Cosa dicono le sentenze sulla strage di Bologna

Anni di processi hanno stabilito in via definitiva le responsabilità materiali dei terroristi neofascisti e il contesto di complicità istituzionali

Valerio Fioravanti, 8 febbraio 1982 (ANSA ARCHIVIO / A6760)
Valerio Fioravanti, 8 febbraio 1982 (ANSA ARCHIVIO / A6760)
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Da giorni c’è una certa agitazione per le dichiarazioni del responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio, Marcello De Angelis, sulla strage di Bologna che avvenne quando, alla stazione, la mattina del 2 agosto del 1980 una bomba uccise 85 persone e ne ferì oltre 200. In occasione dell’ultimo anniversario De Angelis, che ha un passato nell’estremismo neofascista ed è personalmente legato ai fatti di Bologna, ha scritto su Facebook: «So per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza».

Le vicende giudiziarie seguite alla strage di Bologna sono state tortuose, complesse e ostacolate da continui depistaggi, ma nel tempo hanno stabilito le responsabilità di quanto avvenuto: a mettere la bomba furono i terroristi neofascisti (i condannati sono cinque: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini e Paolo Bellini); ed ebbero un ruolo attivo sia la loggia massonica P2 di Licio Gelli che i servizi segreti militari. Le sentenze hanno anche definito che la strage non fu la conseguenza di una semplice azione armata e spontanea dei gruppi neofascisti, ma un obiettivo importante della strategia della tensione con la quale i gruppi armati di estrema destra volevano minare, con varie complicità istituzionali, la democrazia e instaurare un regime autoritario.

Il primo processo per la strage di Bologna iniziò nel 1987. Erano imputate più di venti persone per i reati di strage, banda armata, associazione sovversiva e calunnia aggravata. Tra loro c’erano Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini (del gruppo neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari, NAR), Stefano Delle Chiaie (di Avanguardia Nazionale), Licio Gelli (capo della loggia massonica P2), Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte (membri dei servizi segreti militari, il SISMI) e Francesco Pazienza (collaboratore del SISMI).

– Leggi anche: Bologna, 2 agosto 1980

Il processo di primo grado si concluse con la condanna all’ergastolo, tra gli altri, di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro; con la condanna per banda armata di Gilberto Cavallini, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro; con l’assoluzione per il presunto reato di associazione sovversiva di Giuseppe Belmonte, Stefano Delle Chiaie, Licio Gelli, Pietro Musumeci e Francesco Pazienza e con la condanna per calunnia aggravata al fine di assicurare l’impunità agli autori della strage di Giuseppe Belmonte, Licio Gelli, Pietro Musumeci e Francesco Pazienza.

Nel 1990 la sentenza del processo d’appello fece cadere l’accusa di strage, confermò solo le condanne per banda armata, ridusse le pene per calunnia aggravata e stabilì l’assoluzione per molti dei condannati in primo grado. Nel 1992 la Cassazione cancellò quel verdetto perché la sentenza era «illogica» e priva di fondamento. Tanto che «in alcune parti» i giudici avevano «sostenuto tesi inverosimili che nemmeno la difesa aveva sostenuto». Il secondo appello terminò nel 1994. Stavolta la condanna all’ergastolo per strage arrivò per Mambro, Fioravanti e Sergio Picciafuoco (a sua volta vicino ai NAR, che verrà assolto definitivamente dalla Cassazione nel 1997), le condanne per banda armata furono stabilite anche per Cavallini e Giuliani e la conferma condanna per calunnia aggravata fu confermata a Belmonte, Gelli, Musumeci e Pazienza.

La sentenza definitiva della Cassazione arrivò il 23 novembre del 1995: furono condannati in via definitiva all’ergastolo, quali esecutori materiali dell’attentato, i neofascisti dei NAR Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. I due si sono sempre dichiarati innocenti, mentre hanno ammesso e rivendicato decine di altri omicidi. In Cassazione Gelli, Musumeci, Belmonte e Pazienza furono condannati per il depistaggio delle indagini.

Nel giugno del 2000 la Corte d’assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio, tra cui quella a nove anni per Massimo Carminati, estremista di destra poi al centro dell’inchiesta cosiddetta “Mafia Capitale”. Un anno dopo la Corte d’appello assolse Carminati e l’assoluzione fu poi confermata dalla Cassazione nel 2003.

