Le motivazioni dell’ultima sentenza sulla strage di Bologna

Per i giudici Licio Gelli e la loggia massonica di cui era a capo «contribuirono in modi non definiti» all'attentato che uccise 85 persone

Una fotografia scattata poco dopo l’esplosione alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 (Ansa)
Una fotografia scattata poco dopo l’esplosione alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 (Ansa)

Mercoledì 5 aprile sono state depositate le motivazioni della sentenza della Corte di assise di Bologna che esattamente un anno fa aveva condannato all’ergastolo in primo grado Paolo Bellini, ex militante fascista esponente del gruppo Avanguardia Nazionale, per concorso nella strage alla stazione di Bologna avvenuta il 2 agosto 1980 e che provocò 85 morti e 200 feriti. Il processo a Bellini era iniziato nell’aprile del 2021 ed è noto come “il processo ai mandanti” della strage. Nella sentenza si parla infatti anche di mandanti e finanziatori.

Secondo l’accusa, Bellini aveva compiuto la strage in concorso con altre persone già condannate. E poi con Licio Gelli, fondatore e capo della loggia massonica segreta P2, con Umberto Ortolani, faccendiere e braccio destro di Gelli, con Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, e con Mario Tedeschi, politico eletto con il Movimento Sociale Italiano (MSI) e storico direttore del giornale di destra Il Borghese. Gelli, Ortolani, Tedeschi e D’Amato sono morti. Le motivazioni della sentenza, 1.724 pagine di cui i giornali riportano diversi stralci, hanno accolto questa tesi:

Possiamo ritenere fondata l’idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo, che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel “documento Bologna”, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in Federico Umberto D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo.

Per la Corte è stato decisivo il cosiddetto “documento Bologna” attribuito a Licio Gelli, nel quale ci sono indicazioni e cifre che sarebbero state pagate per pianificare e attuare l’attentato. La strage non sarebbe stata dunque una conseguenza dello «spontaneismo armato» di gruppi neofascisti: questi gruppi agirono «con i servizi deviati o con elementi della massoneria».

Secondo i giudici «l’ipotesi sui “mandanti” non è un’esigenza di tipo logico-investigativo, ma un punto fermo. La strage di Bologna ha avuto dei “mandanti” tra i soggetti indicati nel capo d’imputazione, non una generica indicazione concettuale, ma nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna».

Le cause vanno dunque comprese, dice ancora la sentenza, «allargando il campo di osservazione», guardando la «situazione politico-internazionale del paese» e le relazioni tra il terrorismo fascista e le «centrali operative della strategia della tensione» nella fine degli anni Settanta. In sostanza secondo i giudici gli esponenti di alto livello della P2 non furono solo ispiratori della strage, e non tentarono solo di depistare le inchieste giudiziarie relative, ma ebbero un ruolo più attivo.

«Anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della strage, pur senza appartenere in modo diretto a gruppi neofascisti», continua la Corte, «condividevano i predetti obiettivi antidemocratici di fondo ed ambivano all’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse».

Infine la Corte ha dato risalto al dovere di andare oltre la responsabilità penale, nonostante Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi siano morti:

L’impunità per morte del reo non chiude necessariamente la sequenza che riguarda il dovere di preservare la memoria, combinando il diritto di sapere delle vittime col complesso di garanzie che possono renderlo effettivo nonostante l’impraticabilità di un giudizio di responsabilità.

E ancora:

Resta il punto ineludibile che il diritto alla riparazione e a qualsiasi forma risarcitoria inizia con la verità dei fatti, principio che vale non solo per il processo penale, ma per qualsiasi forma giudiziale in cui un diritto può essere tutelato fino a prescrizione.

Bellini, 69 anni, è il quinto condannato come esecutore della strage. Prima di lui, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro erano stati condannati in via definitiva all’ergastolo mentre, in un altro processo, Luigi Ciavardini era stato condannato, sempre in via definitiva, a 30 anni. In un altro procedimento ancora Gilberto Cavallini, anche lui ex terrorista fascista, era stato condannato in primo grado all’ergastolo.

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