Come funziona il “parto in anonimato” in Italia

Permette alle donne di dare in adozione un neonato in condizioni di riservatezza, ma è una possibilità utilizzata raramente

La culla per la vita alla clinica Mangiagalli a Milano (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)
La culla per la vita alla clinica Mangiagalli a Milano (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)
Caricamento player

Domenica un bambino di circa una settimana è stato lasciato nella “Culla per la vita” della clinica Mangiagalli di Milano, l’incubatrice riscaldata che permette di abbandonare in modo anonimo e sicuro neonati e neonate. La storia di questo bambino, che la donna ha chiamato Enea, è stata molto raccontata dai giornali, anche perché in questa clinica è solo la terza volta che la “Culla per la vita” viene utilizzata da quando fu istituita nel 2007. Esistono una quarantina di servizi simili in Italia, il cui utilizzo comunque è molto raro, e anche per questo motivo si sa poco delle modalità con cui in Italia una persona può decidere di lasciare il bambino che ha partorito in maniera sicura.

Dal 1997 in Italia è prevista inoltre la possibilità legale di usufruire del “parto in anonimato”: la legge consente a una donna di partorire in ospedale in condizioni di riservatezza e di non riconoscere il bambino, di cui viene riconosciuto subito lo stato di abbandono e la conseguente adottabilità.

Il nome della donna che ha partorito rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto «nato da donna che non consente di essere nominata». Questa possibilità è utilizzata per poche centinaia di neonati all’anno. Negli ultimi anni i numeri sono in calo: nel 2007 erano stati 642, nel 2021 sono stati 173.

Per Enea è stata invece utilizzata una “Culla per la vita”: è stato lasciato domenica intorno alle 11:40 e pesa 2,6 chilogrammi. È in buone condizioni di salute. Era vestito con una tutina e accompagnato da una breve lettera. La “Culla per la vita” della Mangiagalli si trova in un angolo della clinica, vicino a un passo carrabile, in una zona in cui non sono previste telecamere: premendo un pulsante si apre una saracinesca che dà accesso a un’incubatrice riscaldata dove si può lasciare il neonato. Dopo alcune decine di secondi la serranda si abbassa e un allarme segnala in ospedale la presenza del neonato. Prima di domenica era stata utilizzata due volte, una nel 2012 e una nel 2016.

La struttura alla clinica Mangiagalli (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)

Passati dieci giorni, termine ultimo per il riconoscimento, il neonato sarà dichiarato quanto prima adottabile dal Tribunale per i minorenni nella regione: la procedura per l’adozione da parte di una nuova famiglia segue le stesse regole previste per i bambini nati da “parto in anonimato”.

Ogni anno le coppie italiane che richiedono di adottare un bambino in ambito nazionale sono circa 500. Devono seguire un percorso di valutazione, accompagnamento e sostegno della coppia che dura circa un anno, seguito da professionisti in ambito psicologico e sociale. Generalmente il Tribunale per i minorenni ha a disposizione una lista di molte coppie già considerate idonee per ciascuna procedura di adozione di bambini nati da “parto in anonimato”, e sceglie tra quelle.

La possibilità di partorire restando anonime è regolata dal DPR 396/2000 (art. 30, comma 2): a Milano viene utilizzata da meno di una decina di donne all’anno.

La legge garantisce alla donna il totale anonimato, ma recenti sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione hanno recepito anche per questi casi le indicazioni di convenzioni internazionali che tutelano il diritto del bambino o della bambina a ottenere informazioni sulle proprie origini e sui propri genitori biologici. A determinate condizioni e secondo determinate procedure quindi si possono richiedere informazioni sulla madre biologica. Inoltre i “parti in anonimato” prevedono la raccolta di informazioni in forma anonima sulla storia clinica e sulle notizie mediche riguardanti la donna che ha partorito, per eventuali necessità mediche future del bambino.