Il secondo processo per la strage di Bologna si svolse tra il 1997 e il 2007: Luigi Ciavardini, dopo due appelli, ricevette una condanna come esecutore materiale a trent’anni di reclusione. Ciavardini peraltro è sposato con Germana De Angelis, sorella del responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio Marcello De Angelis, da cui è partita la nuova polemica sulla strage di Bologna. De Angelis stesso, che era un militante del movimento eversivo Terza Posizione (fondato tra gli altri da Roberto Fiore, che poi fondò Forza Nuova), fu inizialmente indagato in merito alla strage. Insieme a lui era stato indagato anche il fratello Nanni, arrestato dopo una breve latitanza e morì in carcere nell’ottobre del 1980 (secondo la polizia per suicidio, tesi sempre negata dalla famiglia).

Un terzo processo sulla strage di Bologna iniziò nel 2017 quando venne rinviato a giudizio con l’accusa di concorso in strage Gilberto Cavallini, un altro ex NAR. Nel 2020 è stato condannato all’ergastolo dai giudici della Corte d’assise di Bologna per aver aiutato Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini ospitandoli nella sua casa a Villorba, in provincia di Treviso, prima della strage e procurando loro documenti falsi e un’auto. Anche lui, pur ammettendo di aver compiuto diversi omicidi e attentati terroristici quando faceva parte dei NAR – era stato arrestato nel 1983 e condannato a diversi ergastoli per banda armata e per gli omicidi commessi tra il 1979 e il 1981 – ha sempre negato il suo coinvolgimento nella strage di Bologna. La sentenza d’appello è prevista per il prossimo autunno.

L’ultima sentenza per la strage di Bologna è arrivata nel 2022. Paolo Bellini, ex militante fascista esponente del gruppo Avanguardia Nazionale, è stato condannato in primo grado all’ergastolo con un anno di isolamento diurno per concorso nella strage. Bellini era già comparso nelle indagini sulla strage all’inizio degli anni Ottanta e poi durante il processo a Gilberto Cavallini. Il processo contro di lui era iniziato nell’aprile del 2021 ed era noto come “il processo ai mandanti” perché si parlava, appunto, anche di mandanti e finanziatori.

Secondo l’accusa, Bellini aveva compiuto la strage in concorso con altre persone già condannate. E poi con Licio Gelli, fondatore e capo della loggia massonica segreta P2, con Umberto Ortolani, faccendiere e braccio destro di Gelli, con Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, e con Mario Tedeschi, politico eletto con il Movimento Sociale Italiano (MSI) e storico direttore del giornale di destra Il Borghese. Gelli, Ortolani, Tedeschi e D’Amato sono morti. Le motivazioni della sentenza, depositate lo scorso aprile, hanno accolto questa tesi:

Possiamo ritenere fondata l’idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo, che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel “documento Bologna”, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in Federico Umberto D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo.

Per la Corte è stato decisivo il cosiddetto “documento Bologna” attribuito a Licio Gelli, nel quale ci sono indicazioni e cifre che sarebbero state pagate per pianificare e attuare l’attentato. La strage non sarebbe stata dunque una conseguenza dello «spontaneismo armato» di gruppi neofascisti: questi gruppi agirono «con i servizi deviati o con elementi della massoneria». Nella sentenza si dice ancora che «il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna».

In quasi quarant’anni di processi, le sentenze hanno dunque accertato le responsabilità per la strage di Bologna: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, neofascisti appartenenti ai NAR, sono stati riconosciuti definitivamente colpevoli, assieme a Paolo Bellini di Avanguardia Nazionale, condannato all’ergastolo in primo grado per concorso in strage. I processi hanno poi individuato la complicità di alcuni ufficiali dei servizi segreti e hanno stabilito che gli esponenti di alto livello della P2 non furono solo ispiratori della strage e non tentarono solo di depistare le inchieste giudiziarie relative, ma ebbero un ruolo più attivo.

Lo scorso 2 agosto, giornata in memoria della strage di Bologna, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella sua dichiarazione ufficiale ha evitato di indicare la matrice politica dell’attentato parlando, in modo generico, di «terrorismo». Gianfranco Pagliarulo, presidente Anpi, ha tra gli altri criticato Meloni dicendo che «la magistratura ha accertato le responsabilità dei neofascisti e l’intreccio di poteri occulti dietro quella strage. Eppure sono ancora in corso, in particolare da parte di dirigenti di Fratelli d’Italia tentativi di negazionismo e più in generale manovre per riscrivere la storia del decennio delle stragi nere».