La scoperta di una misteriosa creatura marina su Instagram

Come una foto ha portato a identificare alcuni parassiti che collaborano tra loro per invadere altri organismi

(Ryo Minemizu via Current Biology)
(Ryo Minemizu via Current Biology)
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Ryo Minemizu è un fotografo giapponese specializzato in foto sottomarine che mostrano creature variopinte, spesso minuscole, che vivono a varie profondità nell’oceano Pacifico al largo della costa del Giappone. Come molti altri fotografi, Minemizu condivide le proprie immagini su Instagram, in un profilo fitto di immagini di animali dalle forme più strane che ricorda i grandi cataloghi di specie di un tempo, non sempre conosciute e che talvolta attirano la curiosità dei ricercatori. Questa è la storia di una di quelle foto e di quanto possa essere complicato e sorprendente scoprire qualcosa di nuovo su esseri viventi mai visti prima, che magari sono qualcos’altro rispetto a ciò che sembrano.

Come racconta il sito della rivista Science, tra le persone incuriosite dalle foto di Minemizu c’era Igor Adameyko, un neurobiologo dell’Università di Vienna, che aveva notato sul profilo Instagram del fotografo un’immagine scattata nel 2018 e condivisa nel 2020 che mostrava una strana creatura marina non identificata. Adameyko si era messo in contatto con Minemizu chiedendogli se per caso avesse raccolto un esemplare di quello strano animale e se fosse interessato a spedirglielo, così da poterlo analizzare. Il fotografo accettò e dopo qualche tempo Adameyko ricevette un pacchetto contenente l’esemplare, grande più o meno quanto una lenticchia e conservato in formalina.

L’analisi rivelò che l’animale aveva una parte esterna fluttuante, con una struttura che ricordava tanti piccoli tentacoli collegata a una parte centrale semisferica. A prima vista sembrava che le strutture simili ai tentacoli fossero piccole appendici, ma osservando più attentamente Adameyko si accorse che non si trattava di un singolo animale, ma di una serie di tanti piccoli organismi lunghi pochi millimetri. Erano almeno una ventina e Adameyko iniziò a riferirsi a loro informalmente come “marinai”, visto che sembravano avere la funzione di far muovere nell’acqua la creatura.

Una successiva analisi della semisfera rivelò qualcosa di ancora più particolare: era formata da un insieme di centinaia di minuscoli organismi simili ai girini, con una testa grande quanto la punta di una matita e una coda più sottile di un capello umano. Le varie code, ha spiegato di recente Adameyko con un gruppo di colleghi sulla rivista scientifica Current Biology, erano tutte annodate insieme al centro della semisfera, con la testa di ogni organismo rivolta verso l’esterno.

(Current Biology)

Invece di semplificare le cose, l’analisi della struttura di quello strano animale aveva complicato la ricerca di una possibile specie di appartenenza. Né Adameyko né diversi altri colleghi erano in grado di stabilire che cosa avesse fotografato Minemizu qualche anno prima.

Fu solo dopo alcune analisi per rivelare particolari dettagli anatomici, come quelli del sistema nervoso dell’organismo, che Adameyko e colleghi iniziarono a ipotizzare che si trattasse di un esemplare appartenente ai Lophotrochozoa, il vasto gruppo (“clado”) che comprende i molluschi, vari invertebrati acquatici e gli anellidi come i lombrichi, per citarne alcuni. L’ipotesi era che si trattasse di un parassita, ma servivano analisi del DNA per poterlo confermare. L’esemplare era stato conservato in formalina, una sostanza usata spesso per conservare materiali biologici, ma che degrada velocemente il DNA. Fu quindi necessario utilizzare tecniche solitamente impiegate per la raccolta di materiale da reperti antichi, in modo da ottenere ugualmente qualche informazione.

Infine, l’analisi del DNA permise di restringere il campo: l’organismo apparteneva ai digenei (Digenea), una sottoclasse di animali vermiformi noti per avere spesso un ciclo vitale particolare, che comporta la colonizzazione di animali di diverse specie. Le modalità variano, ma in generale i parassiti adulti vivono all’interno di un ospite e producono uova che finiscono nell’ambiente circostante, di solito attraverso le feci dell’animale che hanno colonizzato. Le uova si trasformano in larve all’interno di altri animali entrati in contatto con le feci, che a loro volta vengono poi mangiati dagli animali in cui il parassita può passare dalla larva alla fase adulta. Dopodiché produce le uova e il ciclo ricomincia.

Le larve simili a girini raggruppate nella parte centrale dell’esemplare analizzato (Current Biology)

Nel caso di alcune specie, le larve vivono liberamente e hanno sviluppato la capacità di rimanere insieme, imitando la forma dei piccoli organismi che vivono negli ambienti acquatici di cui si nutrono i pesci. In questo modo un pesce le ingerisce pensando di avere davanti qualcosa di cui va ghiotto e rimedia una parassitosi.

Lo strano insieme di organismi fotografato da Minemizu sembra fare qualcosa di simile, ma ciò che è veramente insolito è che lo facciano utilizzando due diverse forme della fase larvale (“cercaria”). Sia i marinai sia i “girini” appartengono infatti alla stessa specie. Secondo la ricerca, i girini sono responsabili della colonizzazione vera e propria dei pesci attraverso le loro branchie o l’apparato digerente, mentre i marinai hanno il compito di portare in giro il groviglio di girini nell’acqua.

Questa separazione dei compiti era stata osservata in passato in alcune specie di digenei che conducono il loro stadio larvale all’interno di un altro animale, mentre non era stato ancora osservato nel caso di larve che vivono liberamente nell’ambiente esterno.

La scoperta apre nuove possibilità sulla ricerca di altre specie simili nelle quali le larve non hanno da subito bisogno di un ospite e, in un certo senso, collaborano per raggiungerne e invaderne uno. Adameyko ha in programma di proseguire le ricerche per comprendere come funzioni questa forma di collaborazione e se le larve abbiano un sistema per orientarsi, forse seguendo la luce. Minemizu nel frattempo ha pubblicato centinaia di fotografie di altre creature marine, che potrebbero nascondere qualche altra sorpresa a conferma di quanto ci sia ancora da scoprire negli oceani, che del resto ricoprono più del 71 per cento della superficie del nostro pianeta.