I grandi problemi ambientali di un piccolo lago in Basilicata

Il Pertusillo è una delle principali riserve di acqua potabile del Sud, ma è circondato da 27 pozzi petroliferi che allarmano gli ambientalisti da anni

di Angelo Mastrandrea

Il lago Pertusillo, in Val d'Agri (Angelo Mastrandrea/il Post)
Il lago Pertusillo, in Val d'Agri (Angelo Mastrandrea/il Post)
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Il 22 dicembre del 2022 un attivista ecologista si è accorto che in alcuni punti del lago Pertusillo, in Basilicata, l’acqua era diventata di colore marrone scuro. L’attivista ha prelevato alcuni campioni e li ha portati a un laboratorio per farli analizzare. Nei giorni seguenti altri ambientalisti della stessa associazione di quell’attivista, CovaContro, hanno fatto volare un drone sui 7,5 chilometri quadrati di superficie del lago, fotografando i punti in cui la macchia era più estesa. Hanno incrociato le foto con alcune immagini prese dai satelliti Sentinel 2 dell’Agenzia spaziale europea (ESA) e Landsat 8 della NASA che hanno confermato il colore anomalo assunto dall’acqua. Poi hanno spedito tutto alla Regione Basilicata, segnalando che la macchia si stava spostando verso il centro del lago.

Ricevuta la denuncia, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPAB) tra il 30 dicembre e l’11 gennaio del 2023 ha analizzato a sua volta la chiazza marrone e ne ha dedotto che si è trattato di una «fioritura algale anomala» non rischiosa per la salute umana, soprattutto «nelle zone periferiche del lago» dove l’acqua ristagna. Le analisi hanno trovato una quantità di azoto e fosforo superiore ai limiti di legge. L’ARPAB ha concluso che la responsabilità della proliferazione delle alghe sarebbe da attribuire innanzitutto all’innalzamento della temperatura dell’acqua causato dall’inverno mite, e poi agli scarichi industriali e ai pesticidi utilizzati dagli agricoltori. È un’ipotesi credibile, perché nel Pertusillo finiscono 3.200 condutture che scaricano le acque reflue di comuni, masserie e aziende della zona industriale che si trova al centro della Val d’Agri, in provincia di Potenza.

Ma i risultati delle analisi sui campioni prelevati da CovaContro, che dal 2013 denuncia l’inquinamento causato dalle estrazioni di gas e petrolio in Basilicata, hanno evidenziato anche la presenza di 311 microgrammi di idrocarburi pesanti per ogni litro di acqua, un valore molto vicino ai 350 microgrammi che l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) indica come la soglia oltre la quale si può parlare di «contaminazione».

Il dato preoccupa gli ambientalisti perché il lago Pertusillo è una delle principali riserve di acqua potabile del Sud Italia e le sue acque vengono utilizzate anche per irrigare le colture della zona. Associazioni e comitati di cittadini sostengono che l’inquinamento è cominciato in coincidenza con l’inizio delle estrazioni di petrolio nella valle, agli inizi degli anni Duemila. Negli ultimi cinque anni a questo proposito ci sono state tre inchieste giudiziarie. Una di queste era per lo sversamento nei terreni attorno al Centro Olio Val d’Agri (COVA, da cui il nome dell’associazione che è esplicitamente contraria), di 400 tonnellate di petrolio tra il 2012 e il 2017, e si è conclusa con la condanna in primo grado di sei dirigenti dell’Eni e di un funzionario regionale. Per le altre due i processi sono ancora in corso.

Gli ecologisti temono che le perdite di petrolio possano arrivare fino al lago, passando attraverso le falde acquifere sotterranee, dal fiume Agri o da uno dei torrenti che vi affluiscono, provocando un disastro ambientale. Già nel 2017 c’era stata una «fioritura algale simile» a quella attuale. Sia l’ARPAB che l’allora presidente della Regione Marcello Pittella, all’epoca nel Partito Democratico e ora in Azione, sostennero che si trattava di un fenomeno «naturale» e che il petrolio non c’entrava nulla. Nel 2021 uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Remote Sensing ha però sostenuto che la presenza delle alghe fosse dovuta agli idrocarburi nelle acque.

I cittadini hanno «un’elevata percezione di rischio sia ambientale che sulla salute», si legge in una Valutazione di impatto sanitario elaborata dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), dall’università di Bari e dalla Regione Lazio. I ricercatori hanno analizzato per quindici anni l’impatto della presenza di idrocarburi sulla salute dei cittadini di Grumento Nova, un paese di 1.500 abitanti che si affaccia sul lago, e della vicina Viggiano, un comune di tremila abitanti che ospita sul suo territorio venti pozzi di petrolio e il Centro Olio Val d’Agri. Secondo il rapporto nei due comuni «ci si ammala di più e si muore di più sia rispetto al resto della Val d’Agri sia rispetto al resto della regione».

