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  • Domenica 10 settembre 2023

Cos’è questa storia che l’India potrebbe cambiare nome

Ci sono segnali che il governo nazionalista di Narendra Modi voglia promuovere un altro dei nomi ufficiali del paese, Bharat, per molte ragioni

Bandiere con la scritta Bharat, a una partita di cricket in Sudafrica, 11 giugno 2017 (AP Photo/Kirsty Wigglesworth, File)
Bandiere con la scritta Bharat, a una partita di cricket in Sudafrica, 11 giugno 2017 (AP Photo/Kirsty Wigglesworth, File)
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Negli ultimi giorni sulla stampa indiana sono state diffuse le immagini di un biglietto di invito indirizzato ai partecipanti alla riunione del G20 che si terrà a Nuova Delhi, in India, il 9 e il 10 settembre. L’invito è per una cena ospitata da Droupadi Murmu, la presidente indiana, chiamata nell’invito “presidente di Bharat”: Bharat è uno dei due nomi ufficiali dell’India (l’altro è, appunto, India), ma non viene solitamente usato nei contesti internazionali. Questo ha fatto pensare a molti che il governo nazionalista del paese, guidato dal primo ministro Narendra Modi, stia pensando di proporre “Bharat” come unico nome ufficiale, o quanto meno di promuoverne maggiormente la diffusione.

Lo stesso giorno il portavoce del partito al governo, il Bharatiya Janata Party (BJP, cioè Partito del popolo indiano, un partito nazionalista indù), ha condiviso la foto di un documento di una riunione fra l’ASEAN, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, e il governo indiano, in cui Narendra Modi viene definito “primo ministro di Bharat”. Infine sabato mattina, nella conferenza stampa di apertura del G20 davanti al posto in cui era seduto Modi è stato messo un cartellino con la scritta Bharat al posto di India.

Bharat è una parola che nella maggior parte delle lingue originarie dell’India indica l’India stessa: è uno dei due nomi ufficiali previsti dall’Articolo 1 della Costituzione indiana ed è presente, assieme a India, sui passaporti. È un termine nato migliaia di anni fa per indicare una zona dell’India del nord, ma poi si è esteso fino a comprendere tutta l’India. Lo si trova in molti testi antichi, fra cui il Mahabharata, la più importante opera epica indiana, e importanti testi religiosi indù. Per questo tendenzialmente è considerato legato alla tradizione induista, che movimenti come il BJP vogliono rendere egemonica in India.

Alcuni esponenti del BJP sostengono da tempo l’idea di rendere Bharat l’unico nome ufficiale per l’India. Il termine India ai loro occhi sarebbe un richiamo alla «schiavitù coloniale» a cui gli indiani furono sottoposti durante il dominio britannico, fra la metà del Settecento e il 1947.

Anche India è un nome molto antico, che ha origini nella geografia locale: deriva dal fiume Indo (che scorre per lo più dentro i confini attuali del Pakistan), che venne conosciuto in Europa per la prima volta grazie ai resoconti di viaggiatori greci e poi alle imprese di Alessandro Magno. Dal greco passò al latino, per arrivare infine all’inglese. Quando il Regno Unito conquistò gradualmente il subcontinente indiano, India si impose a livello mondiale come nome per quei territori.

Un altro nome, non ufficiale ma comunque molto diffuso in India, deriva dal fiume Indo: Hindustan, derivato dalla lingua persiana, parlata da molte delle dinastie musulmane che governarono l’India fino alla conquista britannica.

Non è la prima volta che in India si parla di cambiare un nome geografico: a volte è per eliminare il retaggio coloniale, altre è per rispecchiare meglio la pronuncia dei nomi nella lingua locale o per rispondere a varie istanze politiche. Tre fra i casi più famosi sono le metropoli di Mumbai, Kolkata e Chennai, precedentemente note con il nome che avevano nel periodo inglese, rispettivamente Bombay, Calcutta e Madras.

Il BJP è sempre stato molto favorevole a questo genere di cambiamenti, che si sono intensificati da quando è al governo. Un caso recente e notevole è quello di Prayagraj, fino al 2018 conosciuta come Allahabad. Il vecchio nome ha evidentemente radici nell’islam: fu fondata dall’imperatore musulmano Akbar quasi 500 anni fa. Il nuovo nome invece la identifica come meta di un importante pellegrinaggio induista, il Kumbh Mela, il più grande raduno religioso del mondo.

Insomma un elemento distintivo dell’approccio del BJP alla modifica dei nomi è che spesso è stata fatta più per promuovere la tradizione induista che per eliminare le tracce del passato coloniale. In molti casi sono stati eliminati i riferimenti ai sovrani musulmani, come quelli della dinastia Mughal, che hanno governato per secoli l’India, costruendo alcuni dei suoi monumenti più famosi: una strada di Nuova Delhi intestata a uno di loro, Aurangzeb Road, è stata rinominata nel 2014 in onore di un ex presidente, eletto col sostegno del BJP.

Nell’ultimo secolo numerosi paesi hanno cambiato i propri nomi. Per esempio, nel 1935 la Persia ha richiesto formalmente di essere chiamata Iran dagli altri stati, e nel 1988 la giunta militare al governo in Birmania ha cambiato il nome del paese in Myanmar. Uno dei casi più famosi è quello della Macedonia del Nord, che cambiò nome in seguito a un accordo con la Grecia nel 2019, uno dei pochi casi in cui il cambio di nome è stato accettato per le richieste di altri paesi.

Ma c’è un altro motivo per cui il BJP sta rinforzando gli attacchi al termine India: alle elezioni dell’anno prossimo il suo principale avversario sarà una coalizione di 26 partiti chiamata INDIA, cioè Indian National Developmental Inclusive Alliance. Gli appelli per la rimozione del nome India si sono intensificati dalla nascita della coalizione, a luglio: secondo i suoi membri, il governo sta cercando di legare il termine all’immaginario della schiavitù coloniale per penalizzare i partiti di opposizione. La riunione del G20, che per i grandi investimenti compiuti dal governo è vista da molti come l’avvio della campagna elettorale di Modi, ha rilanciato il dibattito.

Per ora quelle sul cambio di nome rimangono solo speculazioni: il governo non ha annunciato provvedimenti specifici per emendare la Costituzione. Ma la programmazione di una sessione speciale del parlamento, dal 18 al 22 settembre, senza l’annuncio di un’agenda dei lavori, ha fatto pensare ad alcuni che in quell’occasione potrebbe essere depositata una proposta ufficiale.