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  • Sabato 18 marzo 2023

Perché proprio la Milano-Sanremo?

Le cose che rendono speciale e importante la prima “classica monumento” della stagione ciclistica

(LaPresse/Fabio Ferrari)
(LaPresse/Fabio Ferrari)
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Tra le tante corse di un giorno del ciclismo su strada, solo alcune sono note come classiche, e solo cinque, tra queste, sono definite classiche monumento per la loro importanza. La prima della stagione si corre oggi ed è la Milano-Sanremo: una corsa che non ha il dislivello del Giro di Lombardia, non ha i settori in pavé della Parigi-Roubaix, non ha i muri e le strade strette del Giro delle Fiandre e non è tanto antica quanto la Liegi-Bastogne-Liegi. La Milano-Sanremo è solo la più lunga, quasi 300 chilometri, la maggior parte dei quali in pianura: cosa che la rende oggettivamente poco vivace per buona parte delle sue oltre sei ore di durata, oltre che per certi versi superata.

Eppure è una corsa importante, che già a marzo può svoltare la stagione di chi la vince e che secondo Peter Cossins, autore di The Monuments, è «l’essenza di ogni corsa ciclistica di un giorno». Perché, quindi, tra tante corse possibili, proprio la Milano-Sanremo è diventata una classica monumento addirittura nota come classicissima?

C’entrano le storie di cui è stata scenario, la capacità promozionale di chi l’ha organizzata, i corridori che l’hanno vinta, la sua posizione nel calendario e un percorso che negli anni è rimasto simile ma non uguale, così da tenere il passo delle evoluzioni del ciclismo e offrire un finale spesso avvincente e aperto a scenari ed esiti molto diversi.

La prima Milano-Sanremo fu organizzata nel 1907, più o meno sullo stesso percorso su cui due anni prima era passata una gara automobilistica organizzata dalla Gazzetta dello Sport e divisa in due tappe: la Milano-Acqui-Sanremo. L’arrivo era a Sanremo perché così aveva voluto un gruppo di imprenditori della città, dove da poco c’era anche il noto casinò in stile liberty. L’edizione era stata solo una perché, come avrebbe scritto anni dopo Armando Cougnet, che al tempo era direttore amministrativo della Gazzetta dello Sport, quella «corsa per vetturette» era stata «un solenne fiasco». Le strade erano sterrate e con troppe buche. Di trentatré auto partite da Milano ne arrivarono solo due.

Gli organizzatori pensarono quindi di sostituire le automobili con le biciclette: si accertarono che ci fossero ciclisti in grado di fare quel percorso in un giorno, trovarono i fondi necessari, convinsero alcuni francesi a partecipare e la Gazzetta dello Sport a organizzarla di nuovo. La prima edizione fu vinta dal francese Lucien Petit-Breton e la Gazzetta parlò di quella prima Milano-Sanremo come del «più grande spettacolo che abbia mai visto l’Italia nello sport ciclistico su strada»; ma era evidentemente di parte, tanto che criticò il «malcalcolato silenzio» di «certa stampa milanese».

Ai primi anni della Milano-Sanremo non mancarono vicende comuni con altre corse di quegli anni, quasi tutte organizzate da giornali in cerca di storie da raccontare: scontri, inganni e complicazioni varie. Già per la prima edizione si parlò di una rissa e di un «atto banditesco» di un corridore verso un altro, e nelle successive si scrisse di un passaggio in macchina non consentito preso da un ciclista e di un corridore francese indirizzato, probabilmente di proposito, verso la strada sbagliata. Alla quarta edizione arrivarono al traguardo in quattro, e il vincitore ci mise oltre 12 ore a finire la quinta.

Fausto Coppi durante un allenamento in Liguria (Silvio Durante / LaPresse)

Già nella prima metà del Novecento la Milano-Sanremo iniziò intanto a essere chiamata “classicissima”, prima dalla Gazzetta dello Sport e poi anche da altri, e alla sua fama contribuirono non poco le tante vittorie prima di Costante Girardengo e poi di Fausto Coppi, entrambi noti come “campionissimi” (a quel ciclismo i superlativi assoluti piacevano molto). In particolare, fu parecchio significativa la Milano-Sanremo del 1946. Fu il primo successo di Coppi, fu la prima grande corsa italiana del secondo dopoguerra, vinta con un così largo vantaggio che Nicolò Carosio commentò l’arrivo del vincitore con la celebre frase: «Primo Fausto Coppi. In attesa degli altri trasmettiamo musica da ballo».

A proposito di corridori che con le loro vittorie accrescono importanza e palmares di una certa cosa, quello che ha vinto la Milano-Sanremo più volte è Eddy Merckx, con sette successi.

