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  • Mercoledì 23 agosto 2023

La repressione dell’opposizione alle presidenziali in Zimbabwe

Si vota oggi ma ci sono molti dubbi che saranno elezioni libere: al governo c'è sempre lo stesso partito da oltre 40 anni

Manifesti elettorali per le strade di Harare, Zimbabwe, 20 agosto 2023 (AP Photo/Tsvangirayi Mukwazhi)
Manifesti elettorali per le strade di Harare, Zimbabwe, 20 agosto 2023 (AP Photo/Tsvangirayi Mukwazhi)
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Oggi si vota in Zimbabwe per eleggere il presidente, rinnovare il parlamento e centinaia di consigli comunali. Lo Zimbabwe è un paese dell’Africa meridionale che dopo l’indipendenza dal regime coloniale britannico, ottenuta nel 1980, è sempre stato governato dallo stesso partito, l’Unione Nazionale Africana di Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU-PF).

L’attuale presidente è Emmerson Mnangagwa, che si ripresenta per un nuovo mandato, e ha promesso elezioni «libere ed eque». Ci sono grossi dubbi che andrà così e la campagna elettorale si è svolta tra repressioni, divieti e arresti nei confronti dell’opposizione. Per il politologo zimbabweano Brian Kagoro, se la campagna elettorale non fosse stata così ostile quelle di oggi sarebbero state «le elezioni più vincibili» per le opposizioni degli ultimi quindici anni.

Fino a qui
La Repubblica dello Zimbabwe è un paese dell’Africa meridionale con circa 15 milioni di abitanti. Tra i movimenti che avevano lottato per l’indipendenza c’era lo ZANU-PF, partito di orientamento filosovietico storicamente guidato Robert Mugabe che fu eletto primo ministro nel 1980 e poi presidente nel 1987. Nei 37 anni in cui rimase al potere Mugabe si allontanò dal marxismo, imponendo un modello di governo autoritario e consolidando il suo potere con la repressione.

Nel 2017 Mugabe si dimise forzatamente all’età di 93 anni dopo un colpo di stato non violento appoggiato dai militari e organizzato da Emmerson Mnangagwa, allora vicepresidente e capo dei servizi di sicurezza. Alle elezioni dell’anno successivo, che furono definite le prime elezioni democratiche del paese, Mnangagwa fu ufficialmente eletto superando di pochissimo la soglia del 50 per cento, necessaria per non andare al ballottaggio. I risultati furono contestati dall’opposizione che denunciò brogli e organizzò manifestazioni di piazza che furono represse con la violenza dalla polizia.

Il presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa, Harare, 9 agosto 2023 (AP Photo/Tsvangirayi Mukwazhi)

Al tempo di quelle prime elezioni democratiche c’erano grandi speranze di cambiamento e libertà nel paese, che però svanirono in fretta. Da allora la situazione è peggiorata.

L’economia dello Zimbabwe non si è mai ripresa da una crisi ventennale e che sembra ormai essere diventata strutturale, benché Mnangagwa abbia dichiarato che il paese era «aperto agli affari», dopo anni di cattiva gestione che avevano tenuto lontani gli investitori. I sondaggi dicono che la disoccupazione è una delle principali preoccupazioni degli elettori e delle elettrici, e la stragrande maggioranza della popolazione disapprova l’operato del governo. L’inflazione, in questo paese agricolo e senza sbocco sul mare, a luglio ha superato il 100 per cento, ma alcuni economisti stimano che la quota reale sia molto più alta.

Oltre al presidente uscente Mnangagwa, che ha 80 anni, i candidati alla presidenza sono dieci e l’esponente favorito dell’opposizione è Nelson Chamisa: ha 45 anni ed è il leader della Coalizione dei cittadini per il cambiamento (CCC), la “tripla C”, come viene chiamata comunemente. Il partito è popolare soprattutto nelle città, mentre la maggior parte delle zone rurali è controllata dallo ZANU-PF attualmente al potere.

L’opposizione spera di sfruttare a proprio favore il diffuso malcontento della popolazione per la crisi economica e sociale ed è convinta che stavolta Chamisa (che aveva perso di pochissimo contro Mnangagwa le presidenziali del 2018, poi contestandole) possa farcela. Chamisa ha promesso di costruire un nuovo Zimbabwe «per tutti»: affrontare la corruzione e rilanciare l’economia.

Durante la campagna elettorale il presidente uscente ha cercato di mostrarsi molto attivo, consegnando nuovi camion ai pompieri, inaugurando miniere di carbone, centrali elettriche e ospedali. «L’economia è costruita dal popolo», dicono i manifesti dello ZANU-PF ad Harare, la capitale del paese.

La repressione al governo
Il 15 agosto, a una settimana dal voto, quaranta attivisti dell’opposizione sono stati arrestati durante un corteo elettorale in un quartiere di Harare. La polizia ha spiegato che erano stati fermati per disturbo dell’ordine pubblico. L’ONG Human Rights Watch ha denunciato in generale «un processo elettorale gravemente difettoso», incompatibile con un voto libero ed equo, accusando la polizia di essere «partigiana» e di usare «intimidazioni e violenze contro l’opposizione».

Durante il mandato di Mnangagwa il parlamento ha approvato una serie di leggi che limitano la libertà di espressione, il diritto allo sciopero e che hanno reso molto complicato, per le opposizioni, muoversi politicamente. Il costo per candidarsi alla presidenza è passato ad esempio da 1.000 dollari nel 2018 a 20mila dollari nel 2023, le opposizioni hanno dichiarato di essere state ostacolate nell’organizzazione degli eventi e di essere state ignorate dalla televisione pubblica.

