Che cosa sta succedendo con Credit Suisse e le banche

La banca svizzera è in crisi da tempo ma le sue difficoltà hanno spaventato i mercati proprio adesso, per una serie di circostanze

(Arnd Wiegmann/Getty Images)
(Arnd Wiegmann/Getty Images)
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I titoli di Credit Suisse, la seconda banca svizzera e una delle più grandi in Europa, sono oggetto in questi giorni di grossi movimenti di borsa dettati da una notevole preoccupazione sulla sua solidità finanziaria. Mercoledì le sue azioni in borsa sono arrivate a perdere fino al 31 per cento del loro valore e la banca ha chiesto aiuto alla banca centrale svizzera e alle autorità di vigilanza, che le hanno accordato un grosso prestito per ripristinare la liquidità e rassicurare gli investitori sui mercati finanziari del fatto che la banca sia solida e non a rischio.

Le difficoltà di Credit Suisse hanno provocato gravi preoccupazioni sui mercati europei, dove soprattutto mercoledì i titoli di borsa hanno avuto grossi cali (in parte recuperati giovedì). Ad alimentare le preoccupazioni c’è stato il fatto che pochi giorni fa, alla fine della settimana scorsa, c’era stata una parallela crisi di alcune banche regionali americane, come Silicon Valley Bank e Signature Bank. Le due crisi non hanno niente a che vedere l’una con l’altra: la banca svizzera è un caso isolato e il tracollo di borsa è avvenuto a seguito di alcuni eventi specifici. L’episodio si inserisce però in un contesto di timore generale e di grande incertezza verso la stabilità del sistema finanziario e bancario: il fatto che queste due crisi si siano sviluppate in tempi molto ravvicinati ha provocato timori sulla possibilità di quello che viene definito un “contagio”, cioè che le difficoltà di una banca possano estendersi ad altre.

Il timore che una banca vada in crisi influisce a catena su tutte le altre perché il settore è molto interconnesso, anche a livello internazionale, e il panico tra gli investitori può portare a proiettare le debolezze di un singolo istituto verso tutto il settore, anche se magari il settore è solido. Significa, semplificando, che gli investitori vedendo che una banca è in difficoltà potrebbero iniziare a vendere le azioni anche di altre banche che magari sono perfettamente sane, ma che in quel momento sono percepite come fragili perché l’intero sistema è percepito come traballante. Il rischio, a quel punto, è che tutto il sistema entri per davvero in sofferenza perché gli investitori vanno nel panico.

Per questo le banche centrali, i governi, e le autorità di vigilanza sono talvolta disposti a concedere grandi prestiti di emergenza a un singolo istituto, proprio per salvaguardare il sistema bancario in generale.

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I titoli di Credit Suisse vanno male da giorni, spinti al ribasso da indiscrezioni su eventuali debolezze di bilancio: queste indiscrezioni hanno trovato conferma nel fatto che mercoledì il presidente della banca saudita Saudi National Bank, prima azionista di Credit Suisse, ha detto che non sarebbe disposto a fornire liquidità a Credit Suisse in caso di difficoltà. Il fatto che la prima azionista di una banca abbia detto con sicurezza che non intende metterci altri soldi ha spaventato parecchio gli investitori, soprattutto in una situazione di tensione e scetticismo sulla solidità della banca.

Questa dichiarazione è arrivata dopo che martedì il management di Credit Suisse aveva ammesso che erano state trovate «concrete debolezze» di bilancio. La banca era comunque da tempo sotto pressione in borsa, dopo aver pubblicato a inizio febbraio i risultati relativi al 2022, che mostravano la perdita finanziaria più grave dal 2008, e in generale dopo anni di crisi e scandali finanziari.

Credit Suisse è in difficoltà ormai da anni per varie ragioni legate soprattutto alla malagestione, e dallo scorso anno i manager stanno cercando di attuare un nuovo piano di business per farla tornare nuovamente redditizia: il nuovo amministratore delegato, in carica da luglio, ha presentato recentemente un piano di riduzione del numero dei dipendenti, per contenere i costi, e volto a limitare e scorporare le sue attività più rischiose, che negli ultimi anni le hanno causato enormi perdite.

