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  • Lunedì 9 ottobre 2023

La posizione complicata dei politici palestinesi moderati

Fanno fatica a condannare l'attacco di Hamas a Israele ma al contempo non lo stanno nemmeno celebrando, per molte ragioni

(Pool/Getty Images)
(Pool/Getty Images)

Nelle ore successive all’enorme e inaspettato attacco di Hamas contro Israele in varie città palestinesi della Cisgiordania, l’altra regione che i palestinesi governano con un certo grado di autonomia oltre alla Striscia di Gaza, sono stati organizzati cortei e manifestazioni di piazza per celebrare l’attacco. Centinaia di persone hanno sfilato a piedi, in auto o in moto, cantando cori nazionalisti e sventolando bandiere palestinesi.

Nessuna di queste manifestazioni è stata organizzata e promossa dall’Autorità Palestinese, l’entità governativa che amministra la Cisgiordania, che da sempre è espressione di Fatah, il principale partito laico e moderato della scena politica palestinese.

Ormai da anni Fatah ha abbandonato la lotta armata e sta cercando di presentarsi come l’unico interlocutore affidabile della causa palestinese sia con Israele sia a livello internazionale. Celebrare un attacco del genere significherebbe rischiare di compromettere la propria immagine all’estero, oltre che legittimare uno storico avversario politico come Hamas, che invece è un movimento radicale, islamista, considerato terrorista da Stati Uniti e Unione Europea e ancora molto legato alla lotta armata, come si è visto negli ultimi giorni.

I giornali palestinesi hanno scritto che sabato sera l’Autorità Palestinese avrebbe anche vietato un corteo della Fossa dei Leoni, un’organizzazione nata appena un anno fa come “ombrello” dei vari gruppi armati radicali ma già estremamente popolare in Cisgiordania (la notizia non è stata confermata).

Al contempo l’Autorità Palestinese (quindi Fatah) non ha interrotto le manifestazioni più o meno spontanee che si sono tenute nelle principali città della Cisgiordania. E nelle sue poche comunicazioni ufficiali dall’inizio dell’attacco non ha condannato le estesissime violenze di Hamas nei confronti di migliaia di civili israeliani. Nell’unico comunicato stampa diffuso dopo l’attacco, il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, ha sottolineato «il diritto dei palestinesi a difendersi» da Israele, mentre sabato in una telefonata col presidente francese Emmanuel Macron avrebbe detto che l’attacco di Hamas «è il risultato dell’impasse politico» con Israele, e «del rifiuto di garantire il diritto legittimo all’autodeterminazione al popolo palestinese».

Abbas non è l’unico ad avere adottato un approccio simile. Nessun leader, collaboratore o ex collaboratore dell’Autorità Palestinese ha esplicitamente condannato l’attacco di Hamas, parlando con i media occidentali. Mustafa Barghouti – da non confondere col famoso attivista palestinese Marwan Barghouti – ex ministro palestinese e capo di un piccolo partito progressista, ha ripetuto una posizione simile parlando alla CNN. Nella sua intervista, Barghouti ha anche difeso Hamas, sostenendo falsamente che nel suo attacco abbia preso di mira soprattutto soldati israeliani, e non civili.

Anche Nour Odeh, ex portavoce dell’Autorità Palestinese, si è rifiutata di condannare esplicitamente l’attacco di Hamas in un’intervista con Sky News, dicendo: «Non tollero nessuna situazione in cui i civili vengano messi in pericolo: sfortunatamente accade spesso, in un paese che vive un’occupazione brutale da più di mezzo secolo, anche se spesso non viene mostrata sui vostri schermi. Per i palestinesi questa è la realtà quotidiana».

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La reazione di Abbas mostra bene la posizione estremamente scomoda in cui si trova l’Autorità Palestinese. Celebrando l’attacco di Hamas, sconfesserebbe la sua presa di posizione sulla non violenza, perderebbe l’appoggio della comunità internazionale (e i relativi aiuti economici) e legittimerebbe un suo diretto avversario politico. Se invece condannasse l’attacco, rischierebbe di perdere il consenso dei molti palestinesi in Cisgiordania che sono stati galvanizzati dall’attacco di Hamas e lo stanno celebrando, in piazza e sui social network. Consensi che già oggi sono estremamente bassi sia per l’Autorità Palestinese e i suoi ministri, sia per Abbas.