Africa Report scrive che l’attuale presidente dello Zimbabwe non si fermerà davanti a nulla pur di vincere le elezioni. Secondo Blessing-Miles Tendi, professore associato di Politica africana all’università di Oxford, Regno Unito, uno dei tanti fattori che hanno prolungato la permanenza al potere dello ZANU-PF è l’esercito: nel governo di Mnangagwa ci sono capi militari o ex generali, ma soprattutto diversi importanti funzionari dell’esercito hanno spesso affermato come non avrebbero riconosciuto alcun leader dello Zimbabwe che non avesse delle credenziali nella guerra di liberazione. «Lo ZANU-PF è il partito dell’indipendenza e questo suo status gli ha dato un considerevole sostegno dal 1980 fino a circa il 1995. Dopodiché, in quanto partito al potere, lo ZANU-PF ha costantemente manipolato le regole del gioco elettorale a proprio vantaggio».

Wellington Gadzikwa, docente di studi politici all’Università dello Zimbabwe, dice che lo ZANU-PF «vuole governare per sempre perché crede di aver liberato il paese» e che fin dall’indipendenza «ha avuto l’idea di uno stato mono-partitico: non considera se stesso come separato dallo Zimbabwe». E poiché «ha il vantaggio di essere al potere, controlla il modo in cui mantiene il potere». Lo ZANU-PF controlla la commissione elettorale dello Zimbabwe, i media, l’opinione pubblica e le aree rurali attraverso minacce o concessioni di benefici: «Si teme la violenza e le comunità rurali finiscono per votare lo ZANU-PF per restare al sicuro», ha detto Gadzikwa.

Uno degli elementi decisivi per interrompere questa continuità sarebbero i giovani: costituiscono il 67,7 per cento della popolazione e se partecipassero in gran numero al voto avrebbero il potere di decidere il vincitore.

Il leader dell’opposizione Nelson Chamisa, Harare, 21 agosto 2023 (AP Photo/Tsvangirayi Mukwazhi)

Una ricerca della commissione elettorale del paese dice che il 71 per cento dei giovani dello Zimbabwe si è registrato per votare. Da altre ricerche risulta che la motivazione principale per presentarsi ai seggi sono il desiderio di vedere nuove persone al potere e porre fine ad anni di malgoverno economico. Dall’altra parte, i giovani potrebbero essere dissuasi dall’andare a votare perché disillusi e per il rischio che le elezioni non siano «libere ed eque» come promesso dal presidente. Inoltre le circoscrizioni elettorali sono state ridisegnate, molti seggi sono stati spostati e moltissimi elettori ed elettrici dovranno quindi percorrere lunghe distanze per raggiungerli. E questo potrebbe essere un fattore demotivante soprattutto per i giovani.

La disinformazione
A parte il timore delle opposizioni di irregolarità durante il voto, la disinformazione è stata molto presente durante la campagna elettorale. Si è verificata principalmente su WhatsApp e app di messaggistica tramite chat e canali privati, cosa che ha anche reso più complicato smascherarla.

Nqaba Matshazi, giornalista della ONG Media Institute of Southern Africa (MISA), ha detto che «per la maggior parte degli zimbabweani, Internet è WhatsApp». Solo un terzo dei 15 milioni di persone del paese ha accesso a Internet e solo il 9 per cento degli utenti di Internet utilizza i social media: WhatsApp è considerato il principale mezzo di comunicazione e di informazione. Ed è considerato anche il mezzo più sicuro, vista la sua natura privata: a maggio, lo Zimbabwe ha approvato una legge dalla formulazione vaga che impone dure sanzioni a coloro che attentano alla «sovranità e all’interesse nazionale» del paese e che, secondo i critici e diverse ONG, vieta di fatto ogni critica al governo.

Diversi studiosi e gruppi di “fact-checking” locali, come ZimFact, hanno spiegato come sia lo ZANU-PF che la CCC abbiano fatto ampio uso di foto e video ritoccati di vecchie manifestazioni per creare la falsa impressione di un ampio sostegno ai rispettivi leader da parte della popolazione.

Al contrario, hanno anche utilizzato queste tecniche per suggerire che i loro rivali avessero pochi sostenitori distorcendone deliberatamente i messaggi elettorali. È circolato molto, nelle scorse settimane, un video modificato del leader del CCC, Nelson Chamisa, in cui gli viene fatto dire di sostenere l’annullamento delle popolari riforme agrarie dell’ex presidente Robert Mugabe e di volere la restituzione delle terre nelle mani dei contadini bianchi. La televisione pubblica è a sua volta coinvolta in questo processo di disinformazione: descrive spesso il CCC come un partito impopolare e decontestualizza le parole dei suoi leader.

Il presidente dello Zimbabwe viene eletto a maggioranza assoluta. Se nessun candidato otterrà il 50 per cento più uno dei voti, si terrà un secondo turno. Secondo la legge elettorale i risultati delle presidenziali devono essere annunciati entro cinque giorni dal voto, ma in passato ci è voluto molto più tempo, anche a causa di una serie di conflitti e contestazioni dei risultati in alcuni collegi. Anche stavolta a decidere il vincitore potrebbero essere i tribunali, dicono gli osservatori.

Se Mnangagwa dovesse ottenere un risultato deludente potrebbe comunque essere contestato all’interno del suo stesso partito, ha spiegato Nic Cheeseman, esperto di democrazia dell’università di Birmingham: «La grande domanda è se l’opposizione correrà il rischio di protestare». Per il governo la domanda è invece «fino a che punto si spingerà per reprimere quella resistenza».