La storia della crisi
Credit Suisse è una banca specializzata nella gestione dei patrimoni privati e istituzionali, esattamente come UBS, suo principale concorrente e prima banca svizzera per dimensioni. Molti analisti riconducono la crisi di Credit Suisse a errori di gestione e alla scelta di un modello di business piuttosto rischioso e diverso da quello che ha sempre perseguito nella sua storia.

Credit Suisse negli ultimi anni, oltre al suo business principale di gestione dei patrimoni, ha anche intrapreso attività sempre più importanti di investment banking. Semplificando molto, le attività di investment banking corrispondono a servizi finanziari per le aziende che per esempio vogliono quotarsi in borsa, o che cercano investitori o sponsor finanziari nelle operazioni di fusione e acquisizione. Sono attività mediamente più rischiose delle normali attività bancarie, perché spesso implicano che i capitali delle banche rimangano vincolati alle aziende per molto tempo.

Negli ultimi anni, per moltissimi motivi legati all’andamento generale dell’economia, le attività di investment banking hanno avuto particolari difficoltà. In più Credit Suisse nel 2021 è rimasta invischiata in alcuni investimenti sbagliati e legati a enormi fallimenti di fondi internazionali: quello di Greensill Capital, un fondo angloaustraliano che forniva credito alle imprese e che è fallito nel 2021 dopo operazioni altamente speculative, e quello di Archegos, un altro fondo di investimento altamente speculativo.

Il risultato finale è stato che nel 2021 Credit Suisse ha avuto una perdita di 1,6 miliardi di franchi svizzeri (circa 1,62 miliardi di euro), che si è allargata a 7,3 miliardi nel 2022 (circa 7,4 miliardi di euro), la perdita finanziaria più grave dal 2008.

Lo scorso ottobre il nuovo amministratore delegato di Credit Suisse, Ulrich Körner, ha annunciato un grosso piano di ristrutturazione, che secondo molti analisti è necessario ma allo stesso tempo abbastanza tardivo. Prevede corposi tagli del personale ma soprattutto la limitazione e lo scorporo delle attività di investment banking, per fare in modo che la banca si focalizzi di nuovo nel suo business principale, ossia la gestione dei patrimoni.

Nonostante tutto, gli analisti sono generalmente concordi nel dire che Credit Suisse è comunque una banca ancora solida, anche alla luce delle stringenti regole europee e svizzere sulle banche.

Crisi di Credit Suisse o crisi delle banche in generale?
Ma perché tutto questo è venuto fuori proprio ora? Le difficoltà di Credit Suisse sono ben note agli esperti di finanza e agli investitori e i suoi titoli sono in calo da tempo. Per questo, molti analisti ritengono che a provocare il crollo in borsa della banca sia stato un panico diffuso che si è generato in seguito ai fallimenti delle due banche americane qualche giorno fa.

Anche se le due crisi (Credit Suisse e le banche americane) hanno motivazioni e origini ben distinte l’una dall’altra, l’attenzione degli investitori si è ormai concentrata sul settore bancario e gli operatori stanno scandagliando i bilanci alla ricerca di debolezze. Le dichiarazioni della banca saudita relative al fatto che non avrebbe messo altri soldi dentro Credit Suisse non avrebbero mai fatto crollare i titoli del 30 per cento in un periodo normale, ma è successo in un momento di alta tensione e diffidenza verso le banche.

In questo clima si inserisce la decisione della banca centrale svizzera di dare il suo sostegno a Credit Suisse, con l’obiettivo di ripristinare la fiducia degli investitori, essenziale per non creare il panico generale che provocherebbe una crisi di tutto il sistema.

L’attività di una banca si basa su un equilibrio tutto sommato rischioso e ampiamente noto, che ha molto a che vedere con la fiducia che gli investitori e i correntisti hanno nel sistema.

