Non sappiamo quali saranno gli effetti del nuovo El Niño sull’Europa

Per vedere le eventuali conseguenze del periodico fenomeno di riscaldamento di parte dell'oceano Pacifico potrebbero volerci mesi

Un gregge di pecore di Coonabarabran, in Australia, in un periodo di siccità nel 2018 (Brook Mitchell/Getty Images)
Un gregge di pecore di Coonabarabran, in Australia, in un periodo di siccità nel 2018 (Brook Mitchell/Getty Images)
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L’8 giugno la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di meteorologia, ha annunciato che è infine tornato il cosiddetto “El Niño”, quell’insieme di fenomeni atmosferici che si verifica periodicamente nell’oceano Pacifico e influenza il clima di gran parte del pianeta, portando tra le altre cose a un aumento della temperatura media globale. Per i prossimi anni dunque si prevedono nuovi record di alte temperature perché gli effetti del riscaldamento dovuto alle emissioni di gas serra saranno ulteriormente accentuati da quelli di El Niño.

Ci saranno poi altre conseguenze del fenomeno atmosferico, che riguarderanno le precipitazioni: a causa di El Niño in alcune regioni pioverà di più e in altre di meno. Per la sua lontananza dal Pacifico, l’Europa non subirà gli effetti più forti di El Niño, ma un’influenza ci sarà comunque, specialmente se quello di quest’anno – ed eventualmente dei prossimi, se la situazione dovesse durare a lungo – sarà particolarmente intenso.

Con l’espressione “El Niño” si fa riferimento a una delle tre fasi di quello che i climatologi chiamano ENSO, acronimo inglese di “El Niño-Oscillazione Meridionale”: una variazione dei venti e della temperatura della superficie della parte tropicale orientale del Pacifico che avviene periodicamente a intervalli irregolari. C’è una fase neutra in cui l’acqua superficiale del Pacifico è più fredda nella parte orientale dell’oceano rispetto a quella occidentale e i venti tendono a soffiare da est a ovest complessivamente.

“El Niño” è invece la fase detta di riscaldamento, in cui i venti si indeboliscono o cambiano direzione, spingendo le acque più calde verso est invece che verso ovest: si scaldano così le acque superficiali del Pacifico orientale, sempre nella fascia tropicale. Il suo nome significa “il bambino” in spagnolo: deriva dal fatto che nel Diciassettesimo secolo i pescatori del Perù notarono che a intervalli di qualche anno le acque dell’oceano diventavano più calde nel periodo di Natale, cioè della festa di Gesù bambino.

Convenzionalmente si dice che El Niño è iniziato quando la temperatura negli strati d’acqua superficiali nella fascia tropicale del Pacifico orientale aumenta di almeno mezzo grado Celsius rispetto alla media di lungo periodo, situazione che si è verificata tra fine maggio e inizio giugno.

Come è cambiata la temperatura degli strati superficiali dell’acqua del Pacifico rispetto alla media tra il 30 gennaio e il 4 giugno 2023 rispetto alla media di lungo periodo (NOAA)

Tra le altre cose El Niño potrebbe portare molte precipitazioni nel sud degli Stati Uniti e nel Golfo del Messico, e ridurle fino a condizioni di siccità nel sud-est asiatico, in Australia e nell’Africa centrale; al tempo stesso El Niño aumenta la frequenza di tempeste tropicali nel Pacifico e diminuisce quella di uragani nell’Atlantico.

Un El Niño molto forte potrebbe avere effetti considerevoli, con alluvioni in alcune aree e siccità in altre, con danni per l’agricoltura e la pesca soprattutto per i paesi sulle coste del Pacifico. Si stima che tra il 1997 e il 1998 El Niño causò danni in giro per il mondo pari a quasi 35 miliardi di dollari, con 23mila morti riconducibili al fenomeno atmosferico. L’ultima volta in cui si è verificato fu nel 2016: l’anno con la temperatura media globale più alta mai registrata.

Da zona a zona comunque gli effetti possono variare, anche a seconda dell’intensità dell’El Niño in questione, e sarebbe complicato elencarli tutti: alcune regioni del mondo potrebbero essere più fredde o più calde del solito in diversi momenti dell’anno.

Per quanto riguarda l’Europa, ci sono molte incertezze su se e come il nuovo El Niño ne influenzerà le condizioni meteorologiche, sia per quanto riguarda la temperatura che le precipitazioni. Potrebbe causare inverni più freddi della media nel Nord Europa, ma non è certo: dipenderà da quanto sarà intenso, se fosse molto forte ci sarà invece una tendenza per temperature più alte. Altre possibilità sono che porti un’estate e un autunno più piovosi nella penisola iberica, cioè in Portogallo e Spagna, e un autunno più caldo nel Mediterraneo, Italia compresa.

La terza fase di ENSO, quella di raffreddamento, è stata chiamata “La Niña”, al femminile, in quanto opposto di El Niño. Si verifica quando i venti diretti da est a ovest soffiano più forte, spingendo le acque calde ancora più a ovest rispetto alla fase neutra e rendendo particolarmente più fredde quelle del Pacifico orientale: succede infatti che acque più fredde risalgono dalle profondità oceaniche, raffreddando quelle in superficie.

Generalmente due diverse fasi di El Niño avvengono a una distanza che va dai due ai sette anni e di solito durano dai nove mesi a un anno; non si alternano necessariamente con le fasi di La Niña, che peraltro sono meno frequenti.

Fino allo scorso marzo eravamo in una fase di La Niña, la terza di fila dal 2020: nonostante il suo generale effetto di raffreddamento globale gli ultimi tre anni sono stati particolarmente caldi (il 2022 il terzo più caldo di sempre per temperatura media), un segno del fatto che anche in presenza di La Niña le conseguenze del cambiamento climatico causato dalle attività umane sono evidenti.

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