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  • Lunedì 28 agosto 2023

Nelle scuole francesi le donne non potranno più indossare l’abaya

Un lungo abito tradizionale portato sopra altri vestiti: per il nuovo ministro dell'Istruzione è un simbolo religioso e va vietato

Il ministro francese dell'Istruzione Gabriel Attal intervistato su TF1, e sullo sfondo una foto di una donna con abaya e hijab
Il ministro francese dell'Istruzione Gabriel Attal intervistato su TF1, e sullo sfondo una foto di una donna con abaya e hijab
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Gabriel Attal, il nuovo ministro francese dell’Istruzione nel governo di Emmanuel Macron, ha detto che «non sarà più possibile indossare l’abaya a scuola», cioè la lunga tunica della tradizione mediorientale portata dalle donne sopra altri indumenti e il cui corrispettivo maschile si chiama qamis. «Quando si entra in una classe, non si dovrebbe essere in grado di identificare la religione degli studenti guardandoli», ha detto Attal.

Non è la prima volta che in Francia abaya, qamis o le lunghe gonne indossate sopra altri abiti finiscono al centro della discussione: da una parte c’è chi afferma che siano chiaramente dei simboli religiosi, e dunque vietati da un legge del 2004, dall’altra c’è chi sostiene che non lo siano e che comunque sarebbe molto difficile stabilirlo.

Dal 2004 in Francia è in vigore la cosiddetta legge sulla laicità nelle scuole, fortemente voluta dall’allora presidente Jacques Chirac. La legge vieta l’ostentazione di simboli e abiti religiosi nelle scuole. E dice: «È vietato nelle scuole primarie e secondarie (“écoles, collèges e lycées publics”, quindi le scuole che vanno dai 6 ai 18 anni, ndr) indossare simboli o indumenti che ostentino l’appartenenza religiosa». A nominare qualcuno di questi simboli e indumenti è una circolare applicativa della legge: parla di simboli e indumenti che comportano «un immediato riconoscimento della propria appartenenza religiosa come il velo islamico, qualunque nome gli venga dato, la kippah o una croce di dimensioni eccessive». La legge precisa che la sua applicazione riguarda tutte le religioni e dice anche che «non pregiudica il diritto degli studenti a indossare simboli religiosi discreti». Si tratta dunque di una legge che lascia largo spazio all’interpretazione.

Abaya, qamis e più in generale le lunghe gonne indossate sopra altri abiti rientrano in questa zona ambigua di interpretazione. E stabilire se siano dei simboli che manifestano chiaramente un’appartenenza religiosa o se appartengano invece a una tradizione culturale è molto complicato: l’uso dell’abaya è «più ambivalente rispetto a quello di un velo», ha detto ad esempio Haoues Seniguer, docente a Sciences Po Lyon e specialista in islamismo.

All’interno di questo dibattito sono intervenuti, nel tempo, anche diversi presidi segnalando che distinguere tra un abaya e un semplice abito lungo non è semplice e che gli abiti larghi e lunghi vengono spesso sempre più usati anche per coprire il proprio corpo in un’età, come quella dell’adolescenza, in cui con il proprio corpo non si è sempre a proprio agio. Insomma il significato di indossare questi abiti, il cui uso è in forte aumento, non è univoco e la difficoltà a stabilirlo è stata dimostrata in queste ultime ore su Twitter anche dall’ex ministra Cécile Duflot: un abito che non è un abaya può invece essere interpretato erroneamente come tale.

In giugno il Consiglio francese per il culto musulmano (CFCM) ha affermato che l’abaya «non è un segno religioso musulmano» e ha ribadito inoltre che «nella tradizione musulmana, qualsiasi tipo di indumento non è di per sé un segno religioso. Basta viaggiare nei paesi a maggioranza musulmana per rendersi conto che i cittadini e le cittadine di questi paesi, di tutte le fedi, sono indistinguibili dagli abiti che indossano».

Era comunque da tempo che i dirigenti scolastici chiedevano indicazioni chiare al ministero dell’Istruzione su abaya e qamis per sapere una volta per tutte se questi abiti potessero indicare un’appartenenza religiosa e se dunque, come tali, non rispettassero la legge del 2004. In novembre, l’ex ministro dell’Istruzione Pap Ndiaye aveva pubblicato una circolare che lasciava ai presidi e alle presidi un margine di decisione: abaya, qamis e gonne lunghe erano infatti indicati come capi di abbigliamento che potevano essere vietati se «indossati in modo tale da manifestare apparentemente un’appartenenza religiosa». Il margine di interpretazione lasciato da quella circolare aveva portato alcuni dirigenti a vietare quegli indumenti e altri, invece, ad autorizzarli. «Non vogliamo essere gli arbitri di un’incertezza», aveva però dichiarato Didier Georges, segretario nazionale dell’SNPDEN-UNSA, sindacato francese dei presidi.

Ora il nuovo ministro dell’Istruzione ha stabilito che abaya e qamis sono simboli religiosi e che pertanto devono essere vietati nelle scuole. Domenica 27 agosto, intervistato su TF1, ha detto che questo abito lungo e tradizionale fa parte di una strategia di «attacco» e di «destabilizzazione» alla laicità. Il ministro, ha scritto il quotidiano Libération, è però «rimasto vago su come attuare questo suo clamoroso annuncio. Nessuna data di entrata in vigore, nessun dettaglio specifico». E dunque: cosa rischierà una studentessa che si presenterà a scuola con un abaya? Una nota? L’obbligo di tornare a casa per cambiarsi d’abito? Una sospensione se il caso si ripresenta? «E chi avrà il compito di applicare la sanzione?» si chiede sempre Libération.

L’unica indicazione che ha dato Attal è che dalla prossima settimana incontrerà i presidi per dare loro tutte le direttive necessarie affinché possano far rispettare questa nuova regola. Questo significa, prosegue Libération, che si tratterà «di una misura applicata caso per caso e non sancita dalla legge». Ma su quali basi legali prenderanno una simile decisione? E queste indicazioni consentiranno ai presidi di determinare a colpo d’occhio se una studentessa con l’abito lungo è musulmana e se lo indossa all’interno di una pratica di fede?

Per Libération, dunque, pur avendo come conseguenza una stigmatizzazione delle persone musulmane, l’annuncio di Attal sembra più legato a una forma di propaganda politica dovuta in particolare ai complicati dibattiti in corso su una nuova legge sull’immigrazione e sulla quale le destre hanno fatto diverse richieste di modifica. La decisione del divieto di abaya nelle scuole è stata in effetti accolta con entusiasmo dalla destra di Les Républicains, mentre è stata criticata dalla sinistra. Clémentine Autain, di La France insoumise, ha parlato di «polizia dell’abbigliamento» definendo l’annuncio di Attal «incostituzionale» e «contrario ai principi fondanti della laicità».

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