Nei musei italiani non c’è abbastanza personale

A causa di una gestione obsoleta del ministero della Cultura, alcuni sono costretti a rimanere chiusi durante le feste o a limitare le visite

Persone visitano la Pinacoteca di Brera, a Milano (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
Persone visitano la Pinacoteca di Brera, a Milano (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)
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Da mesi in Italia direttori e direttrici di diversi musei lamentano una grave mancanza di personale, che ha conseguenze molto concrete: musei che sono rimasti chiusi in giorni di festa, o per interi periodi, e altri che aprono a orario ridotto oppure tenendo chiuse alcune aree espositive. Per compensare la mancanza di personale, alcuni musei si affidano a collaborazioni esterne, spesso gestite da cooperative o società che pagano poco i lavoratori e applicano contratti precari, contro i quali i sindacati del settore hanno indetto scioperi e proteste.

Secondo le direzioni di alcuni musei, la mancanza di personale fa parte di un problema più ampio, legato all’intera gestione dell’organico dei musei da parte del ministero della Cultura, ritenuta da loro obsoleta e poco al passo con i cambiamenti dei musei degli ultimi anni.

La mancanza di personale nel settore non è un problema nuovo, né limitato ai soli musei: riguarda anche altri ambiti della cultura, come biblioteche e archivi. Ma il tema ha guadagnato molta visibilità negli ultimi mesi, sia per gli scioperi e le proteste organizzate dai sindacati del settore che per una polemica avviata dal direttore di uno dei più importanti musei d’Italia e del mondo, Eike Schmidt della Galleria degli Uffizi di Firenze.

Lo scorso agosto Schmidt aveva dato una lunga intervista ad ANSA in cui aveva detto che il personale museale era «ovunque ridotto all’osso» e aveva minacciato la chiusura degli Uffizi nel caso in cui non fossero stati presi provvedimenti (l’assunzione del personale dei musei statali è di competenza del ministero della Cultura e non delle singole strutture).

Mesi dopo Schmidt aveva tenuto chiusi gli Uffizi durante il ponte di Ognissanti, una festività in cui erano previsti come ogni anno migliaia di visitatori, provocando una reazione molto dura da parte del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Il lunedì è il giorno settimanale di chiusura del museo: ma quando i giorni di chiusura coincidono con le festività sono spesso previste aperture speciali, cosa che in quel caso, proprio per la mancanza di personale, non era stato possibile attuare. Tra i due era nato uno scontro, molto ripreso dalla stampa, in cui di nuovo Schmidt aveva invitato il ministro a prendere provvedimenti per assumere più personale.

Il direttore della Galleria degli Uffizi, Eike Schmidt (ANSA/MAURIZIO DEGL’INNOCENTI)

Anche in altri importanti musei italiani, come il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria (quello dei Bronzi di Riace) e quello di Taranto (il MArTa), ci sono state proteste, chiusure e dichiarazioni dei direttori sulla grave mancanza di personale. Ma il problema riguarda anche musei più piccoli: tra gli altri, a Rovereto il museo della Città è rimasto chiuso per tutto il mese di febbraio e quello di Spoleto proprio nei giorni del Festival dei due mondi, manifestazione internazionale che esiste da oltre 60 anni e che ogni anno attira moltissimi turisti.

«Di 97 persone, tra vigilanza e settore amministrativo, previste per la nostra struttura dall’ultimo decreto del ministero della Cultura dello scorso novembre, ne abbiamo poco più della metà: siamo a 55 senza contare gli imminenti pensionamenti», ha fatto sapere Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli, riferendosi al solo personale ministeriale: «parte del personale mancante è stato integrato con collaborazioni esterne, con contratti però più precari e situazioni lavorative meno stabili di quelle previste per i dipendenti ministeriali».

Tiziana Maffei, direttrice della Reggia di Caserta, ha detto che di 233 membri del personale ministeriale previsti, di cui 170 per la vigilanza e 63 per l’area tecnico-amministrativa, oggi il museo ne ha 133, poco più della metà. «Di questi 133 una decina è in distacco [cioè temporaneamente a disposizione di altre strutture]: sono persone di cui nella pratica è come se non disponessimo», ha aggiunto Maffei, che ha detto che anche alla Reggia di Caserta il personale è stato integrato con dipendenti esterni, in questo caso con 22 persone assunte da ALES Spa, società partecipata dal ministero della Cultura.

Il cortile interno del Palazzo Reale di Napoli (ANSA/CESARE ABBATE)

Le conseguenze della mancanza di personale sono molto visibili e concrete. Maffei ha detto che a causa di questo problema durante la settimana resta chiuso il Teatro di Corte, sul lato occidentale della Reggia, considerato un capolavoro dell’architettura teatrale settecentesca. Anche la Castelluccia borbonica, complesso di giardini e architetture interno alla Reggia, «non è mai aperta proprio a causa della mancanza di personale». Nei giorni festivi restano chiuse per lo stesso motivo anche diverse sale della quadreria: sono aree della Reggia, conservate proprio per essere esposte e visitate, che nei fatti non sono visibili. Anche al Palazzo Reale di Napoli ci sono regolari chiusure di sezioni a causa della mancanza di personale.

Carmelo Malacrino, direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, ha parlato invece della difficoltà di garantire un’adeguata sorveglianza alle sale, soprattutto nella primavera del 2022 quando la situazione era a suo dire «critica»: il museo che dirige Malacrino è molto grande e composto da tre grossi piani più una parte seminterrata dedicata alle mostre temporanee. Per la Reggia di Caserta il problema della sorveglianza degli spazi è ancora maggiore: «parliamo di 123 ettari di parco, 138mila metri quadri di palazzo, un chilometro e mezzo di percorso interno e oltre 80 stanze», ha detto Maffei.

