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  • Giovedì 29 giugno 2023

Il National Geographic ha licenziato i suoi ultimi autori interni

L'edizione originale americana della famosa rivista è in difficoltà e userà solo autori freelance per i suoi articoli e reportage

di Paul Farhi - The Washington Post

Una famosa copertina del National Geographic con il ritratto della profuga afghana Sharbat Gula del fotografo Steve McCurry, mostrata da un libraio di Islamabad in Pakistan (AP Photo/B.K. Bangash, File)
Una famosa copertina del National Geographic con il ritratto della profuga afghana Sharbat Gula del fotografo Steve McCurry, mostrata da un libraio di Islamabad in Pakistan (AP Photo/B.K. Bangash, File)

Mercoledì il National Geographic, la rivista mensile con sede a Washington che da 135 anni racconta la scienza e il mondo naturale, ha attraversato un altro passaggio difficile dovendo licenziare tutti i suoi ultimi scrittori interni rimanenti. Il ridimensionamento, l’ultimo di una serie dopo l’acquisto da parte della Walt Disney Company, coinvolge complessivamente 19 giornalisti, che sono stati informati ad aprile che questi licenziamenti erano imminenti. Gli articoli saranno ora affidati a freelance o saranno assemblati dalla redazione [negli Stati Uniti è più chiara e definita una differenza tra “editors” e “reporters” o “writers”, ovvero tra chi decide e cura l’edizione di un giornale e chi produce e scrive gli articoli, ndr]. Le riduzioni hanno eliminato anche il piccolo dipartimento audio della rivista.

Si tratta del secondo giro di licenziamenti negli ultimi nove mesi e il quarto da quando è iniziata una serie di cambiamenti di proprietà nel 2015. A settembre Disney aveva rimosso sei responsabili della redazione in una riorganizzazione delle operazioni editoriali della rivista. I dipendenti che lasceranno hanno dichiarato mercoledì che la rivista ha ridotto i contratti fotografici che consentivano ai fotografi di trascorrere mesi sul campo per produrre le famose immagini della rivista. In un ulteriore tentativo di ridurre i costi, a partire dall’anno prossimo le copie non saranno più vendute nelle edicole degli Stati Uniti, ha annunciato l’azienda in un comunicato interno il mese scorso.

Craig Welch, autore di National Geographic, ne ha parlato in un tweet mercoledì: «È appena arrivato il mio nuovo National Geographic, che include il mio ultimo articolo, il sedicesimo e l’ultimo come redattore senior… Sono stato così fortunato. Ho avuto l’opportunità di lavorare con giornalisti incredibili e raccontare storie importanti a livello globale. È stato un onore».

Il percorso attuale della rivista è stato costruito nel corso degli anni, avviato principalmente dal declino epocale della stampa e dall’ascesa delle notizie e delle informazioni digitali. Nel mondo velocissimo dei media digitali il National Geographic è rimasto un prodotto quasi artigianale: una rivista mensile le cui foto, grafiche e articoli erano talvolta il risultato di mesi di ricerca e reportage. Nel suo periodo di massimo splendore, alla fine degli anni Ottanta, il National Geographic raggiungeva 12 milioni di abbonati negli Stati Uniti e altri milioni nel resto del mondo. Molti dei suoi appassionati amavano talmente l’attenzione che offriva su altri mondi – lo Spazio, le profondità dell’oceano, luoghi poco conosciuti del pianeta – che è una condizione diffusa l’averne accumulato vecchi numeri che ingombrano soffitte e cantine. Resta una delle riviste più lette negli Stati Uniti, in un periodo in cui le riviste non sono più così lette. Alla fine del 2022, aveva poco meno di 1,8 milioni di abbonati, secondo l’ente di valutazione Alliance for Audited Media.

Il National Geographic fu creato dalla National Geographic Society di Washington, una fondazione fondata da 33 accademici, scienziati e aspiranti viaggiatori avventurosi, tra cui Alexander Graham Bell. Inizialmente la rivista veniva venduta al pubblico come una promozione per iscriversi alla società. Crescendo, lentamente ma costantemente, si trasformò in una pubblicazione indipendente, raggiungendo un milione di abbonati negli anni Trenta.

La rivista è stata poi superata, per profitti e attenzione, dalle operazioni video della società, tra cui il canale televisivo via cavo National Geographic e Nat Geo Wild, un canale incentrato sugli animali. Sebbene abbiano prodotto documentari della stessa qualità delle rigorose indagini della rivista, i canali – gestiti dalla 21st Century Fox di Rupert Murdoch – hanno trasmesso anche programmi di intrattenimento pseudoscientifico sugli UFO e serie televisive come Sharks vs. Tuna, in contrasto con la visione originaria di alta qualità scientifica della National Geographic Society.
Il ruolo di rilievo della rivista è continuato a sbiadire attraverso una serie di riorganizzazioni aziendali iniziate nel 2015, quando la National Geographic Society ha accettato di formare una partnership con la 21st Century Fox, che ha ottenuto la maggioranza in cambio di 725 milioni di dollari. La partnership è entrata a far parte di Disney nel 2019 all’interno di un enorme accordo da 71 miliardi di dollari tra Fox e Disney.

Tra coloro che hanno perso il lavoro nell’ultimo turno di licenziamenti c’è Debra Adams Simmons, che solo lo scorso settembre era stata promossa a vicepresidente di National Geographic Media, il gruppo che gestisce la rivista e il sito web. David Miller, vicepresidente esecutivo di National Geographic Media, ha dichiarato che la rivista sta “riallineando i dipartimenti chiave per approfondire il coinvolgimento dei nostri lettori, allo stesso tempo sostenendo i modelli di business esistenti e sviluppando nuove linee di ricavo”.

In una email inviata al Washington Post mercoledì, il portavoce di National Geographic, Chris Albert, ha dichiarato che i cambiamenti nel personale non influenzeranno i piani dell’azienda di continuare a pubblicare una rivista mensile, «ma ci daranno invece maggiore flessibilità nel raccontare storie diverse e raggiungere il nostro pubblico ovunque si trovi, attraverso le nostre numerose piattaforme».

© 2023, The Washington Post
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(traduzione di Emilia Sogni)