L’armistizio di Cassibile, che divise l’Italia in due

Venne firmato il 3 settembre del 1943 con gli Alleati angloamericani: dopo, l'esercito italiano si dissolse e i tedeschi si presero il Nord

L'intestazione del documento firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile
L'intestazione del documento firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile

Il 3 settembre del 1943, nella piccola località siciliana di Cassibile, venne firmato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati angloamericani nella Seconda guerra mondiale. Viene generalmente ricordato come l’armistizio dell’8 settembre perché fu in quel giorno, alle 19:45, che il testo dell’armistizio venne comunicato agli italiani attraverso l’EIAR, l’ente italiano per le audizioni radiofoniche. Mezz’ora prima il generale americano Dwight D. Eisenhower, che poi sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti, aveva annunciato l’armistizio attraverso Radio Algeri. 

Il documento che sancì l’armistizio iniziava con queste parole: «Le seguenti condizioni di armistizio sono presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate il quale agisce per delega dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e nell’interesse delle Nazioni Unite, e sono accettate dal maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo italiano». Non furono però Badoglio e Eisenhower ad apporre la firma sotto al documento, ma il generale di brigata italiano Giuseppe Castellano e Walter B. Smith, generale americano, capo di Stato maggiore.

Nell’estate del 1943 la forza bellica italiana era estremamente indebolita. C’era stata la pesantissima sconfitta sul fronte russo e la perdita delle colonie in Africa. I bombardamenti degli Alleati angloamericani erano continui. Il 12 giugno avviarono l’operazione “Corkscrew” per conquistare l’isola di Lampedusa, fondamentale testa di ponte per realizzare poi l’attacco alla Sicilia. Dopo sei giorni di bombardamenti aerei e della flotta navale britannica, il comandante Orazio Bernardini comunicò alla Supermarina (la denominazione dello Stato maggiore della Regia Marina durante la guerra) di non poter più difendere l’isola. Il 13 giugno le forze alleate si impossessarono di Lampedusa, Lampione, Linosa e Pantelleria.

Tra il 9 e il 10 luglio 180mila soldati inglesi, statunitensi e canadesi sbarcarono in Sicilia con l’operazione Husky. Il 22 luglio fu conquistata Palermo, a metà agosto Messina, da cui sarebbe dovuta partire la conquista successiva del continente. 

Intanto proseguivano i bombardamenti in tutta Italia. Il 19 luglio 662 bombardieri scortati da 268 caccia colpirono Roma con 4mila bombe. Solo nel quartiere di San Lorenzo, il più colpito, ci furono 3mila morti, 10mila case furono distrutte. Nelle settimane precedenti e successive furono colpite altre città, soprattutto Pescara, per la sua posizione strategica lungo la costa adriatica, e Cagliari, che dopo Napoli fu la città che subì i bombardamenti più massicci durante la guerra. Gli obiettivi erano i porti e l’aeroporto di Decimomannu, ma molte bombe colpirono la città.

Un’immagine, ripresa da un aereo americano, del bombardamento di Roma (Photo by Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Fin dai primi mesi del 1943 Vittorio Emanuele III, re d’Italia, aveva cercato un contatto con gli Alleati chiedendo anche l’aiuto del Vaticano, e in particolare di monsignor Giovanni Battista Montini, che sarebbe diventato poi papa con il nome di Paolo VI. Allo stesso tempo erano stati avviati contatti con alcuni gerarchi fascisti per arrivare a una destituzione di Benito Mussolini e instaurare un governo che fosse diretta emanazione della monarchia. Fu Dino Grandi, durante la seduta del 25 luglio del Gran consiglio del fascismo, a presentare l’ordine del giorno che destituì Mussolini. I voti a favore del suo ordine del giorno furono 19, otto i contrari, un membro del Gran consiglio si astenne.

Dopo la caduta e l’arresto di Mussolini, i contatti tra il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, e gli Alleati si intensificarono. Ci furono incontri che culminarono con quello di Cassibile. L’armistizio venne firmato nella tenuta dell’ingegnere Corrado Grande, che oggi appartiene al nipote, Mario Sinatra di Camemi.

Il documento con la firma di Castellano e Smith era piuttosto scarno e formato da 12 punti. Il primo prevedeva la cessazione immediata di ogni attività ostile da parte delle forze armate italiane, mentre il secondo specificava che l’Italia avrebbe dovuto fare ogni sforzo per «negare ai tedeschi tutto ciò che potrebbe essere adoperato contro le Nazioni Unite». Il terzo imponeva il rilascio di tutti i prigionieri Alleati detenuti dalle forze italiane, il quarto il trasferimento della flotta aerea e navale italiana in località designate dal comando angloamericano. Il quinto punto specificava che la flotta mercantile italiana poteva essere usata dalle Nazioni Unite per supplire alle sue necessità militari navali. C’era poi nel documento la resa immediata della Corsica e di tutto il territorio italiano agli Alleati, per essere usato come base di operazioni militari.