Gli ambientalisti sospettano che anche questa volta la fioritura delle alghe nel lago sia stata causata dalle estrazioni di petrolio. Lungo la sponda occidentale ci sono 27 pozzi. Venti di questi sono dell’Eni, che nel «più grande giacimento di idrocarburi onshore d’Europa», come si legge sul suo sito, estrae il 47 per cento del suo petrolio italiano. L’Eni, che è una delle multinazionali energetiche più importanti al mondo ed è partecipata dal ministero dell’Economia, controlla 20 pozzi, mentre altri 7 sono di proprietà della multinazionale britannica Shell e i cinque di Tempa Rossa, nell’alta valle del Sauro in provincia di Matera, sono della francese Total.

I combustibili estratti, che garantiscono il 10 per cento del fabbisogno in Italia, finiscono al COVA, di proprietà dell’Eni, dove il gas viene separato dallo zolfo, compresso e immesso nella rete distributiva della Snam, mentre il greggio arriva attraverso cinque tubature, viene ripulito e inviato alla raffineria di Taranto attraverso un oleodotto lungo 136 chilometri.

Il COVA dell’Eni (Angelo Mastrandrea/il Post)

Gli ambientalisti sospettano che il COVA sia la causa principale dell’inquinamento in Val d’Agri. Dalla sua nascita nel 2001 per due volte l’impianto è stato fermato per violazioni ambientali, una volta dalla procura di Potenza e la seconda dalla Regione Basilicata. A causa degli sversamenti sono risultati contaminati almeno 26 mila metri quadri di suolo e sottosuolo. Dopo l’inchiesta giudiziaria del 2017 l’Eni ha ammesso gli sversamenti di petrolio nei terreni e collabora con l’ARPAB nelle analisi periodiche dei terreni, delle falde acquifere, della qualità dell’aria e del rumore prodotto dalle lavorazioni. Nei terreni attorno ai 171.600 metri quadri dell’impianto ci sono decine di pozzi dai quali vengono prelevati campioni di acqua da analizzare.

Il pozzo più vicino al lago Pertusillo si trova a circa 200 metri di distanza in linea d’aria, ben nascosto dalla vegetazione. Gli ecologisti sospettano che l’eccesso di idrocarburi nel lago sia causato dal metodo di perforazione orizzontale, «che permette ai pozzi di evitare gli strati di roccia più dura», come si legge in una comunicazione riservata di una fonte non precisata inviata da Napoli al Dipartimento di Stato statunitense, e pubblicato da Wikileaks nel 2008. Il petrolio è da tempo il principale indiziato dell’inquinamento del lago.

Il 31 ottobre del 2022 è cominciato al tribunale di Potenza uno dei processi per disastro ambientale che coinvolgono i vertici del Distretto meridionale dell’Eni (DIME). È l’esito di un’inchiesta sulla fuoriuscita di oltre 400 tonnellate di greggio dai serbatoi di stoccaggio nel COVA, avvenuta tra il 2012 e il 2017. Secondo gli investigatori lo sversamento sarebbe stato coperto dai dirigenti dell’impianto e avrebbe inquinato in maniera «grave» le falde acquifere e i terreni. Anche nel 2017 il lago Pertusillo si ricoprì di alghe, e le analisi fatte fare privatamente dalle associazioni CovaContro e Liberiamo la Basilicata trovarono nelle acque 286 microgrammi di petrolio per litro e alte percentuali di azoto.

Il Pertusillo è un invaso artificiale costruito tra il 1957 e il 1963 con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno lungo il fiume Agri, che attraversa per 136 chilometri la Basilicata. Ha una capacità che va dai 146 ai 155 milioni di metri cubi d’acqua ed è delimitato a sud da una diga lunga 380 metri e alta 95. La sua acqua è utilizzata per irrigare i campi e, dopo essere stata filtrata da alcuni impianti di potabilizzazione, è distribuita attraverso l’Acquedotto pugliese a quasi tre milioni di persone tra la Basilicata e le province di Bari, Brindisi e Taranto. Il lago, che si trova nel territorio dei comuni di Grumento Nova, Montemurro e Spinoso, è stato riconosciuto dall’Unione Europea come Sito di interesse comunitario (Sic) e si trova nel Parco nazionale dell’Appennino lucano. Per questo nel lago sono vietati la navigazione, la pesca e lo sport.

