La crisi di Tupperware

La famosa azienda di contenitori per cibo ha grosse difficoltà e rischia il fallimento: la vendita porta a porta non funziona più, la concorrenza è alta e la plastica un problema

Prodotti Tupperware in vendita negli Stati Uniti (Photo by Scott Olson/Getty Images)
Prodotti Tupperware in vendita negli Stati Uniti (Photo by Scott Olson/Getty Images)
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Tupperware, nota azienda statunitense che produce contenitori in plastica per cibo, ha fatto sapere venerdì scorso di avere «dubbi sostanziali» sulle proprie possibilità di poter continuare a operare. L’azienda rischia quindi il fallimento, a causa di una continua riduzione dei ricavi e dell’attuale carenza di liquidità. L’annuncio, che prevede la possibilità di uscire dal listino della Borsa di New York e misure drastiche come la cessione di immobili e il taglio di posti di lavoro, ha causato lunedì un crollo del 50 per cento del valore delle sue azioni, non compensato dal leggero rialzo dei giorni successivi.

Tupperware ha una storia lunga 77 anni, era diventata famosa negli anni Cinquanta grazie a un modello di vendita diretta dei suoi prodotti “porta a porta”, ma già da alcuni anni era in grosse difficoltà economiche, proprio per via dei limiti di questo strumento di vendita, oltre che per una concorrenza sempre più agguerrita e a buon mercato nel campo dei contenitori per la conservazione dei cibi. La pandemia e i conseguenti lockdown, con la gran parte delle famiglie tornate a cucinare in casa, aveva provocato un inatteso rialzo delle vendite e soprattutto del valore in Borsa dell’azienda, che si sono però rivelati effimeri sul lungo periodo.

Tupperware distribuisce i suoi prodotti in 70 paesi, la produzione avviene per lo più negli Stati Uniti, ma anche in Messico, Brasile e Belgio: i ricavi erano stati di 1,6 miliardi di dollari nel 2021, ma nel 2022 le vendite sono calate sensibilmente. Di pari passo si è fortemente ridotta anche la sua rete di venditori diretti (18 per cento in meno rispetto all’anno precedente solo nel 2022). L’azienda continua a vendere principalmente attraverso i canali di marketing diretto e online sul proprio sito, ma nell’ottobre 2022 aveva firmato un accordo di distribuzione attraverso la catena di supermercati Target, nel tentativo di intercettare un pubblico più giovane, che non sembra però aver dato i risultati sperati.

Prodotti Tupperware in un supermercato Target, in California (Photo by Justin Sullivan/Getty Images)

Tupperware venne fondata nel 1946 dal chimico Earl Tupper ma le vendite ingranarono solo negli anni Cinquanta, quando Tupper assunse come segretaria Brownie Wise e le diede il compito di ingaggiare una rete di donne per sponsorizzare e vendere i contenitori di plastica e con coperchio ermetico che aveva inventato. Nacque il cosiddetto metodo “Home Party Plan”: un rappresentante di Tupperware ingaggiava casalinghe, e poi anche donne che lavoravano, per organizzare festicciole a casa o al lavoro dove venivano presentati e venduti i prodotti di Tupperware. Le invitate erano amiche, vicine e colleghe a cui venivano mostrati i prodotti in un’atmosfera informale e piacevole. La padrona di casa riceveva in cambio un regalo, che dipendeva anche dalla buona riuscita delle vendite.

Questo modello è stato portato avanti fino ad oggi, affiancandolo a una più comune vendita attraverso il sito dedicato, ma col passare dei decenni si è dimostrato sempre meno adatto ai mutamenti della società e soprattutto a coinvolgere nuove generazioni di venditori e di consumatori. Tupperware, che per decenni è stata leader indiscussa nel settore – tanto che in Italia (e non solo) il nome dell’azienda è spesso utilizzato per indicare genericamente ogni contenitore in plastica per cibi – deve oggi fare i conti con una doppia concorrenza: quella di prodotti più economici e dalle funzionalità simili, e quella di brand dello stesso settore con design e immagine considerate più moderne.

Un “Tupperware home party” nel 1958 in Florida (Wikicommons)

Un altro problema riguarda la stessa natura del prodotto: soprattutto per i consumatori più giovani l’attenzione crescente verso l’uso di prodotti a minore impatto ambientale ha reso la plastica di Tupperware un problema.

L’azienda in questi anni ha cambiato tre amministratori delegati in cinque anni: l’ultimo, Miguel Fernandez, ha avviato un programma per rendere la sua offerta più sostenibile a livello ambientale e soprattutto per ampliare la gamma di prodotti, estendendola a tutti gli utensili da cucina.

Le innovazioni e gli accordi commerciali per aumentare le reti di vendita però non hanno permesso di invertire in modo stabile la tendenza negativa, su cui hanno influito anche i lockdown in Cina, che hanno reso inaccessibile un mercato diventato sempre più importante negli ultimi anni. Tupperware ha affermato di aver avviato una ristrutturazione radicale, nonché la rinegoziazione di alcuni debiti, nel tentativo di garantire un futuro all’azienda, che resta però in pericolo.