L’ottavo punto prevedeva il richiamo di tutte le forze italiane da ogni partecipazione alla guerra in qualsiasi zona. Il nono e decimo punto sancivano l’impegno dell’Italia a tenere fede all’armistizio, mentre dall’altra parte il comando angloamericano si riservava il diritto di prendere qualsiasi iniziativa per proteggere le proprie forze. Nell’undicesimo punto era scritto che il comandante in capo degli Alleati aveva pieno diritto di imporre misure di disarmo, smobilitazione e smilitarizzazione. Infine il dodicesimo punto: «Altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario che l’Italia dovrà impegnarsi a seguire saranno comunicate in seguito». 

In fondo alla pagina era scritto: «Il testo in inglese sarà considerato quello ufficiale».

Questo è ciò che venne scritto e firmato. Ma molte altre cose vennero dette. Gli Alleati dissero che più le forze italiane avessero offerto assistenza più sarebbero stati favorevoli i termini finali, cioè quelli inseriti nel cosiddetto armistizio lungo che sarebbe stato firmato a Malta a fine settembre. Americani e inglesi chiesero agli italiani assistenza diretta o indiretta con azioni di sabotaggio contro i tedeschi, interruzione delle linee di comunicazione, distruzione dei depositi di carburante.

In particolare venne chiesta l’occupazione di Roma, il tentativo di impadronirsi dei porti chiave di Taranto, Brindisi, Bari, Napoli, di tagliare la ritirata dei tedeschi bloccando le strade. E fu anche chiesto di stendere un cordone a nord di Roma per impedire ai tedeschi di inviare rifornimenti al Sud. La cosa più importante era il blocco delle ferrovie. Gli italiani risposero che per ragioni di segretezza non potevano impartire ordini prima dell’annuncio dell’armistizio. Gli Alleati quindi chiesero che venissero date indicazioni ai sindacati degli operai perché si preparassero alle azioni di sabotaggio.

C’era un certo scetticismo verso il raggiungimento di questi obiettivi. Il generale Castellano disse che sicuramente subito dopo l’annuncio dell’armistizio i tedeschi avrebbero reagito, ma che gli italiani si impegnavano a difendersi dai tedeschi.

La flotta navale italiana avrebbe dovuto partire da La Spezia e Taranto, dove era dislocata, e fare rotta verso Malta per consegnarsi agli Alleati. Lo stesso avrebbero dovuto fare le navi che erano in navigazione. La flotta aerea invece doveva rimanere a terra. L’annuncio avvenne infine l’8 settembre.

La dichiarazione letta da Badoglio alla radio l’8 settembre 1943.

Già dal 25 luglio i tedeschi avevano un piano pronto nel caso l’Italia si fosse arresa agli Alleati. Mezz’ora dopo l’annuncio diramarono a tutti i comandi la parola convenzionale Achse (Asse), in base alla quale tutti i centri nevralgici del territorio italiano avrebbero dovuto essere occupati.

I tedeschi erano quindi pronti, mentre gli italiani, nonostante i vertici di governo e militari avessero avuto cinque giorni dalla firma dell’armistizio per preparare un piano, non lo erano affatto. Gli ordini furono contraddittori e confusi, l’esercito in pratica si dissolse. Molti soldati e ufficiali si tolsero la divisa e tentarono di raggiungere le proprie case, una parte di militari si rifugiò in montagna e formò con alcuni civili le prime formazioni partigiane. Un film del 1960 raccontò bene questa fase: Tutti a casa, di Luigi Comencini e con Alberto Sordi.

I tedeschi catturarono 22.000 ufficiali e più di 650.000 soldati, che vennero presi e avviati nei campi di internamento in Germania, rinchiusi in carri bestiame piombati. Inoltre si impadronirono di una gran quantità di materiale bellico: 1.265.660 fucili; 38.383 mitragliatrici; 9.988 pezzi d’artiglieria di vario calibro; 970 carri armati; 4.553 aerei; 10 torpediniere e cacciatorpediniere. Vennero poi sequestrati 1.173 cannoni controcarro, 1.581 pezzi contraerei, 8.736 mortai, 333.069.000 sigari e sigarette, 672.000 giacche a vento, 783.000 maglie, 592.100 paia di pantaloni, 2.064.100 camicie, 3.388.200 paia di scarpe, 5.251.500 paia di calze. E, ancora, 56.000 pneumatici, 140.000 rotoli di filo spinato.

