L’ultima grande epidemia di colera in Italia, 50 anni fa

Iniziò e si sviluppò soprattutto a Napoli, causò la morte di più di 20 persone e non fu dovuta alle cozze, come si pensò all'inizio

Folla di persone davanti a una farmacia per la vaccinazione contro il colera a Napoli, nel settembre del 1973 (ANSA/ARCHIVIO CARBONE/PRIMA PAGINA)
Folla di persone davanti a una farmacia per la vaccinazione contro il colera a Napoli, nel settembre del 1973 (ANSA/ARCHIVIO CARBONE/PRIMA PAGINA)
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Il 20 agosto 1973, cinquant’anni fa, una donna inglese morì all’ospedale dei Pellegrini di Napoli: le era stata diagnosticata una enterocolite, un’infiammazione intestinale, ma poi si sarebbe scoperto che era stata la prima persona morta per l’epidemia di colera che interessò la città e poi si estese in altre parti dell’Italia meridionale nelle settimane successive, diventando l’ultima grande epidemia di colera nel paese.

Il colera è un’infezione dovuta al batterio Vibrio cholerae che ha come sintomo principale la diarrea, e che nei casi più gravi porta alla morte per disidratazione. Il batterio si trasmette per via orale, diretta o indiretta, se in qualche modo del materiale fecale entra in contatto con degli alimenti (crudi o poco cotti) o con l’acqua che si beve: per questo le epidemie di questa malattia sono legate a problemi dei sistemi fognari e nell’approvvigionamento di acqua potabile. Dato che il batterio del colera può vivere anche nei fiumi e nelle zone costiere, le epidemie possono essere legate al consumo di molluschi.

In origine il colera era endemico, cioè periodicamente presente, in India e in Bangladesh. Nel resto del mondo si è diffuso più volte a partire dall’Ottocento, dando origine a sei pandemie che causarono la morte di milioni di persone. La settima iniziò in Asia nel 1961 e arrivò a essere contenuta nel 1975, ma in un certo senso si può considerare ancora in corso perché i ceppi batterici che ne furono responsabili sono tuttora in circolazione: di fatto ha reso la malattia endemica in molti altri paesi. Fu proprio nel corso di questa pandemia che il colera arrivò a Napoli.

Un cartello vieta la raccolta di mitili nello specchio di mare antistante il Castel dell’Ovo, a Napoli, il 21 ottobre 1973 (ANSA/ARCHIVIO CARBONE/PRIMA PAGINA)

Le prime infezioni note si ebbero nei giorni dopo Ferragosto. Dopo Linda Heyckeey, la donna inglese, morirono il 22 agosto Adele Dolce e, all’ospedale Maresca di Torre del Greco, un comune vicino a Napoli, Rosa Formisano il 26 agosto e Maria Grazia Cozzolino il 27. Fu il primario dell’ospedale di Torre del Greco, Antonio Brancaccio, a ipotizzare che la malattia che aveva causato la morte delle donne potesse essere una forma di colera. Il 29 agosto il Mattino diffuse la notizia dell’epidemia, parlando di cinque morti e cinquanta persone infette ricoverate.

Napoli era già stata interessata da grandi epidemie di colera in passato, nel 1837, nel 1884 e nel 1910-11, ma si pensava che in un paese ormai industrializzato non potesse più succedere. In ogni caso già il primo settembre cominciò una campagna vaccinale, che venne portata avanti nei luoghi più diversi, dalle farmacie alle sezioni dei partiti politici, a un palazzetto. In alcuni casi le tante persone radunatesi per farsi vaccinare protestarono contro la lentezza delle procedure e le lunghe attese; ci furono anche tentativi di assalto ai centri di vaccinazione e ai furgoni che trasportavano i vaccini. Nonostante questo moltissime persone furono vaccinate in poco tempo: più di un milione in una settimana.

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La campagna vaccinale contribuì ad arginare la diffusione del batterio insieme ad altre pratiche igieniche e alla chiusura temporanea di luoghi di socialità. A Napoli l’ultimo caso fu registrato il 19 settembre e già il 12 ottobre l’epidemia poteva considerarsi conclusa nella città. Le morti accertate furono 24, la maggior parte (15) a Napoli; le altre città dove ci furono più infezioni furono Bari (6 morti) e Foggia, in Puglia. È possibile comunque che sia i casi di infezione che i morti siano stati di più.

All’epoca la diffusione del colera venne ricondotta all’importazione di cozze dalla Tunisia, dove il colera si era diffuso nel maggio del 1973, e si pensò che i molluschi fossero il principale mezzo di trasmissione del batterio e per questo vennero distrutti gli allevamenti di cozze presenti lungo le coste napoletane. In realtà poi si verificò che nei molluschi non era presente il ceppo responsabile dell’epidemia, che era invece diffuso nelle acque marine (dove ad agosto in molti facevano il bagno) a causa dell’inadeguatezza del sistema fognario di Napoli, che risaliva agli anni Ottanta dell’Ottocento.

Un gruppo di vigili del fuoco distrugge delle cozze nel mare di Napoli, il 9 settembre 1973 (AP Photo, LaPresse)

Dopo il 1973 non ci furono più estese epidemie di colera in Italia. Nel 1994 a Bari ci fu una ventina di casi, legati a problemi di igiene nel mercato del pesce ed efficacemente curati fin dall’inizio. Quest’estate in due occasioni si è parlato di presunti nuovi casi di colera in Italia: all’inizio di luglio in Sardegna e all’inizio di agosto a Lecce, in Puglia. In entrambi i casi è stato verificato che sebbene nelle feci dei pazienti in questione ci fossero batteri Vibrio cholerae non erano dei ceppi che causano la malattia.

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