Il processo a Venezia per lo sfruttamento degli operai che costruiscono navi da crociera

È iniziato a inizio marzo dopo cinque anni di indagini su un sistema di appalti nei cantieri navali di Fincantieri

Il cantiere di Monfalcone (il Post)
Il cantiere di Monfalcone (il Post)
Caricamento player

A inizio marzo Fincantieri, la società controllata dal ministero dell’Economia attraverso Cassa depositi e prestiti, ha varato nei cantieri navali di Monfalcone, in Friuli Venezia Giulia, la nave da crociera più grande mai costruita in Italia: la Sun Princess, che pesa 175.500 tonnellate, è lunga 340 metri, ha 2.150 cabine e può ospitare 4.300 persone a bordo. La nave da crociera, alimentata sia a gasolio che con gas naturale liquefatto, sarà consegnata all’armatore, la compagnia californiana Princess Cruises, a gennaio del 2024.

Negli stessi giorni in cui veniva varata la Sun Princess, a Venezia è cominciato un processo per lo sfruttamento dei lavoratori che costruiscono le navi da crociera, in cui sono imputate 33 persone: 13 tra dirigenti, quadri e dipendenti di Fincantieri, e i titolari di alcune ditte che avevano preso in appalto lavori di carpenteria nei cantieri navali di proprietà di Fincantieri, compreso quello di Monfalcone.

Il 28 marzo la Guardia di finanza ha annunciato la scoperta di 1.951 lavoratori delle aziende in appalto che sarebbero stati retribuiti in maniera irregolare, confermando le testimonianze raccolte dalla Fiom-Cgil (Federazione italiana operai metalmeccanici), il sindacato che nel 2018 aveva presentato un esposto alla procura della Repubblica di Venezia dal quale poi era partita l’indagine, durata cinque anni e che nel frattempo ha portato ad altri tre processi.

Gli operai, provenienti dal Bangladesh, dall’Europa dell’Est e dal Sud Italia, erano retribuiti attraverso un meccanismo definito «paga globale», vale a dire un compenso forfettario nel quale erano conteggiate le ferie, i permessi, il trattamento di fine rapporto (TFR, una somma da accantonare ogni mese in azienda o da versare a un fondo pensione, a scelta del lavoratore) e anche voci non soggette a trattenute previdenziali come l’indennità di trasferta.

Nel cedolino mensile consegnato ai lavoratori venivano inserite, secondo la procura, «voci artificiose» che servivano solo a ottenere sgravi fiscali ma non venivano pagate, come «anticipo stipendio», «indennità buono pasto», «bonus 80 euro» (un credito d’imposta voluto nel 2015 dall’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi). Sei milioni di euro sarebbero stati pagati «fuori busta», cioè in nero, evadendo il fisco. 383 lavoratori sarebbero invece stati costretti ad accettare una paga oraria inferiore ai 7 euro lordi all’ora perché avevano bisogno di lavorare per rinnovare il permesso di soggiorno in Italia.

La Fincantieri si è difesa dalle accuse sostenendo di aver firmato nel 2017 un accordo con il ministero dell’Interno per garantire la legalità e la trasparenza degli appalti, in particolare per bloccare le infiltrazioni mafiose. Ha fatto sapere di essere venuta a conoscenza delle indagini nel 2019, ha garantito la collaborazione con la magistratura e le forze dell’ordine e si è costituita parte civile nel processo. Lo stesso hanno fatto sia la Cgil che la Fiom-Cgil.

Da quando nel 1991 ha cominciato a costruire navi da crociera, Fincantieri è diventata il più grande gruppo navale d’Europa. Agisce come una multinazionale, ha stabilimenti in Brasile, Norvegia, Romania, Stati Uniti e Vietnam, e prende commesse in tutto il mondo. Nel 2018 è stata vicina all’acquisizione dei cantieri navali di Saint-Nazaire, in Francia, dove si costruiscono i più grandi transatlantici del mondo, ma l’acquisto è stato bloccato prima dal presidente francese Emmanuel Macron e poi dalla Commissione europea, secondo la quale l’alleanza con la società STX che gestisce i cantieri di Saint-Nazaire avrebbe ridotto la concorrenza in Europa.

Nei cantieri di Marinette, nel Wisconsin, Fincantieri costruirà invece dieci fregate lanciamissili per la marina militare statunitense, in base a un appalto da 5 miliardi di euro con il dipartimento della Difesa. In Italia produce navi per uso civile ad Ancona, Castellammare di Stabia, Porto Marghera, Monfalcone e Palermo, e imbarcazioni militari a Muggiano, Riva Trigoso e Sestri Ponente in Liguria.

Nella relazione sul bilancio del 2021, chiuso con un utile di 125 milioni di euro, la Fincantieri ha scritto di impiegare in Italia 10mila persone e di attivare altri «90mila posti di lavoro, che raddoppiano su scala mondiale in virtù di una rete produttiva di diciotto stabilimenti in quattro continenti e oltre 20mila lavoratori diretti». Di questi, più della metà sono dirigenti, impiegati e quadri. Gli operai sono assunti soprattutto nei magazzini e nelle officine, mentre la costruzione delle navi è appaltata a ditte esterne quasi per intero. Il rapporto tra lavoratori diretti e in appalto è all’incirca di uno a quattro. Solo a Marghera, i dipendenti Fincantieri sono 1.057 – sette dirigenti, 11 quadri, 563 impiegati e 476 operai – mentre i lavoratori indiretti tra i mesi di aprile e agosto del 2022 oscillavano tra i 4 e i 5 mila.

I magistrati veneziani hanno fatto emergere il sistema di appalti su cui si regge la produzione di Fincantieri, fondata su centinaia di piccole commesse assegnate in base a un metodo comunemente noto come work breakdown structure. In sintesi funziona così: la costruzione della nave viene scomposta in singole parti e ciascuna parte viene affidata a una ditta appaltante. Una nave da crociera è composta per esempio dallo scafo, da un sistema di propulsione, dalle cabine, dalle aree di servizio, dai ristoranti e così via. Per ogni pezzo si calcolano le ore necessarie per realizzarlo e si affida l’appalto stimando il costo in base al tempo ritenuto necessario per concludere il lavoro. Le ditte hanno ciascuna in media otto lavoratori: secondo uno studio della Fiom, questo metodo consentirebbe alla Fincantieri di risparmiare circa 20 mila euro all’anno per ogni lavoratore. Il costo medio di un operaio metalmeccanico della Fincantieri è infatti di 55 mila euro lordi all’anno, mentre nelle ditte in appalto oscilla tra i 30 e i 35 mila euro, grazie all’applicazione di contratti di tipo diverso a seconda delle mansioni dei lavoratori.

Fabio Querin, un sindacalista veneziano della Fiom, ha raccontato l’origine dell’inchiesta giudiziaria in un’intervista a Gli Stati Generali: «I lavoratori delle ditte mi vedevano in cantiere, si fermavano a raccontarmi cose che si tenevano per sé per paura di perdere il lavoro. […] nel 2018 […] abbiamo deciso di presentare un esposto, segnalando una serie di aziende che utilizzavano la paga globale e allegando, oltre alle buste paga, anche documenti vari, tra cui alcune sentenze di processi civili già conclusi, dove eravamo parte civile. Sentenze che ci davano ragione e confermavano l’utilizzo di lavoratori sottoinquadrati, a cui non venivano versate le indennità contrattuali, ad esempio per il lavoro notturno, e che venivano pagati con la paga globale 4-5 euro l’ora, con le aziende condannate a versare contributi e differenze retributive».