Lino De Luise è il sindaco di Spinoso, un paesino di 1.300 abitanti che si raggiunge solo attraversando la diga del Pertusillo. Dice di considerare il lago «un bene comune dell’intera regione, visto che fornisce acqua da bere e per lavarsi alla Basilicata e alla Puglia. Per questo non ce l’ho fatta a tacere quando ho visto che aveva cambiato colore all’improvviso». De Luise ha studiato dai salesiani e poi ingegneria a Pisa, si definisce un «cristiano sociale» ed è stato eletto con una lista civica. Il primo aprile ha convocato una conferenza stampa nel suo Municipio nella quale ha chiesto alle autorità di impegnarsi per scoprire le vere ragioni dell’inquinamento. È stato l’unico sindaco dei dieci comuni della Val D’Agri a farsi sentire. Lui sostiene che da queste parti sul tema ci sia una sorta di regola del silenzio. «Si fa di tutto pur di non parlare del petrolio», dice.

Da quando è stato costruito il COVA, nel 1996, ci sono state decine di segnalazioni e denunce contro l’inquinamento da parte di associazioni, gruppi di cittadini e agricoltori che hanno visto morire gli animali o distruggere le colture, alle quali secondo De Luise le istituzioni e i politici locali non hanno mai dato credito. A suo parere, ciò accade perché le multinazionali danno lavoro alle piccole aziende della zona che gestiscono i lavori di manutenzione nel COVA e nei pozzi, la gestione del verde attorno agli impianti e il trasporto degli scarti.

«All’ombra delle trivelle e dei pozzi l’imprenditoria lucana ha costruito intere carriere e fortune», sostiene Maurizio Bolognetti, che ci ha scritto un libro intitolato Le mani nel petrolio. Giovedì 13 aprile il tabellone luminoso piazzato davanti al COVA segnalava 261 dipendenti diretti, mentre sull’indotto non ci sono cifre precise e le stime più ottimistiche arrivano fino a 2.500 lavoratori coinvolti. Lo stesso giorno la produzione, monitorata in tempo reale dalla Regione, era di 35 mila barili di petrolio (ogni barile corrisponde a 159 litri), al di sotto della capacità produttiva massima, che è di 105 mila barili al giorno, e di un milione e 600 mila metri cubi di gas.

– Leggi anche: Ma cos’è un “barile di petrolio”?

Soprattutto, secondo De Luise pesano i 200 milioni di euro all’anno che le multinazionali versano alla Regione e ai comuni, divisi tra la percentuale sul petrolio estratto, che è del 10 per cento, e le cosiddette compensazioni aggiuntive, una cifra annuale forfettaria concordata tra la Regione e le compagnie. Il comune di Viggiano nel 2019 ha incassato oltre sette milioni di euro dall’Eni e quasi quattro milioni e mezzo dalla Shell. Con i soldi delle estrazioni si finanziano sagre e feste di paese, festival culturali e tornei di calcetto, film e feste patronali, si sistemano strade e si costruiscono parchi fotovoltaici, si restaurano chiese e si abbelliscono i viali con alberi e panchine. A Spinoso con i proventi indiretti del petrolio, vale a dire quelli ricevuti attraverso la Regione con il Piano operativo Val d’Agri (Pova), stanno rifacendo per intero la piazza principale del paese e hanno costruito pensiline e panchine per i cittadini in attesa davanti alla posta e al municipio.

Un cantiere finanziato dai proventi dell’estrazione di petrolio a Spinoso (Angelo Mastrandrea/il Post)

Come nel 2017, l’ARPAB non nega la presenza di idrocarburi pesanti, ma la minimizza. Secondo il direttore scientifico Achille Palma le tracce di petrolio «ci sono, ma sono sempre nella norma e quindi non incidono». Secondo l’agenzia regionale la presenza in quantità basse sarebbe dovuta ad «affioramenti naturali», poiché da queste parti il petrolio sgorga anche se nessuno lo cerca.

L’antropologo locale Enzo Alliegro, nel libro Il totem nero, scrive che già nell’Ottocento i pastori evitavano di portare le pecore nelle campagne di Tramutola per evitare che pascolassero nelle pozzanghere di acqua scura e melmosa. Nel 1878 un’ampolla piena di liquido nerastro fu esposta alla Grande esposizione universale di Parigi. In un Bollettino della società geologica italiana del 1902 si legge di una «piccola sorgente di acqua mista a petrolio, che viene emesso in piccola quantità ma in modo continuo sotto forma di viscide filacciche [dei filamenti viscidi, ndr] che vengono trascinate dalla corrente impeciando [colorando di nero, ndr] le sponde del ruscello e sprigionando un acuto odore caratteristico» e talvolta «anche delle bollicine gassose». Ancora oggi a Tramutola il greggio viene fuori dal terreno, misto ad acqua sulfurea, formando un ruscello nerastro che si riversa in un torrente, il rio Cavolo.

