Perché al Parlamento Europeo la destra italiana si è astenuta sulla Convenzione di Istanbul

Cioè il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne

Manifestazione del movimento femminista Non una di meno, Roma, 28 settembre 2020
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Manifestazione del movimento femminista Non una di meno, Roma, 28 settembre 2020 (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
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Ieri si è tenuta al Parlamento Europeo una votazione in cui è stato dato il via libera alle risoluzioni che chiedono all’Unione Europea di aderire alla Convenzione di Istanbul, ma Lega e Fratelli d’Italia si sono in maggioranza astenuti. Due deputate della Lega hanno votato contro. La Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica.

È da tempo molto criticata dalle organizzazioni del conservatorismo cattolico, antifemministe, antiabortiste e contro i diritti delle persone LGBT+, e dai paesi governati da forze politiche conservatrici come Polonia, Ungheria e Turchia (quest’ultima si è ritirata dalla Convenzione nel luglio del 2021). Come ha spiegato il quotidiano Politico, la Convenzione di Istanbul ha assunto grande importanza nel dibattito sulle libertà: «È diventata un simbolo delle guerre culturali in Europa».

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, conosciuta più brevemente come Convenzione di Istanbul, è un trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. È stata approvata il 7 aprile del 2011 ed è entrata in vigore nell’agosto del 2014. Inizialmente è stata firmata dai 45 paesi membri del Consiglio d’Europa, organizzazione che non c’entra con l’Unione Europea, e che include paesi extracomunitari come Russia e Turchia. Negli anni successivi è stata ratificata da 34 stati (l’Italia l’ha fatto nel 2013), mentre i restanti l’hanno solo firmata: è solo tramite il processo di ratifica che un paese diventa obbligato ad adeguare le proprie leggi interne alle regole previste dal testo dell’accordo.

La Convenzione introduce regole vincolanti con l’obiettivo di «proteggere le donne contro ogni forma di violenza», tra cui le molestie sessuali, lo stalking e i matrimoni forzati. Propone una serie di interventi molto concreti per prevenire le discriminazioni di genere, per tutelare chi subisce abusi e per punire i colpevoli, tra le altre cose, diventando anche per molti governi un modello giuridico a cui guardare per sviluppare la propria legislazione sul tema.

La Convenzione individua le radici della violenza nei confronti delle donne nella disuguaglianza tra uomini e donne. Sostiene che questa disuguaglianza sia strutturale e abbia le sue radici nei cosiddetti “ruoli di genere”, i ruoli che tradizionalmente vengono assegnati a maschi e femmine. Ruoli che sono stati socialmente e storicamente costruiti e intorno ai quali si sono poi sviluppati una serie di stereotipi. La Convenzione precisa che con «il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini». I ruoli di genere, premette il trattato, contribuiscono e sostengono la violenza contro le donne.

La questione del “gender” o della cosiddetta “ideologia gender” – oggetto di critiche da parte delle organizzazioni cristiane e dei movimenti conservatori e di estrema destra di tutto il mondo, e che viene presentata, in modo falso e infondato, come una tesi che pretende di negare la differenza biologica tra uomini e donne – è il punto intorno al quale si è sviluppata buona parte della discussione sulla Convenzione di Istanbul, in maniera per lo più strumentale.

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L’Unione Europea come blocco ha solo sottoscritto la Convenzione di Istanbul (nel 2017), ma non l’ha ancora ratificata nel suo complesso a causa del rifiuto di alcuni paesi come Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lituania, Lettonia, Slovacchia. Altri, come la Turchia, si sono ritirati dal trattato. Più volte la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha detto che la non ratifica da parte di alcuni stati, il ritiro della Turchia e l’ipotesi del ritiro da parte di altri paesi «non è accettabile» e che l’adesione di tutta l’Unione Europea era una priorità per la sua Commissione.

Nell’ottobre del 2021 è arrivata una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione che ha sbloccato la situazione, e che ha stabilito che l’Unione potesse ratificare la Convenzione di Istanbul senza l’accordo di tutti gli stati membri e dunque anche con un voto a maggioranza qualificata e non unanime. La Corte aveva anche individuato l’ambito di applicazione per l’adesione alla Convenzione: le politiche di asilo e cooperazione giudiziaria in materia penale e gli obblighi delle istituzioni e della pubblica amministrazione.

Ieri, in due votazioni separate, il Parlamento Europeo ha dato il consenso all’adesione ad entrambi gli ambiti di applicazione: per quanto riguarda le istituzioni e la pubblica amministrazione i voti a favore sono stati 472, i contrari 62 e gli astenuti 73; per la cooperazione giudiziaria in materia penale, l’asilo e il non respingimento i favorevoli sono stati 464, i contrari 81 e gli astenuti 45. Dopo il voto di ieri, il Consiglio può ora procedere alla conclusione della procedura di adesione dell’UE alla Convenzione con un voto a maggioranza qualificata.

In entrambe le votazioni di ieri la maggior parte dei deputati di Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti, così come tre deputati di Forza Italia. Alessandra Basso e Susanna Ceccardi, della Lega, hanno invece votato contro.

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Il capo delegazione di FdI, Carlo Fidanza, ha spiegato in una nota la decisione dell’astensione: «Sul metodo, riteniamo problematico il fatto che per accelerare la ratifica della Convenzione da parte dell’UE si sia deciso di procedere a maggioranza qualificata e non più all’unanimità. (…) Nel merito, con la nostra astensione abbiamo voluto ribadire la nostra preoccupazione sulle tematiche legate al gender».

Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia, associazione antiabortista che ha diversi legami con i partiti della destra ora al governo in Italia, ha criticato la decisione dell’astensione spiegando che diversi deputati di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia avevano sottoscritto nel 2019 il loro Manifesto Valoriale «impegnandosi a contrastare in ogni modo l’indottrinamento gender nelle scuole» (il Manifesto era stato sottoscritto anche da Giorgia Meloni).

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Coghe ha detto: «Restiamo sorpresi dal fatto che oggi si siano astenuti anziché votare contro come avevano promesso, tradendo la fiducia degli elettori e di chi li ha sostenuti in campagna elettorale». E ha aggiunto che terrà conto «delle promesse non mantenute dei politici alle prossime elezioni europee del 2024. Non possiamo infatti permettere di essere rappresentati da chi poi davanti a votazioni così importanti non si impegna concretamente per la difesa delle famiglie, dei bambini e della libertà educativa di milioni di genitori».

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