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  • Mercoledì 28 giugno 2023

Putin è più debole, dopo la rivolta del gruppo Wagner?

Diversi analisti dicono di sì, ipotizzando un sempre minor appoggio da parte di militari e governatori locali, ma non tutti sono d'accordo

(Mikhail Tereshchenko, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)
(Mikhail Tereshchenko, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)
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La rivolta armata tentata in Russia fra venerdì e sabato dal gruppo paramilitare russo di mercenari Wagner sta continuando ad avere diversi sviluppi di piccole e medie dimensioni, ma una delle questioni più discusse finora riguarda le conseguenze sul potere del presidente russo Vladimir Putin. Prima della rivolta Putin era considerato da molti uno dei leader autoritari più potenti al mondo, con una presa formidabile su tutti i settori della società russa. L’insurrezione di Wagner ha mostrato però qualcosa di diverso, che non era così evidente anche per le scarse informazioni relative alla struttura del potere in Russia. «Putin è ancora vivo. È ancora lì, nel suo bunker. Ma la sensazione crescente è che sia diventato un’anatra zoppa, e che ci si debba preparare per una Russia dopo Putin», ha detto al New Yorker Mikhail Zygar, noto giornalista e scrittore russo.

Il primo danno che sembra avere subito Putin è legato alla sua immagine. Nelle ore della rivolta una delle persone di gran lunga più visibili sui social network russi è stato il capo del gruppo Wagner, Yevgeny Prigozhin, ex responsabile di una società di catering molto apprezzata da Putin, poi diventato capo del più influente gruppo paramilitare in Russia.

La notorietà di Prigozhin non è nata in quelle ore: nei mesi precedenti i giornali e la tv della propaganda russa avevano spesso celebrato lui e la Wagner come un’eccellenza delle forze russe che operano in Ucraina, dove fra l’altro hanno avuto un ruolo piuttosto significativo nell’unica vittoria ottenuta dalle forze russe negli ultimi mesi, cioè la conquista di Bakhmut. Prigozhin si era ritagliato uno spazio soprattutto sui social network russi, dove con frequenti messaggi audio e video commentava l’andamento della guerra, spesso in modo molto critico con la leadership militare russa (quasi mai, però, contro Putin).

Anche nelle ore della rivolta i social network russi sono stati dominati da Prigozhin, dai suoi annunci, dai suoi aggiornamenti sulla marcia del gruppo Wagner partita da Rostov, nel sud del paese, e diretta a Mosca, dalle foto che lo hanno ritratto celebrato dai passanti. Una circostanza molto rara in un dibattito pubblico che negli anni ha coltivato un forte culto della personalità di Putin, che invece durante la rivolta si è fatto vedere pochissimo, e sempre in brevi messaggi video preregistrati.

«In un sistema in cui il potere è così personalizzato e performativo, che prevede foto a petto nudo, ore e ore di conferenze stampa, ritardi voluti negli incontri con leader stranieri, una esplicita dimostrazione di potere da parte di un’altra persona nella società russa riduce l’effetto voluto», ha scritto su Foreign Policy l’analista Daniel B. Baer, del think tank Carnegie Endowment for International Peace.

Ma le analisi sulla posizione di Putin guardano anche a quello che è successo nei vari pezzi della società russa durante la rivolta. In estrema sintesi: sono state pochissime le persone che in quelle ore si sono schierate apertamente con Putin, a tutti i livelli. Come se non fossero sicuri che alla fine dell’insurrezione sarebbe rimasto al potere.

Non lo hanno fatto i personaggi più noti della propaganda, fra cui soprattutto giornalisti e commentatori televisivi. Margarita Simonyan, direttrice della tv di stato Russia Today nonché uno dei volti televisivi più noti fra i sostenitori di Putin, è riapparsa in un programma tv soltanto dopo la fine della rivolta. Si è giustificata spiegando che era impegnata in una crociera sul fiume Volga.

In quelle ore non si sono schierati apertamente con Putin né i governatori regionali della Russia né le cariche più alte dell’esercito, che negli anni avevano ottenuto i loro incarichi grazie alla fedeltà dimostrata a Putin. Al contempo nessuna di queste figure si è schierata apertamente con Prigozhin: è possibile comunque che circolasse una certa confusione sulla marcia, sia per le scarse notizie che arrivavano dai canali ufficiali, sia per il fatto che fino al giorno prima Prigozhin era una figura pubblica piuttosto celebrata dal governo russo. Non è chiaro da che parte siano stati gli ufficiali di livello più basso, o i funzionari dell’intelligence, cioè il mondo da cui proviene Putin: ma il fatto che la marcia del gruppo Wagner non sia stata contrastata militarmente potrebbe essere significativo.

«Prigozhin ha dimostrato che è possibile occupare una città abitata da milioni di russi senza sparare un singolo colpo, e poi marciare verso Mosca senza incontrare alcuna resistenza. Questo può voler dire che molti funzionari dell’intelligence e soldati non apprezzano i loro vertici, e non sono disposti a rischiare la vita per loro», ha scritto il giornalista Maxim Trudolyubov su Meduza, uno dei pochi giornali online indipendenti rimasti in Russia.

Alcuni analisti ritengono che la rivolta armata abbia mostrato i grossi limiti di un approccio seguito da Putin da più di vent’anni: mettere in competizione diverse fazioni della società russa, per evitare che si coalizzino e accumulino un potere paragonabile a quello dei vertici, cioè lui e il suo circolo ristretto. Negli anni in Russia si sono formati diversi gruppi paramilitari, e diversi imprenditori e politici vicini a Putin si sono arricchiti o hanno guadagnato potere, e sono stati sempre messi in competizione fra loro.

«Ma una strategia di questo tipo, alla divide et impera, funziona soltanto quando il leader ha un potere e un prestigio indiscussi, e la capacità di mettere contro fazioni rivali cosicché nessun centro di potere diventi troppo autonomo», scrivono tre esperti di Russia, Jeffrey A. Sonnenfeld, Jon M. Huntsman e William F. Browder, in un commento su Foreign Policy. «Il fatto che ora questi centri di potere si stiano rivoltando contro Putin è un segnale di come il suo potere si sia già ridotto. Questi gruppi armati un tempo lo temevano: ora annusano la sua debolezza e l’opportunità di balzare sulla preda. Putin non è più un burattinaio, anzi sempre più spesso viene rincorso dai sicofanti opportunisti che ha coltivato, e che ora hanno sentito odore di sangue».

Non tutti sono concordi con questa lettura. La giornalista Julia Ioffe, che si occupa spesso di Russia, ha sottolineato sul sito di news Puck che Putin «è sopravvissuto al tentato colpo di stato» e che per questo va considerato «più forte, e non più debole» rispetto a prima. Anche dal punto di vista dell’immagine: «Putin non ha nemmeno dovuto sporcarsi le mani per cercare di fermare Prigozhin. Ha lasciato che tutti gli altri – dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko, al suo staff, al suo portavoce – scendessero al livello di Prigozhin per trattare, mentre lui si è allontanato dalla capitale e da quello che stava succedendo, nel tentativo di dimostrare che la marcia di Prigozhin non meritasse il suo tempo o le sue energie».