Il 28 marzo, gli attivisti di CovaContro hanno fatto analizzare altri tre campioni di acqua del Pertusillo. I risultati hanno rilevato la presenza di idrocarburi, anche se al di sotto della soglia massima come aveva sostenuto anche l’ARPAB. In più, l’acqua conteneva una percentuale di alluminio superiore al limite previsto dalla legge e una quantità di ferro sei volte superiore alla soglia minima. Soprattutto, è stato trovato il dimetiltetraclorotereftalato (DCPA), un erbicida messo al bando dall’Unione Europea nel 2009.

La sostanza chimica potrebbe essere stata usata in maniera illegale dalle aziende agricole della zona, come sospetta l’ARPAB, oppure come additivo nelle lavorazioni petrolifere, come credono gli ecologisti. Il sindaco De Luise non esclude la prima ipotesi, però dice di non capire perché, ancora una volta, «si fa di tutto per non menzionare le estrazioni di gas e petrolio, che sono il più importante fattore di inquinamento in questa zona».

Il 20 gennaio Giorgio Santoriello ha portato suo figlio, un bambino di due anni, a giocare alla spiaggia di Metaponto, sul mar Ionio, un centinaio di chilometri a est del lago Pertusillo. A pochi passi dal cartellone che indica la bandiera blu, il riconoscimento per i mari più puliti, Santoriello si è accorto che il colore marrone chiaro della sabbia era sporcato da una patina nerastra, che si estendeva per qualche decina di metri. «Avevo con me una calamita e mi sono accorto che la sabbia nera vi si attaccava» dice.

Giorgio Santoriello preleva un campione di acqua dal Pertusillo (Angelo Mastrandrea/il Post)

Anche Santoriello è un attivista di CovaContro, che riceve molte segnalazioni di cittadini e si avvale delle consulenze di esperti dell’Istituto superiore di sanità e dell’Università di Firenze, oltre che di una rete di laboratori di analisi italiani e internazionali. Ha scattato foto e raccolto campioni che ha portato ad analizzare. I risultati gli sono stati comunicati da poco. Ci sono percentuali oltre la norma di cobalto, cromo, selenio, stagno, vanadio e zinco. Soprattutto c’è una gran quantità di ferro, come nelle acque del Pertusillo. Questo spiega perché la sabbia era attratta dal magnete. Ci sono anche idrocarburi pesanti: 35 milligrammi per chilogrammo, al di sotto della soglia massima, che è di 50.

A suo parere i metalli pesanti potrebbero provenire dagli scarti delle industrie della val Basento, nella zona centro-orientale della regione, poiché i residui finiscono nel fiume Basento, da questo vanno in mare e le correnti li portano sulle spiagge. Gli idrocarburi secondo Santoriello sarebbero invece residui della lavorazione del petrolio provenienti dal COVA, poiché una parte dell’acqua utilizzata per l’estrazione, depurata del gas e del greggio, viene rimandata sottoterra attraverso un pozzo che smaltisce le acque di scarto. Un’altra parte invece viene caricata su camion cisterna e trasportata nel centro di smaltimento Tecnoparco di Pisticci, a una trentina di chilometri dalla spiaggia di Metaponto.

Un campione di acqua appena uscita dal depuratore del Tecnoparco di Pisticci (Angelo Mastrandrea/il Post)

Nel 2016 i vertici del Tecnoparco furono indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Potenza per traffico illecito di rifiuti insieme ad alcuni dirigenti dell’Eni e funzionari regionali. Il 10 marzo del 2021 sono stati assolti, mentre sono stati condannati sei dirigenti dell’Eni e un funzionario della Regione Basilicata. L’Eni dovrà pagare una sanzione di 700 mila euro e un centinaio di cittadini che vivono vicino al Tecnoparco hanno chiesto un risarcimento che dovrà essere valutato dai giudici. Una perizia presentata al processo mostra come le acque che escono dal depuratore vengano convogliate in un canale che finisce nel fiume Basento e poi in mare. Venerdì 14 aprile Santoriello ha prelevato un campione d’acqua depurata dal canale di scolo per farla analizzare. Dovrebbe essere limpida, invece è color mattone, quasi nerastra.

Per azzerare o limitare la quantità di scarti inviati al Tecnoparco, l’Eni ha chiesto alla Regione l’autorizzazione a costruire un proprio depuratore dalla portata di 1.700 metri cubi di acqua al giorno, da costruire in un terreno vicino al COVA. La giunta regionale, di centrodestra, si è detta favorevole, ma il progetto non piace alle associazioni locali, che hanno scritto al sindaco di Viggiano per chiedergli di opporsi perché gli scarti, anche se depurati, invece di finire in mare aperto andrebbero nel più piccolo lago Pertusillo.