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  • Venerdì 11 agosto 2023

Le molte vite di Tazio Nuvolari

È considerato ancora oggi il pilota italiano per eccellenza: morì settant’anni fa da famosissimo, dopo aver rischiato più volte di morire da sconosciuto

di Pietro Cabrio

Tazio Nuvolari a Donington per il Gran Premio del Regno Unito (Fox Photos/Getty Images)
Tazio Nuvolari a Donington per il Gran Premio del Regno Unito (Fox Photos/Getty Images)
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Tazio Nuvolari aveva quasi quarant’anni quando passò definitivamente dal motociclismo all’automobilismo. Era nato nel 1892 in provincia di Mantova ed era cresciuto in una famiglia di ciclisti e motociclisti. Anche per questo, e per via dei costi minori, fino agli anni Venti corse principalmente con le moto. Fu quindi nelle moto che iniziò a farsi conoscere, per poi diventare famosissimo come pilota automobilistico tanto vincente quanto spericolato, apparentemente privo del senso del pericolo e per questo capace di cose fin lì mai viste, o perlomeno raccontate.

A settant’anni dalla sua morte è ancora ricordato dagli appassionati ma anche da gare, circuiti, marchi e canzoni, come la più famosa, scritta nel 1976 da Lucio Dalla: «Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente arriva in mucchio e si stende sui prati; quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente aspetta il suo arrivo per ore e ore; e finalmente quando sente il rumore, salta in piedi e lo saluta con la mano».

Nuvolari firma autografi a Silverstone nel 1950 (J. Wilds/Keystone/Getty Images)

In Europa gli anni da pilota di Nuvolari coincisero con la prima grande fase di ricerca e sviluppo su larga scala dell’industria automobilistica e motociclistica. Le corse sportive servivano a questo sviluppo come oggi rappresentano il punto più avanzato del settore, da cui derivano tecnologie e componenti che possono servire a migliorare i mezzi d’uso comune. Fu per questi motivi che nel 1924, dopo aver scombussolato le gare italiane dell’epoca battendo ripetutamente moto più potenti delle sue, Nuvolari fu ingaggiato dalla Bianchi per correre e sviluppare un nuovo modello dell’azienda, la Freccia Celeste.

All’anno successivo risale una delle sue vittorie più conosciute. Quell’anno infatti l’Alfa Romeo fece delle selezioni per cercare il sostituto di Antonio Ascari (padre di Alberto, campione del mondo di Formula 1), morto a luglio in un incidente nel Gran Premio di Francia. Nuvolari si candidò ma la sua prova non durò molto e anzi, rischiò di fare la fine del pilota che avrebbe dovuto sostituire. «Al primo giro andò a finire dritto in un prato, fu sbalzato fuori dall’auto e fece un volo di otto metri» raccontò in seguito Vittorio Jano, progettista dell’Alfa Romeo. Finì ricoverato con costole rotte, contusioni e lacerazioni, ma dopo appena una settimana tornò a correre in moto e vinse il Campionato europeo, non senza soffrire.

Dopo quell’episodio la Bianchi gli impedì di correre in auto, ma Nuvolari continuò a rischiare la vita anche in moto. Dopo un incidente in una gara motociclistica nei dintorni di Stoccarda, i giornali tedeschi lo diedero per morto, ma lui si ripresentò in pubblico dopo qualche giorno, un po’ ammaccato, smentendo le notizie che nel frattempo erano arrivate anche in Italia. Riprese presto a vincere, tanto che la stampa italiana iniziò a chiamarlo “campionissimo” come fin lì aveva fatto soltanto con il ciclista Costante Girardengo.

Verso la fine degli anni Venti il settore automobilistico continuava a espandersi, così come le corse sportive, e suscitava il fascino maggiore. I piloti di auto erano tra i personaggi più popolari e ammirati, per come univano coraggio, velocità e tecnica alla guida di mezzi mai visti prima, almeno dalle persone comuni. Dopo i successi ottenuti con le moto, Nuvolari decise quindi di passare definitivamente all’automobilismo: lì la sua figura minuta, scaltra e combattiva si fissò presto nell’immaginario comune dell’epoca, anche all’estero, dove lo chiamavano “il piccolo grande uomo”.

In trionfo dopo una vittoria in Irlanda del Nord (Fox Photos/Getty Images)

Nel 1928 fu il primo pilota a fondare una sua scuderia comprando delle auto dalla Bugatti e successivamente da altri produttori italiani. Pochi mesi dopo Enzo Ferrari fece lo stesso fondando la Ferrari, che all’epoca correva con auto Alfa Romeo, di cui Nuvolari fu uno dei primi piloti vincenti.

All’epoca i piloti prendevano parte a corse molto diverse fra loro, sia su circuiti veri e propri che su tracciati ricavati nel sistema stradale dell’epoca, che come si può immaginare era ancora agli albori e composto perlopiù da strade sterrate. C’erano gare di un giorno o di più giorni, si correva di giorno come di notte, e per questo i piloti dovevano essere anche dei meccanici. Nuvolari aveva dimostrato di essere superiore anche in questo già negli anni Venti, quando vinse la famosa gara sul circuito del Tigullio, in Liguria, tagliando il traguardo con un co-pilota svenuto accanto a sé e con un’auto che dopo un incidente era rimasta senza seggiolino e volante, sostituito da una chiave inglese.

