Ma come fanno i centurioni

«Il terzo centurione non vuole dirmi quanto guadagna al mese, ma ci tiene a sottolineare che lui è un tipo serio. “I delinquenti ce rovinano la piazza, ce stanno gli abusivi… io al lavoro mio ce tengo”. Centurioni abusivi? “Be’, perché si stupisce? Questo è un buon lavoro”. “Lo consiglierebbe a un ragazzo in cerca di occupazione?” “Sì, ma devi sape’ le lingue”. Dice, impettito. “E se Musk e Zuckerberg venissero davvero a sfidarsi al Colosseo?”

Centurioni al Colosseo, 4 gennaio 2019, Roma (Fabrizio Corradetti/LaPresse)
Centurioni al Colosseo, 4 gennaio 2019, Roma (Fabrizio Corradetti/LaPresse)
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Prima di addentrarmi in questa vicenda, vorrei chiarire una cosa: io sono pavida e pigra. L’impresa più audace che abbia compiuto nella mia vita letteraria è stata scrivere recensioni. Tutte positive, s’intende, ché la mia anima vile rifugge i conflitti e le inimicizie. Di conseguenza, quando mi è stato chiesto di appostarmi nei pressi dell’Anfiteatro Flavio per fare due chiacchiere con qualche centurione sulla loro professione e sulla sfida tra Elon Musk e Mark Zuckerberg, mi sono chiesta: perché proprio io?

L’ultima volta che mi sono lanciata in un pezzo per Il Post ho, inopinatamente, scelto di parlare di una delle categorie che mi sono più care e necessarie (non ho la patente), quella dei tassisti. Non l’avessi mai fatto: ho dovuto sopportare una shitstorm inaspettata, quindi stavolta ho messo bene in chiaro (dopo) che non volevo guai e che, essendo la paura il faro della mia vita, sui centurioni non avrei scritto niente che avrebbe messo a rischio la mia serenità. Quello che non sapevo è che, nel frattempo, le temperature sarebbero diventate incompatibili con la salute fisica e mentale di chiunque, figurarsi mia. L’ideale per una creatura pallida che rifiorisce al calare delle tenebre e con l’arrivo dell’autunno.

Sentite come rimbomba bene la parola cen-tu-rio-ni nell’arena bollente dell’anfiteatro? Voi pensavate forse che si trattasse di una categoria estinta insieme alle guerre puniche e invece eccoli qui, i nostri baldi eroi: un tempo sparsi come gocce di bronzo lungo tutta via dei Fori Imperiali, si raggruppavano nei dintorni della “macchina da scrivere” – nomignolo affettuoso che i vecchi romani hanno dato al monumento al Milite Ignoto altrimenti detto “Altare della Patria” di piazza Venezia – oppure lungo il perimetro del Colosseo. L’inverno è clemente con le loro divise: in fondo a Roma non fa mai veramente freddo. Il problema arriva con il caldo: abbigliati con diversi strati di rosso, una tunica, un pettorale di bronzo, l’elmo crestato, la mantella, quando mi avvicino a uno di loro mi sento una privilegiata. Ma come fanno i centurioni, mi chiedo. E mi rispondo: sono organismi geneticamente modificati, ormai immuni all’avvicendarsi delle stagioni.

Ho scritto “un tempo”, perché se è stato difficile trovarne qualcuno, si è rivelato ancor più complicato parlarci. Per una come la sottoscritta, la cui prova atletica più temeraria fuori dalle mura di casa – non quella di scrivere recensioni, quando scrivo sto ferma – è stata giocare alla caccia al tesoro a circa quattordici anni, cadere mentre correva, e tenersi un ginocchio gonfio e insensibile per mesi – andare in giro a convincere uno sconosciuto a parlare con lei è stata una specie di tortura per espiare la sedentarietà.

I centurioni sono rari e circospetti, dicevo. Un po’ come i massoni, un po’ come i poteri forti, sono la Bilderberg del turismo.

«Eh, il nostro è un lavoro pesante», mi dice un antico romano che chiameremo Sergio, come Sergio Benvenuti di Borotalco. Non ne dubito, soprattutto d’estate, con la mitezza di questi quaranta gradi all’ombra e tutti gli strati di stoffa e bronzo, non deve essere facile tornare a casa intatti.