Una parte del giardino della Reggia di Caserta (ANSA/ CESARE ABBATE)

Nei musei la mancanza di personale è un problema soprattutto perché negli ultimi anni il flusso di visitatori è aumentato moltissimo. Secondo i dati dell’ISTAT pubblicati nel 2018, dal 2006 il pubblico del patrimonio culturale italiano è aumentato di quasi un terzo (+32,2 per cento), con oltre 2 milioni e mezzo di visitatori in più ogni anno e un raddoppiamento della sola utenza dei musei. In attesa dei dati relativi al 2022, già per il 2021 l’istituto di statistica aveva confermato un significativo aumento dei visitatori dopo le limitazioni introdotte nel 2020 per via della pandemia.

Secondo le direzioni di musei e i sindacati di categoria, il numero di operatori previsto dal ministero (comunque non raggiunto in molte strutture) non è più sufficiente. «Finora le nuove assunzioni non sono bastate a coprire la carenza di organico: per assicurare il pieno funzionamento del museo, aumentare l’offerta o garantire aperture straordinarie usiamo spesso risorse nostre, cosa che possiamo fare come museo autonomo», ha detto Epifani, riferendosi all’autonomia di cui gode il museo da lui diretto per effetto della riforma del 2014 attuata dall’allora ministro della Cultura Dario Franceschini.

Mirella Dato, segretaria di FP CGIL, che negli ultimi mesi ha indetto diverso scioperi per protestare contro la carenza del personale museale, dice che «il personale disponibile è troppo poco e troppo sovraccarico per garantire le aperture necessarie, a fronte di un flusso di visitatori che negli ultimi anni è mediamente triplicato».

Fila di turisti all’ingresso dei Musei Vaticani, a Roma (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

La mancanza di personale dei musei ha diverse cause. La più citata riguarda i minori investimenti dello Stato nel settore culturale, ma non è l’unica. Secondo le direzioni dei musei ascoltate dal Post, c’è un problema più ampio di gestione, reclutamento e selezione del personale, per cui anche quando viene effettivamente assunto non basta a soddisfare le esigenze dei musei. In altre parole, si ritiene che il personale non manchi solo numericamente, ma anche qualitativamente.

Mario Epifani del Palazzo Reale di Napoli ha spiegato per esempio che spesso i bandi ministeriali sono molto generici e inadatti al livello di specializzazione richiesto dai musei. Epifani ha detto che ci sono casi in cui una struttura può aver bisogno di un profilo molto specifico, per esempio un esperto di armi di un determinato periodo, o di qualcuno che parli molto bene l’inglese (secondo l’ISTAT, meno dei due terzi dei musei italiani possono contare su personale che parli inglese, e ancora meno francese, tedesco e spagnolo): «i bandi, molto generici, non garantiscono reclutamenti di questo tipo e finiscono per non dotare il museo del personale di cui ha bisogno, nonostante le assunzioni».

La pensa così anche Maffei, che fa un altro esempio: «ci sono casi in cui un museo non ha bisogno di un ingegnere generico, come indicato nel bando, ma di uno che ne capisca di impianti o di accessibilità». Maffei ha aggiunto che oggi i musei non hanno più un solo pubblico, e che ognuno di questi ha esigenze specifiche: c’è il pubblico generico, a sua volta composto da persone sia italiane che straniere, e il pubblico degli abbonati alla Reggia: «se organizzo una mostra ho bisogno di uno storico o una storica dell’arte che la metta in piedi, ma anche di qualcuno che sappia comunicarla e proporla al pubblico a cui è rivolta», ha detto.

Un altro problema riguarda le competenze digitali di cui chi oggi lavora in un museo ha sempre più bisogno: ad Artribune fonti del ministero della Cultura hanno detto che competenze e professionalità legate al mondo digitale «non sono nemmeno contemplate nella pianta organica».

Ci sono infine problemi molto concreti nella gestione del personale assunto, che di fatto lo rende mancante anche quando sulla carta c’è. Maffei cita il caso dei turni festivi, quelli in cui nei musei si presentano più visitatori: ad oggi il personale non può coprire più del 30 per cento dei turni festivi complessivi, o più del 50 su base volontaria. Secondo Maffei, la gestione del personale è ancora pensata «come se i musei fossero uffici», limitando molto il loro potenziale.

C’è infine la categoria AFAV (assistenti alla fruizione, accoglienza e vigilanza), attualmente gestita dal ministero come una categoria unica, ma composta da personale che ha competenze ed esigenze di formazione diversissime. Secondo Maffei questo profilo andrebbe sdoppiato: «chi si occupa di vigilanza oggi ha bisogno di competenze molto più tecniche e specifiche di quelle del passato, e potrebbe essere selezionato e assunto da società specializzate», ha detto, aggiungendo che invece il personale dedicato alla fruizione e all’accoglienza, che necessità di competenze linguistiche, relazionali e di mediazione molto specifiche, andrebbe reclutato e formato dai musei.

Nell’intervista data ad ANSA quest’estate Eike Schmidt degli Uffizi citava come soluzione a parte di questi problemi una maggiore autonomia dei singoli musei, da estendere anche all’assunzione e gestione del personale. Non tutti sono d’accordo: come spiega Epifani, infatti, un reclutamento gestito a livello ministeriale ha il vantaggio che quelle posizioni non pesino economicamente sul singolo museo. Secondo Maffei, invece, Schmidt ha ragione: «se non proprio nel singolo museo, una maggiore autonomia nella gestione del personale – ma anche di altre questioni, come il bilancio – andrebbe garantita almeno a livello regionale».

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