Le banche raccolgono denaro dai correntisti e dagli investitori e lo usano in larga parte per investire a loro volta, concedere mutui e prestiti. Quindi le banche non hanno mai a disposizione tutti i soldi dei clienti, confidando nel fatto che è improbabile che tutti quanti ritirino la totalità dei fondi nello stesso momento.

Se un cliente si aspetta che gli altri ritirino oggi dalla banca solo quanto è necessario per fare fronte alle loro esigenze di consumo, riterrà che la banca sia al sicuro e di conseguenza farà così anche lui: ritirerà dal suo conto corrente solo quanto gli serve. Se tutti condividono questa aspettativa, si comporteranno così e la banca sarà effettivamente al sicuro: è una profezia che si autoavvera. Ma se un depositante si aspetta che tutti gli altri vadano oggi in banca a ritirare il loro denaro, la sua risposta sarà quella di correre in banca a ritirare il suo, temendo che domani potrebbe essere troppo tardi.

Se tanti condividono questa idea, andranno a ritirare i loro depositi e la banca fallirà. Se una banca fallisce, molti correntisti perderanno in parte o del tutto i propri risparmi, con conseguenze enormi dal punto di vista economico e sociale.

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Qualsiasi banca vittima di una corsa agli sportelli e di un ritiro massiccio dei capitali sarà messa in crisi, a prescindere dalla sua solidità. Per questo è necessario che non ce ne siano e che gli investitori siano sempre sicuri di non perdere i propri soldi, perché se una banca cade c’è il rischio concreto che molte banche falliscano, a prescindere dal buono stato delle loro finanze.

Il ruolo dei tassi di interesse in rialzo
In più, questo clima di incertezza si inserisce in un contesto di generale instabilità finanziaria, che molti analisti riconducono all’aumento dei tassi di interesse che la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, e la Banca Centrale Europea stanno portando avanti da circa un anno per combattere l’inflazione, ossia il generalizzato aumento dei prezzi che sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese riducendone il potere di acquisto.

Quella che stanno perseguendo le banche centrali è una politica generalmente ritenuta appropriata dalla teoria economica, ma che allo stesso tempo ha molti effetti collaterali, tra cui il rischio di generare instabilità finanziaria. Molte banche, soprattutto quelle statunitensi, hanno in portafoglio titoli acquistati negli scorsi anni a prezzi altissimi, quando il livello generale dei tassi di interesse era molto più basso (il rapporto tra tassi di interesse e prezzo dei titoli è inverso).

Con l’aumento generalizzato dei tassi il valore di questi titoli si è ridotto: stanno quindi emergendo alcune criticità nei bilanci delle banche che sono state meno attente a diversificare, come Silicon Valley Bank, o con generali problemi di gestione, come Credit Suisse. Per esempio Silicon Valley Bank aveva investito tantissimo denaro in titoli di stato americani, che pur essendo generalmente sicuri hanno un problema: sono gli investimenti maggiormente legati ai tassi di interesse ufficiali delle banche centrali, e con il rialzo dei tassi hanno perso via via valore, compromettendo così il bilancio della banca e causando forti perdite perché non aveva differenziato i propri investimenti.

Gli analisti vedono il sistema bancario europeo leggermente più al sicuro da queste dinamiche, perché è sottoposto a regole più stringenti e a una vigilanza più pressante.

È improbabile comunque che le banche centrali smetteranno di aumentare i tassi di interesse, perché l’inflazione è ancora molto alta e una retromarcia nelle decisioni sarebbe vista come segno di debolezza (e infatti la BCE ha confermato giovedì un atteso aumento dei tassi di interesse). Molti però ritengono che tra le considerazioni dei consigli direttivi di FED e BCE la stabilità finanziaria tornerà a essere un fattore prioritario al pari della lotta all’inflazione: negli scorsi mesi i rialzi dei tassi sono stati piuttosto aggressivi e veloci; è probabile che nei prossimi mesi la tendenza al rialzo continuerà ma in misura più graduale.

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