Il Superbonus non è ancora finito

Il parlamento ha convertito il decreto del governo, ma con alcune modifiche: la scadenza per la “cessione del credito” è slittata al 30 novembre

(Cecilia Fabiano/LaPresse)
(Cecilia Fabiano/LaPresse)
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Mercoledì il Senato ha approvato la conversione in legge del decreto-legge con cui lo scorso 17 febbraio il governo aveva modificato sensibilmente le regole del Superbonus, l’agevolazione fiscale per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica di case e condomini.

Essendo un decreto-legge, il parlamento aveva 60 giorni di tempo per la conversione: per accelerare i tempi ed evitare che le discussioni in aula ne mettessero a rischio l’approvazione, il governo aveva messo sulla conversione in legge la questione di fiducia, che costringe i parlamentari a votare una legge senza poterla modificare e riduce i tempi della discussione in aula. Martedì la conversione era stata approvata alla Camera. Dall’entrata in vigore del decreto-legge di febbraio all’approvazione di mercoledì sera, però, sono state inserite nel testo alcune importanti modifiche.

Per capire queste modifiche bisogna fare un passo indietro e ripercorrere brevemente le regole del Superbonus e come era stato cambiato a febbraio dal governo. In breve, il Superbonus al 110 per cento fu introdotto nel 2020 dal secondo governo Conte, sostenuto dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle. Con questa misura il governo si impegnò a rimborsare la totalità delle somme spese per molti tipi di lavori di ristrutturazione degli edifici residenziali – ville comprese – più il 10 per cento, quindi in sostanza con un contributo aggiuntivo.

Il Superbonus poteva essere riscosso in tre diversi modi. Il primo, il più lineare e sicuro, era la detrazione fiscale fatta direttamente ai proprietari delle case che pagano i lavori di tasca loro: i rimborsi venivano fatti dallo Stato sotto forma di detrazione dalle tasse pagate negli anni successivi. Gli altri due modi erano legati alla cosiddetta “cessione del credito”. Uno era lo sconto in fattura applicato dai fornitori e dalle imprese: chi faceva i lavori si accollava il credito fiscale dei proprietari per recuperarlo successivamente dallo Stato sotto forma di detrazione fiscale. L’altro era la cessione del credito di imposta: si poteva trasferire la detrazione fiscale ad altre imprese, banche, enti o professionisti.

Attualmente la riscossione è rimasta possibile solo attraverso il primo modo. Gli altri due sono stati cancellati dal decreto-legge di febbraio, che prevedeva la possibilità di finalizzare i contratti di cessione del credito al massimo entro il 31 marzo: una delle novità più grosse della conversione in legge è che questo limite è slittato fino al 30 di novembre, a patto che si paghi una sanzione di 250 euro (la sanzione non è prevista per i contratti finalizzati entro fine marzo).

Le altre novità più grosse riguardano l’unico metodo di riscossione del credito ancora in vigore, la detrazione sulle tasse fatta direttamente ai proprietari. Anche questa aveva subito alcune modifiche sostanziali, tra cui il fatto che la detrazione del 110 per cento poteva essere chiesta solo per le spese sostenute fino al 31 marzo 2023: dopo quella data sarebbe entrata in vigore la nuova detrazione del 90 per cento.

Nella legge approvata dal parlamento è slittata anche questa scadenza, ma solo per i lavori che riguardano gli edifici unifamiliari e indipendenti (le cosiddette “villette”): sarà possibile chiedere la detrazione del 110 per cento per le spese fino al 30 settembre del 2023, ma sempre a patto di aver già completato il 30 per cento dei lavori entro il 30 settembre del 2022 (che era il requisito già in vigore).

Le precedenti modifiche introdotte dal decreto-legge avevano creato anche un altro problema per la detrazione fiscale ai proprietari, sia per quanto riguarda il Superbonus al 110 per cento che al 90. Il bonus infatti doveva essere riscosso attraverso detrazioni fiscali in quattro rate annuali, con la conseguenza che solo chi guadagna cifre molto alte, e quindi paga annualmente molte tasse, poteva recuperare completamente i costi dei lavori con la detrazione. Chi non paga abbastanza tasse (chi quindi non ha sufficiente “capienza fiscale”) era costretto a lasciare allo Stato una parte del credito accumulato con il bonus. La novità è che ora la riscossione potrà avvenire in dieci rate annuali, invece che quattro, ma solo per le spese sostenute nel 2022.