Secondo un sondaggio realizzato nel dicembre del 2022 dal Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR), il 73 per cento dei palestinesi è scontento dell’operato di Abbas e il 75 per cento vorrebbe le sue dimissioni.

L’Autorità Palestinese nacque nel 1994 in seguito agli accordi di Oslo dell’anno precedente, il primo trattato ufficiale fra Israele e i rappresentanti del popolo palestinese che prevedeva esplicitamente una soluzione pacifica del conflitto. Negli anni successivi però la situazione cambiò moltissimo: l’allora presidente israeliano Yitzhak Rabin, che aveva firmato gli accordi, fu ucciso da un estremista religioso ebraico nel novembre del 1995. Le violenze successive all’uccisione di Rabin portarono alla seconda rivolta di massa nella storia palestinese, le cosiddette Intifada, in cui centinaia di israeliani furono uccisi in numerosi attentati. Quelle violenze favorirono l’ascesa al potere della destra israeliana più ostile a un accordo di pace coi palestinesi: allora come oggi era guidata da Benjamin Netanyahu, l’attuale primo ministro israeliano.

Negli ultimi quindici anni Netanyahu e i suoi governi hanno impedito che l’Autorità Palestinese diventasse un vero stato palestinese, come previsto in origine dagli accordi di Oslo. Questa condizione ha lasciato l’Autorità Palestinese con pochissimi poteri a sua disposizione, in una zona grigia che ne ha ridotto molto i consensi fra i palestinesi e che secondo diversi osservatori ha generato moltissimi casi di corruzione e inefficienza al suo interno. Da anni per esempio girano voci, mai confermate ufficialmente, sulle decine di milioni di dollari che avrebbero accumulato i due figli di Abbas, Yasser e Tariq, entrambi imprenditori.

La progressiva perdita di popolarità dell’Autorità Palestinese ha invece aumentato i consensi di Hamas, che anche in Cisgiordania è diventata piuttosto popolare nonostante il governo autoritario e violento che impone sulla Striscia di Gaza dal 2007. Il sondaggio realizzato nel dicembre del 2022 dal PCPSR indicava che nel caso di ipotetiche elezioni per la presidenza dell’Autorità Palestinese, il leader di Hamas Ismail Haniyeh sarebbe il candidato preferito dal 46 per cento dei residenti in Cisgiordania (il 36 per cento voterebbe invece per Abbas).

Secondo i suoi critici, Netanyahu non avrebbe fatto nulla per legittimare politicamente l’Autorità Palestinese – per esempio cedendole ulteriori quote di sovranità – e anzi negli anni l’avrebbe volutamente indebolita. «L’idea era di prevenire Abbas o chiunque altro nell’Autorità Palestinese nell’avanzare verso la formazione di uno stato palestinese: indebolendo Abbas, Hamas ha fatto il salto da mero gruppo terroristico a una organizzazione vera e propria», ha scritto di recente Tal Schneider, analista politica del Times of Israel.

Ormai da anni i sondaggi certificano la scarsissima popolarità di Abbas. Secondo alcuni, è il motivo per cui Abbas in questi anni ha rinviato più volte sia le elezioni legislative sia le elezioni presidenziali dell’Autorità Palestinese: per evitare di perdere il potere. Una delle ipotesi che si fanno ora è che, con l’attacco di sabato, nei prossimi mesi Hamas potrebbe aumentare ulteriormente i suoi consensi e potrebbe mettere Abbas e tutta l’Autorità Palestinese in una posizione ancora più delicata.

«Se c’è qualcuno che sta tremando oggi, quello è Mahmoud Abbas», ha detto al New Yorker Nathan Thrall, giornalista e analista molto esperto del conflitto fra israeliani e palestinesi. «Sta osservando le città palestinesi della Cisgiordania scendere in piazza per appoggiare Hamas e gli altri gruppi di Gaza. Lui e l’Autorità Palestinese sono percepiti come dei burattini in mano agli israeliani, che li usano per sedare ogni tipo di resistenza all’occupazione israeliana. Questo enorme aumento della popolarità di Hamas è estremamente minaccioso per Abbas», sostiene Thrall, lasciando intendere che i consensi per Hamas potrebbero crescere a tal punto da rendere inevitabili nuove elezioni.

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