«Ma è questo il motivo per cui lo definisci pesante?» chiedo, passando direttamente al tu. Sono qui per capire come si diventa centurioni romani nel 2023, magari c’è una selezione: esperienza, titoli di studio, conoscenza dei rudimenti base del dialetto romano, come per esempio la differenza tra sticazzi e mecojoni. «No, è un lavoro pesante perché devi stare in piedi, sempre in giro, devi chiedere ai turisti se vogliono fare una foto. Io di base sono un timido, a me invece me piacerebbe famme l’affari mia, resta’ a casa, guarda’ i film».

Sento il cuore sobbalzare, ho trovato un fratello di inerzia e lui ancora non lo sa. So che è sincero perché nell’ultima parte è crollato sotto la scure del dialetto. Il dialetto non mente. «E comunque ce vòle un po’ de presenza», conclude. «In che senso, presenza?». Non vedo cartellini da timbrare in giro. Sergio sorride, con l’aria di chi sta guardando una povera decerebrata oppure un’ipovedente. «Ma come in che senso? Devi essere prestante, du’ muscoli ce li devi ave’». Eppure mi era sembrato di scorgere anche qualche pensionato, tra voi centurioni. Ma non glielo dico, non sono votata al sacrificio. «Ma di questa sfida tra Musk e Zuckerberg al Colosseo che ne pensi? Vi toccherà fare gli straordinari?» Sergio fa spallucce. «Penso che sono miliardari e che se davvero vogliono menarsi al Colosseo magari qualcosa rimediamo anche noi. Non le botte, eh. I soldi. Ma tanto non credo che ci farebbero restare qui intorno».

Mi aspettavo una risposta più tranchant, mi aspettavo una battuta ma, a quanto pare, i centurioni romani oggi sono più malinconici e annoiati di quelli che partivano per Cartagine. Del resto, tutti dobbiamo mangiare.

Sergio stazionava tra piazza Venezia e il Colosseo, quando l’ho incontrato. Via dei Fori Imperiali, d’estate, è come piazza del Parlamento: se ci passi, sappi che non riuscirai mai a uscirne in forma solida perché il Sahara del Centro Storico ti avrà trasformato direttamente in vapore. Esperienza sublime. Questo penso, mentre a mezzogiorno e mezzo di un’altra giornata in cui si sentono solo le lucertole che strisciano sulle pietre del Colosseo, adocchio un secondo centurione, stavolta con la tunica bianca come i capelli che gli sfuggono dall’elmo. Mangia un panino appoggiato al cantiere provvisorio della Metro C. Io ho le mie ossessioni, come tutti, e considero questa immagine pressoché perfetta, un segno del destino. È la prima volta che vado in giro a chiedere a sconosciuti cose sulla loro vita, ma la prossimità con la Metro C me li rende tutti cari, persone di famiglia, quasi parenti.

Anche quest’uomo non vuole che compaia il suo vero nome: il loro lavoro è tutto esentasse, dice, e guadagna abbastanza bene – con alti e bassi a seconda della stagione. Lo chiamerò Dino, come Dino Risi, perché ravviso una vaga somiglianza.

«Come mai fa il centurione?» gli chiedo, dandogli del lei. A differenza di Sergio, Dino mi ispira più soggezione. «Perché è un lavoro come un altro ed è meglio che rubare». «Però non pagate le tasse». «E mica è colpa nostra, signori’». Ecco il secondo rigurgito d’amore: devo ammettere che ho un debole per la categoria, Dino mi ha chiamato “signorina”. Quindi mi azzardo a insistere: «Ma come si diventa centurioni?» «Boh, io ogni tanto faccio la comparsa a Cinecittà, ma ormai proprio raramente, e allora me riciclo qui». «Quindi non c’è un albo?» «Come no, l’albo pretorio!» Ovviamente mi ride in faccia, me lo merito. «Ma questi vestiti?».
«Eh, i vestiti li prendiamo da chi noleggia i costumi, magari da amici, in teatro…».

