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  • Mercoledì 5 luglio 2023

Il mistero sulle figlie imprigionate del vecchio re dell’Arabia Saudita

Nel 2014 alcuni media raccontarono la storia delle quattro principesse di cui dopo la morte di re Abdullah non si è più saputo nulla

Il precedente re dell'Arabia Saudita Abdullah insieme alle quattro figlie avute da Alanoud al Fayez (Fotografia mostrata nel 2014 da Channel 4 News)
Il precedente re dell'Arabia Saudita Abdullah insieme alle quattro figlie avute da Alanoud al Fayez (Fotografia mostrata nel 2014 da Channel 4 News)

Nel marzo del 2014 alcuni media internazionali raccontarono che il re dell’Arabia Saudita teneva prigioniere in un palazzo di Gedda quattro delle proprie figlie da una quindicina d’anni. All’epoca il re era Abdullah, fratello dell’attuale sovrano Salman: morì a 90 anni nel gennaio del 2015 e da allora non si è più saputo nulla né delle figlie imprigionate, né della loro madre, divorziata da Abdullah e residente a Londra. Ne ha riparlato un recente articolo del New Yorker: l’autrice, Heidi Blake, ha parlato con due giornaliste e uno studioso che una decina d’anni fa riuscirono a comunicare con le figlie di re Abdullah e la loro madre per email e telefono, ma nessuno ha saputo darle nuove informazioni sulla loro sorte.

Le quattro principesse prigioniere si chiamano Sahar, Maha, Hala e Jawaher e sono nate tra il 1971 e il 1976 – dunque oggi hanno tra i 52 e i 47 anni. La loro madre, Alanoud al Fayez, venne fatta sposare con l’allora principe saudita Abdullah quando aveva 15 anni. Come gli altri nobili sauditi, Adbullah era poligamo e nel corso della sua vite ebbe almeno 35 figli. Il rapporto tra lui e al Fayez, stando a quello che si sa, si guastò perché non avevano avuto figli maschi, e a un certo punto la donna fuggì a Londra e ottenne il divorzio dal marito.

Non ci sono informazioni precise sulla vita delle figlie di re Abdullah e al Fayez, ma secondo la ricostruzione di Blake le quattro donne ebbero un’infanzia privilegiata e piuttosto libera, potendo viaggiare per l’Europa e studiare. Per qualche ragione però furono chiuse all’interno di un palazzo della famiglia reale poco prima dell’inizio del regno del padre, che divenne re nel 2005.

In Arabia Saudita le donne non hanno le stesse libertà degli uomini e non possono viaggiare all’estero, sposarsi, frequentare le scuole superiori o sottoporsi ad alcune procedure mediche senza il permesso del proprio tutore maschio, che può essere il marito, il padre, il fratello, ma anche il figlio.

Tra il 2013 e il 2014 Sahar e Jawaher, la più vecchia e la più giovane delle quattro sorelle, contattarono alcune persone all’estero attraverso internet. Sahar usò Twitter per scrivere alcuni messaggi ad Ali al Ahmed, un dissidente ed esperto di politica saudita che vive a Washington, negli Stati Uniti. Stando al racconto dello stesso al Ahmed, Sahar disse che veniva tenuta rinchiusa in un palazzo insieme a Jawaher e che lei e la sorella avevano un telefono che era stato concesso loro per parlare con la madre; non erano però in contatto con le altre due sorelle Maha e Hala, che erano prigioniere altrove.

Al Ahmed contattò Alanoud al Fayez e le consigliò di segnalare la situazione delle figlie all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Poi la donna si fece intervistare da Fatima Manji, una giornalista del programma televisivo britannico Channel 4 News: l’intervista, in cui la faccia di al Fayez è tenuta nascosta perché la donna non voleva essere riconosciuta, si può tuttora guardare su YouTube. In quell’occasione l’ambasciata saudita a Londra disse solo che la situazione delle principesse era «una questione privata».

Due settimane e mezzo dopo Manji intervistò anche Sahar e Jawaher attraverso una videochiamata: fu trasmessa su Channel 4 lo stesso giorno in cui l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama incontrò re Abdullah in Arabia Saudita. «Siamo ostaggi», disse Sahar durante l’intervista, «il responsabile è nostro padre, il re». Anche questa intervista si può tuttora guardare su YouTube.

Secondo la denuncia di al Fayez e i racconti di Sahar e Jawaher, le quattro sorelle venivano tenute sotto costante sorveglianza da guardie armate, erano «sistematicamente drogate» perché non potessero fuggire e non avevano accesso a cure mediche, cosa problematica soprattutto per Hala, che soffriva di anoressia. Sebbene vivessero in un palazzo, le loro condizioni di vita non erano buone perché si trattava di una struttura fatiscente, periodicamente priva di acqua pulita ed elettricità, come è possibile vedere in alcuni video fatti dalle sorelle che furono trasmessi su Channel 4.

Nell’intervista le sorelle dissero di aver deciso di parlare con i giornalisti della propria situazione dopo che il padre aveva detto loro che non le avrebbe mai lasciate libere e che dopo la sua morte sarebbero stati i loro fratelli a tenerle prigioniere.

Sulle ragioni della propria prigionia, lasciarono intendere che il re voleva che al Fayez tornasse in Arabia e che sostanzialmente teneva prigioniere le figlie affinché lei lo facesse. A un certo punto Jawaher disse anche che venivano punite perché avevano parlato al re della violazione dei diritti umani in Arabia Saudita, che Sahar definì un’«apartheid di genere»; in un’email mandata alcuni mesi dopo a un sito di notizie sul Medio Oriente, Sahar raccontò che le sorelle erano state pian piano private della libertà di cui disponevano dopo che avevano iniziato a mettere in discussione alcuni aspetti del regime saudita.

Invece, durante una seconda intervista con Manji, al Fayez disse di aver visto qualcosa in Arabia Saudita che il re non voleva rivelasse: non raccontò cosa fosse perché sperava di convincere l’ex marito a lasciare libere le figlie dimostrandogli che non ne avrebbe parlato.

Dopo le interviste trasmesse alla televisione britannica, Sahar e Jawaher dissero che i loro carcerieri avevano smesso di portare loro da mangiare. Non furono tuttavia private del telefono a loro disposizione e dell’accesso a internet e continuarono a comunicare con alcuni giornalisti stranieri.

Nel maggio del 2014 due funzionari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani scrissero al governo dell’Arabia Saudita chiedendo conto delle quattro principesse e in particolare delle due a cui apparentemente non veniva dato da mangiare: l’ONU chiese all’Arabia Saudita di non commettere ulteriori violazioni dei diritti delle donne o di dimostrare che le accuse che erano state rivolte al re erano false, ma non ricevette risposte.

Alla notizia della morte di re Abdullah Ali al Ahmed scrisse alle sorelle per essere aggiornato sulle loro condizioni, ma non ricevette mai risposta. Nemmeno Manji e Ángeles Espinosa, una giornalista del quotidiano spagnolo El País che aveva comunicato con le principesse, riuscirono più a mettersi in contatto con loro. E divenne irrintracciabile anche al Fayez: il suo profilo su Twitter era stato cancellato. Heidi Blake ha provato a ritrovarla senza successo. Nemmeno alle Nazioni Unite hanno più saputo nulla.

L’ipotesi più ottimista delle persone che parlarono con le principesse è che in seguito alla morte del padre le sorelle abbiano ottenuto la libertà in cambio del silenzio, loro e della madre. Al Ahmed tuttavia è scettico perché ritiene che in quel caso Sahar lo avrebbe avvisato di stare bene: secondo lui le principesse potrebbero essere morte.

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