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  • Domenica 2 luglio 2023

«Forse non ci sono campi se non di battaglia»

Dice così una delle poesie sulla guerra di Wisława Szymborska, poeta polacca e premio Nobel per la Letteratura che nacque 100 anni fa

La poeta polacca Wislawa Szymborska fuma durante il banchetto organizzato per la cerimonia in cui le fu consegnato il premio Nobel per la Letteratura, il 10 dicembre 1996 a Stoccolma, in Svezia (AP photo/Soren Andersson)
La poeta polacca Wislawa Szymborska fuma durante il banchetto organizzato per la cerimonia in cui le fu consegnato il premio Nobel per la Letteratura, il 10 dicembre 1996 a Stoccolma, in Svezia (AP photo/Soren Andersson)
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La realtà esige
che si dica anche questo:
la vita continua.
Continua a Canne e a Bordino
e a Kosovo Polje e a Guernica.

C’è un distributore di benzina
nella piazzetta di Gerico,
ci sono panchine dipinte di fresco
sotto la Montagna Bianca.
Lettere vanno e vengono
tra Pearl Harbor e Hastings,
un furgone di mobili transita
sotto l’occhio del leone di Cheronea,
e ai frutteti in fiore intorno a Verdun
si avvicina solo il fronte atmosferico.

C’è tanto Tutto
che il Nulla è davvero ben celato.
Dagli yacht ormeggiati ad Azio
arriva la musica
e le coppie danzano sui ponti nel sole.

Talmente tanto accade di continuo
che deve accadere dappertutto.
Dove non è rimasta pietra su pietra,
c’è un carretto di gelati
assediato dai bambini.
Dov’era Hiroshima
c’è ancora Hiroshima
e si producono molte cose
d’uso quotidiano.

Questo orribile mondo non è privo di grazie,
non è senza mattini
per cui valga la pena svegliarsi.

Sui campi di Maciejowice
l’erba è verde
e sull’erba, come è normale sull’erba,
una rugiada trasparente.

Forse non ci sono campi se non di battaglia,
quelli ancora ricordati,
quelli già dimenticati,
boschi di betulle e boschi di cedri,
nevi e sabbie, paludi iridescenti
e forre di nera sconfitta,
dove per un bisogno impellente
ci si accuccia oggi dietro un cespuglio.

Qual è la morale? – forse nessuna.
Di certo c’è solo il sangue che scorre e si rapprende
e, come sempre, fiumi, nuvole.

Sui valichi tragici
il vento porta via i cappelli
e non c’è niente da fare –
lo spettacolo ci diverte.

“La realtà esige” di Wisława Szymborska, dalla raccolta La fine e l’inizio (1993)
Traduzione di Pietro Marchesani

Cento anni fa nacque a Kórnik, nel sud della Polonia, Wisława Szymborska (si pronuncia più o meno “Visuava Scimborsca”), una delle poete del Novecento i cui versi sono più spesso citati in film, libri e canzoni. Viene ad esempio da una sua poesia l’espressione «come mi batte forte il tuo cuore», poi divenuta titolo del libro di Benedetta Tobagi dedicato al padre, il giornalista Walter.

La fama di Szymborska in Italia iniziò nel 1996, quando la poeta vinse il premio Nobel per la Letteratura. Fu la nona donna e la quarta persona polacca a vincerlo. Le sue poesie parlano di piccole esperienze quotidiane, ma anche di riflessioni generali sulla vita, l’enormità del cosmo e della storia, e per questo parlano a moltissime persone, anche a distanza di molti anni da quando vennero scritte. Vale anche per le varie poesie sulla guerra contenute in La fine e l’inizio, che si possono leggere in italiano nella raccolta La gioia di scrivere. Tutte le poesie pubblicata da Adelphi.

«Ho sempre guardato all’intero globo terrestre. Avevo la sensazione che in altre parti del mondo accadessero cose ancora più terribili», raccontò Szymborska alle giornaliste Anna Bikont e Joanna Szczęsna, autrici della sua biografia Cianfrusaglie del passato: «La vita di un uomo, unica, irripetibile, racchiusa entro orizzonti così penosamente angusti. Per questo cercavo di scrivere poesie che andassero oltre tali orizzonti. Non mancano in esse le esperienze polacche. Se fossi una poetessa – che so – olandese, molte sicuramente non sarebbero state scritte. Ma alcune forse sarebbero state scritte lo stesso, indipendentemente da dove fossi vissuta, qui o lì. Perché anche questa è una cosa a cui un po’ tengo».

– Leggi anche: Altre poesie di Wisława Szymborska