Merckx, davanti a Motta, Bitossi e Gimondi, nel 1967 (LaPresse)

Oltre ai corridori, la Milano-Sanremo è una classica monumento grazie al suo percorso, che pur partendo (più o meno) sempre da Milano ed arrivando sempre a Sanremo, negli anni è cambiata più volte, soprattutto aggiungendo alcune brevi salite che ne hanno reso più aperto e movimentato il finale. È successo negli anni Sessanta con il Poggio e negli anni Ottanta con la Cipressa, che da allora precede il Poggio di qualche chilometro. Prese da sole, sono salite semplici e pedalabili, che se fossero in una tappa del Giro d’Italia ci si farebbe poco caso, ma arrivando dopo molte ore di corsa, e prima di uno dei traguardi più ambiti del ciclismo, si fanno parecchio sentire nelle gambe.

Nella sua forma recente, al netto di un’edizione un po’ diversa durante la pandemia, la Milano-Sanremo ha un percorso piatto fino al Passo del Turchino, sugli Appennini, e in genere un copione piuttosto prevedibile anche nei chilometri che percorre lungo la statale Aurelia verso le tre piccole salite (Capo Mele, Capo Cervo e Capo Berta) che precedono la Cipressa e soprattutto il Poggio, che è lungo meno di quattro chilometri e le cui pendenze non superano mai l’otto per cento. Dopo il Poggio, gli ultimi chilometri sono prima in discesa e poi in pianura fino all’arrivo in via Roma a Sanremo.

Quantomeno fino al Passo del Turchino, il “copione” della corsa prevede che qualcuno provi e riesca ad andare in fuga. Ma più ci si avvicina ai Capi, e ancor più alla Cipressa, le possibilità di fuga diminuiscono, e finiscono definitivamente verso gli ultimi chilometri, dove chiunque voglia provare a vincere cerca di stare in testa: chi per provare a scattare chi invece per provare a non farsi staccare, con l’obiettivo di vincere la volata finale.

A tutto questo si aggiungono la necessità di passare ore a conservare le energie in vista del finale e il fatto che nei chilometri verso Sanremo l’esito di un attacco può essere determinato, tra le altre cose, anche solo dalla direzione e dall’intensità del vento.

La Sanremo, come si dice tra conoscitori e appassionati, è stata vinta e può essere vinta da un velocista, in genere anche grazie a un grande lavoro di squadra, così come dall’azione individuale di uno scalatore o dall’attacco di un passista. Solo in questo secolo l’hanno vinta un velocista purissimo come Mario Cipollini (in volata), ma anche corridori diversissimi come Fabian Cancellara (che staccò tutti nell’ultimo chilometro) e Vincenzo Nibali (che attaccò sul Poggio, rischiò in discesa e resistette in pianura).

Vincenzo Nibali (ANSA/LUCA BETTINI)

È rarissimo che una corsa di un giorno si apra a possibilità così varie. Peter Sagan, un corridore sulla carta perfetto per poterla vincere, non ci è mai riuscito nonostante i molti tentativi. L’ultimo a vincerne due edizioni di fila fu Erik Zabel, più di vent’anni fa.

Kwiatkowski al centro batte Sagan (a sinistra) e Alaphilippe (LaPresse/ Gian Mattia D’Alberto)

La peculiarità della Sanremo sta insomma nell’attesa – lunga e non particolarmente avvincente – dell’ultima manciata di chilometri, che c’è chi ritiene essere tra i più vivaci di tutta la stagione ciclistica, o almeno i primi davvero importanti in termini assoluti.

Peraltro, il “copione” prevedibile è ovviamente un canovaccio, non una regola. C’è stato chi ha provato ad attaccare già sul Passo del Turchino, chi ha vinto partendo dalla Cipressa (l’ultimo a riuscirci fu Gabriele Colombo nel 1996), chi era atteso in volata e ha invece preferito provare a staccare tutti prima, chi ha puntato sull’effetto sorpresa e chi, come Matej Mohoric, vincitore nel 2022, ha resistito in salita e attaccato in discesa, grazie a molti rischi, grande abilità e una sella telescopica montata per l’occasione.

La Sanremo è anche una sorta di fotografia dei vari periodi del ciclismo. Fino a circa un decennio fa, quando le gare erano più controllate, l’arrivo in volata era quasi un’abitudine; più di recente, spesso grazie ad alcuni corridori particolarmente forti e arrembanti, la grande volata è in genere considerata sempre meno probabile.

Nonostante esistano gare più spettacolari (come spesso è la Strade Bianche) o perfino più antiche (la Milano-Torino, che esiste dal 1876), ci sono insomma molti motivi per cui la Sanremo è riuscita a diventare e restare una classica monumento. È strano, a pensarci, per una corsa di per sé ordinaria e che, almeno finora, pur potendo andare a cercare altre salite in giro per la Liguria – non ne mancano, nemmeno appena prima di Sanremo – finora si è accontentata di metterne giusto una manciata, l’ultima delle quali su una strada notoriamente definita «molto insignificante, quasi brutta».