Nelle gare più lunghe le auto avevano due posti e i piloti avevano accanto a sé dei meccanici veri e propri. Uno dei suoi meccanici più noti fu Decimo Compagnoni, che a una trasmissione Rai degli anni Cinquanta raccontò come Nuvolari, all’apice della carriera, vinse il Gran Premio del Belgio del 1933: «All’arrivo svenne, non dall’emozione ma dalla fatica. Perché quella macchina, una Maserati, per stare bassa e avere più aerodinamica delle altre aveva un sedile alto due dita, senza molle. Di fatti poi in albergo aveva le piaghe sul sedere a furia di traballare su quel sedile».

Compagnoni fu uno dei collaboratori più importanti nelle vittorie di Nuvolari, come lo fu il secondo pilota Giovanni Battista Guidotti, entrambi protagonisti di svariate vittorie. Nel 1931, in una gara a cronometro sul circuito delle Tre Province (Bologna, Pistoia e Modena) l’auto guidata da Nuvolari si danneggiò passando ad alta velocità sopra un passaggio a livello poco dopo la partenza. Nell’urto si sfondò la molla dell’acceleratore, cosa che mandava il motore su di giri da solo. Compagnoni si sfilò quindi la cinghia dei pantaloni e la usò per regolare il pedale. Anche in quel modo i due vinsero la gara superando l’Alfa Romeo guidata da Enzo Ferrari di circa trenta secondi.

L’anno precedente c’era stata invece la Mille Miglia ricordata per la presenza dell’altro grande pilota dell’epoca, Achille Varzi, e per la “beffa dei fari spenti”. Nuvolari passò quella gara a recuperare lo svantaggio accumulato su Varzi, che raggiunse soltanto verso Peschiera del Garda, quindi a pochi chilometri dall’arrivo. Su quello che accadde dopo le versioni sono tante e tutte diverse: fatto sta che Nuvolari spense i fari, o per simulare un guasto o per non farsi vedere (altre versioni sostengono che li fece lampeggiare per invitare Varzi a lasciarlo passare), e lo superò appena prima di arrivare a Brescia e quindi vincere la gara.

Tazio Nuvolari nel 1933 dopo una vittoria a Belfast (Chris Ware/Keystone/Getty Images)

Era anche un’epoca segnata dalla ricerca costante di record e punte massime di velocità, dato che l’uomo non era mai stato così veloce nella sua storia alla guida di un mezzo. Negli anni Trenta la Germania nazista formò un grande gruppo industriale unendo le sue aziende dell’epoca sotto un unico marchio, Auto Union, il cui simbolo con quattro cerchi è tuttora il marchio dell’Audi. Una delle figure principali di questo gruppo fu il progettista Ferdinand Porsche, considerato un genio dell’epoca, creatore del Maggiolino della Volkswagen e fondatore dell’azienda che ancora oggi porta il suo nome. Porsche disse anche una delle frasi più citate quando si parla di Nuvolari: «È il più grande corridore del passato, del presente e del futuro».

Il gruppo, finanziato dal regime nazista per essere il simbolo del suo primato industriale, si impose velocemente all’avanguardia del settore automobilistico mondiale con invenzioni come la prima auto da corsa con motore posteriore a 16 cilindri, cioè una potenza doppia rispetto alla media dell’epoca. Nuvolari fu uno dei piloti che corsero per l’Auto Union, ma fu anche uno dei pochi che riuscì a batterla guidando le meno veloci auto italiane, con cui si prese peraltro un record molto ambito per l’epoca.

Nella prima metà degli anni Trenta l’Auto Union aveva infatti stabilito il record di velocità su strada raggiungendo i 317 chilometri orari con una 16 cilindri. Per poter competere con quella potenza, l’Alfa Romeo ideò una macchina con due motori da 8 cilindri, la 16C Bimotore. La potenza fu così eguagliata ma con 13 quintali di peso era pressoché impossibile manovrarla sui circuiti, come si accorse Nuvolari nelle gare concluse con ampi distacchi dietro le Auto Union, peraltro guidate dal rivale Varzi. Prima di accantonare definitivamente il Bimotore, però, Nuvolari, Alfa Romeo e Ferrari decisero di provare almeno a battere il record di velocità massima su strada. Lo fecero sul tratto Lucca-Altopascio della Firenze-Mare, dove ci riuscirono superando i 320 chilometri orari.

Nuvolari al volante di una Auto Union a Donington (LaPresse)

Nella sua carriera automobilistica, Nuvolari partecipò a 227 gare vincendone 59 e finendo sul podio 113 volte. Vinse, tra le altre, la 24 ore di Le Mans del 1933, tre edizioni della Mille Miglia, una gara di Formula Indy negli Stati Uniti, due edizioni della Targa Florio e il Campionato europeo del 1932. Partecipò anche a due edizioni della 500 Miglia di Indianapolis, che però in entrambi i casi non riuscì a concludere.

Passata la Seconda guerra mondiale, a quasi sessant’anni Nuvolari tentò di tornare alla guida di un nuovo modello progettato da Porsche per la Cisitalia, che però non fu mai usato su strada per questioni economiche. In quegli anni, tra il 1936 e il 1946, veniva inoltre descritto come particolarmente segnato dalla morte per malattia dei due figli, entrambi diciottenni. Si disse anche che in seguito a quei due lutti perse definitivamente ogni percezione del rischio, e che quindi molte delle gare che vinse e degli incidenti che continuava a fare erano alimentati dalla disperazione. Morì a Mantova l’11 agosto del 1953 per una crisi cardiaca, tre anni dopo aver corso la sua ultima gara e senza aver mai annunciato il ritiro dalle corse.

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