinale contro la Francia, in una partita giocata nel fango sotto la pioggia, gli stessi giocatori si resero conto dell’effetto.

Si arrivò così alla finale di Sydney del 22 novembre, che l’Inghilterra avrebbe dovuto giocare contro i padroni di casa dell’Australia, campioni in carica e da molti ritenuti la squadra più forte al mondo in quegli anni. L’Inghilterra sfiorò la vittoria nei tempi regolamentari, ma un calcio di punizione australiano negli ultimi secondi la fece proseguire ai supplementari. Fin lì i punti dell’Inghilterra erano arrivati soprattutto dai calci di Wilkinson, la cui precisione era stata sfruttata per tutto il torneo. L’Inghilterra si affidò a lui anche nei supplementari, e all’ultimo minuto del secondo tempo la squadra si portò a 22 metri dall’area di meta. Il pallone fu fatto uscire da una mischia e passato immediatamente a Wilkinson, che con un drop (un calcio in movimento e in controbalzo) eseguito alla perfezione, anche se con il piede debole, cioè il destro, diede all’Inghilterra i punti decisivi. Non ci fu altro tempo per giocare, la partita finì pochi secondi dopo e l’Inghilterra divenne campione del mondo per la prima e ancora unica volta.

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