Per mandare al Nord i materiali sequestrati i tedeschi impiegarono 2.034 carri ferroviari solamente nel settembre del 1943. Altri trasporti vennero avviati su strada. Tra ottobre e novembre il numero delle spedizioni venne triplicato.

Le situazioni più disperate le affrontarono i reparti italiani dislocati in Grecia, Albania, nei Balcani, soprattutto nelle isole dove era impossibile nascondersi ai tedeschi. A Cefalonia e Corfù la divisione Acqui resistette ai tedeschi fino al 25 settembre: furono uccisi 5mila soldati italiani, molti assassinati dopo la cattura per rappresaglia. A Creta e Rodi i militari italiani vennero inquadrati nei reparti tedeschi. In particolare a Rodi vennero costituiti volontari che passarono direttamente sotto il controllo tedesco. Altri giurarono fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, costituita dai fascisti a Salò, e rimasero almeno formalmente sotto il controllo di ufficiali italiani. Nel Peloponneso invece i reparti italiani si unirono agli Alleati e fecero un patto con le forze di resistenza greca.

A Roma militari e civili resistettero quanto possibile, ma il 10 settembre i tedeschi occuparono tutta la città. Roma venne dichiarata “città aperta”, cioè un luogo dove non ci dovevano essere combattimenti per preservare il patrimonio artistico e storico. La dichiarazione fu però unilaterale, firmata solo dalle autorità italiane, mentre i tedeschi non la ratificarono mai. L’occupazione durò nove mesi fino all’ingresso in città delle forze Alleate, nel giugno 1944.

Anche Firenze venne proclamata città aperta. In altre città reparti militari e civili tentarono di opporsi all’occupazione tedesca combattendo. A Napoli civili e militari riuscirono a respingere i tedeschi che lasciarono la città. Il 1° ottobre del 1943 arrivarono le forze Alleate.

Militari e civili italiani catturati dai tedeschi a Roma, il 10 settembre 1943 (Museo dei Granatieri di Sardegna, Roma).

Nella Marina militare non tutti gli ufficiali accettarono di obbedire all’armistizio: alcune navi vennero fatte affondare perché non venissero consegnate agli Alleati. Altre furono sabotate per la stessa ragione. La X Flottiglia Mas comandata da Junio Valerio Borghese, al contrario di ciò che si pensa, non aderì interamente alla Repubblica fascista di Salò. Borghese era di stanza a La Spezia, molti dei suoi soldati gli restarono fedeli ma molti altri si tolsero la divisa e se ne andarono. Reparti della X Mas di stanza al Sud si unirono agli Alleati.

Mentre tentavano di raggiungere Malta, le navi fedeli agli ordini di Badoglio furono attaccate dagli aerei tedeschi. La corazzata “Roma” fu affondata da una bomba radiocomandata. Morirono 1.529 marinai, la nave è tuttora sul fondo al largo dell’isola della Maddalena, in Sardegna. In totale la Marina, tra affondamenti e auto-affondamenti, perse 392 unità.

All’alba del 9 settembre il re, invece di organizzare la resistenza all’avanzata tedesca, fuggì da Roma. Con la moglie Elena, il figlio Umberto, il maresciallo Badoglio e pochi altri lasciò la città a bordo di tre auto lungo la via Tiburtina. All’auto di Badoglio si ruppe il motore, il maresciallo dovette quindi salire sulla macchina di Umberto. Alla fine il re e gli altri si imbarcarono a Ortona, in Abruzzo, e raggiunsero Brindisi. Qui Vittorio Emanuele III riprese le sue funzioni, ma sempre sotto il controllo del comando Alleato.

Il 12 settembre un aereo tedesco atterrò a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, dove era detenuto Mussolini. Venne liberato e poi portato in Germania. Nessuno aveva pensato (o aveva voluto) il trasferimento di Mussolini in un luogo sotto il controllo degli Alleati. I tedeschi lo portarono nel Nord Italia, dove il 23 settembre del 1943 proclamò la nascita della Repubblica Sociale Italiana, alleata e agli ordini della Germania nazista. Intanto il 3 settembre gli alleati erano sbarcati in Calabria e il 9 settembre a Salerno. Con lo sbarco ad Anzio, nel gennaio del 1944, l’Italia divenne di fatto divisa in due: il Nord sotto il controllo tedesco e il territorio a sud di Roma liberato dalle forze alleate.