Non vuole dirmi quanto guadagna al mese, ma ci tiene a sottolineare che lui è un tipo serio. «I delinquenti ce rovinano la piazza, ce stanno gli abusivi… io al lavoro mio ce tengo». Centurioni abusivi? «Be’, perché si stupisce? Questo è un buon lavoro». «Lo consiglierebbe a un ragazzo in cerca di occupazione?» «Sì, ma devi sape’ le lingue». Dice, impettito. Terzo rigurgito d’amore: comincio a guardarli con l’ammirazione con cui guardai i Bronzi di Riace quando li esposero per la prima volta al Quirinale.

«E se Musk e Zuckerberg venissero davvero a sfidarsi al Colosseo?». Lì per lì resta interdetto, non riesce a ricordare chi sono. Quando nomino Facebook e Twitter e svariate altre cosette fa: «Ah». Gli mostro le foto dei due e lui scuote la testa. «Cioè questi vorrebbero lottare al Colosseo? Vabbè ma non c’hanno il fisico». Ridacchia. «Me sta a prende’ in giro?» Nient’affatto, rispondo. «Questi al primo sganassone se disintegrano. E poi come lottano? Nudi? Ma perché proprio qui? Non c’hanno un posto dalle parti loro? Ce lasciassero lavora’».

Travolta da una serie di interrogativi a cui non so dare risposta, mi ritiro, sudata e umiliata. Alla fine è stato lui ad asfaltarmi di domande. Mi allontano a passo svelto, giro intorno al Colosseo e vado verso l’Arco di Tito. Qui adocchio un centurione con l’elmo crestato in mano, ha appena fatto una foto con una famiglia di turisti, che mi azzardo a definire stranieri a giudicare dal Danke che gli hanno rivolto al termine dello scatto. Dopo uno scambio di battute – ho dovuto insistere per riuscire a fargli qualche domanda – decido di chiamarlo Claudio, ma non come l’imperatore zoppo, bensì come Claudio Gentile, il mastino della nazionale italiana campione dei mondiali del 1982. È scuro di carnagione come lui, e ha una fossetta sul mento. Anche questo Claudio gioca in difesa.

«Ma voi lo fate qualche raduno, tipo i bersaglieri, gli alpini, i balneari?». Claudio mi guarda, schifato. Sospira. «No, nun c’avemo tempo». «Pagate l’iscrizione al sindacato centurioni? Un bel fascio littorio, un’aquila romana come simbolo…». Non la prende bene, perché non risponde e si mette a fissare con ostentazione il cellulare. Insisto: «Ma esiste un sindacato dei centurioni? Magari gemellato con il sindacato dei cavalieri o con una gilda delle arti e dei mestieri…». Claudio mi guarda, si accende una sigaretta. «Ma che me sta a pija’ pe’ ’r culo?» «Assolutamente no», rispondo con la mia faccia più seria, ma sentendomi morire dentro.

Perché ho accettato di andare a intervistare degli sconosciuti per la strada, io che vivo abbracciata al computer, nascosta in una rassicurante penombra protettiva? «Sareste più forti in squadra. Poi sai che bell’effetto il sindacato dei centurioni». Claudio fa un tiro di sigaretta. Ne accendo una anche io perché mi sto vergognando come se fossi nuda in piazza San Pietro durante l’Angelus. «Vabbè, bello o brutto, il sindacato nun esiste. Altre domande? Io dopo sta sigaretta devo torna’ a lavora’». Allora prendo fiato e butto fuori tutta in una volta la domanda: «Secondo lei Musk e Zuckerberg dovrebbero menarsi sul serio? Tipo con i calci e con i pugni, rotolare nella sabbia come ai tempi dell’Antica Roma?» Claudio ci pensa su un attimo e si allontana, lasciandomi lì come una cretina. Mentre sto meditando su quanto sia inadeguata a fare domande, a dare risposte e, sostanzialmente, a fare qualsiasi altra cosa che non implichi lo schermo di un computer o un’aula scolastica, Claudio si volta e, senza smettere di camminare, dice: «Io dico solo ’na cosa: peccato che non ce stanno più i leoni veri ar Colosseo».

Gaja Cenciarelli
Gaja Cenciarelli

Vive e lavora a Roma. È specializzata in scritture femminili, in letteratura anglo-irlandese e dei paesi di lingua inglese. Sta ritraducendo tutta l'opera di Flannery O'Connor. Tiene corsi di traduzione e insegna lingua e letteratura inglese. Il suo ultimo romanzo è Domani interrogo (Marsilio).

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