Il fallimento di Silicon Valley Bank

È il più grande per una banca statunitense dalla crisi del 2008 e conferma le recenti difficoltà del settore tecnologico

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)
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Silicon Valley Bank (SVB), una delle più importanti banche statunitensi nel settore delle startup tecnologiche, è fallita rendendo necessario l’intervento da parte del governo degli Stati Uniti. È il più grande fallimento nella storia finanziaria del paese dopo quello di Washington Mutual nel 2008 e segna la fine di una banca che solo un anno e mezzo fa aveva una valutazione di oltre 44 miliardi di dollari. I depositi entro i 250mila dollari saranno garantiti dalla Federal Deposit Insurance Corporation, l’ente che offre garanzie sui conti correnti, ma la quasi totalità degli investitori aveva cifre molto più alte in SVB che ora rischia di non ricevere indietro.

La notizia del fallimento di SVB ha avuto ripercussioni negative sui mercati azionari, ma meno estese di quanto ci si aspettasse. Il sistema bancario statunitense è solido e stabile, come ha chiarito la segretaria al Tesoro Janet Yellen, ma ci sono stati comunque effetti per le società di investimenti di capitale maggiormente attive nel settore tecnologico. Alcune delle più grandi e importanti utilizzavano infatti SVB per gestire le proprie attività finanziarie, erogare i fondi alle startup e indirizzarne le attività di spesa.

SVB era stata fondata nel 1983 a Santa Clara in California e in poco tempo era diventata una delle principali banche della Silicon Valley, dove iniziavano a concentrarsi le aziende informatiche. Nel 2021 la banca gestiva circa la metà di tutti i fondi impiegati per finanziare le startup: era cresciuta velocemente e aveva attirato numerosi investitori, interessati ad avere una banca specializzata negli investimenti nel settore tecnologico.

Per lungo tempo gli affari erano andati molto bene, complici i successi e la veloce crescita delle società tecnologiche. SVB aveva raccolto risorse finanziarie di vario tipo per 200 miliardi di dollari, una cifra importante, ma comunque distante da quelle raccolte dalle banche più grandi e tradizionali statunitensi, solitamente nell’ordine delle migliaia di miliardi di dollari.

Nel complesso, SVB utilizzava il denaro depositato dai propri clienti per investirlo in obbligazioni (bond). Non era una pratica che metteva in atto solo questa banca ma è il meccanismo con cui funzionano tutte le banche del mondo, un meccanismo che in tempi normali non dà problemi. Il che aveva fruttato bene fino allo scorso anno quando era iniziata ad aumentare l’inflazione. La banca centrale degli Stati Uniti (la Federal Reserve) era intervenuta aumentando i tassi d’interesse, facendo ridurre il valore degli investimenti che SVB aveva già effettuato a tassi più bassi.

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Come le altre banche, SVB avrebbe potuto attendere la fine naturale degli investimenti già fatti per arginare il problema, ma si era ritrovata a fare i conti con un forte rallentamento dell’economia legata alle aziende tecnologiche della Silicon Valley. Il flusso di nuovi depositi si era ridotto e molti clienti avevano iniziato a essere scettici sulla solidità e l’affidabilità della banca, tanto che alcuni avevano scelto di ritirare i propri fondi anche su sollecitazione di alcuni fondi di investimento.

Lo scorso 8 marzo le cose erano peggiorate ulteriormente quando SVB Financial Group, uno dei rami della banca, aveva annunciato la vendita di titoli per 21 miliardi di dollari, prevedendo una perdita di circa 2 miliardi di dollari. La banca confidava in questo modo di rimettere in sesto i bilanci, ma l’annuncio delle perdite aveva spaventato ulteriormente clienti e investitori, determinando una nuova ondata di prelievi da parte dei correntisti. È successo quello che in economia si chiama una “corsa agli sportelli”, ossia il ritiro massiccio di gran parte dei depositi da parte dei correntisti dettato principalmente dal panico.

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Venerdì 10 marzo era infine intervenuto il governo con la decisione di chiudere la banca per tutelare i proprietari dei conti.

Secondo gli analisti, SVB è fallita così rapidamente a causa della forte esposizione su un unico settore, quello delle aziende tecnologiche della Silicon Valley, e della conseguente mancanza di differenziazione con investimenti in altri settori. Fino a quando la crescita di alcune startup e di aziende già consolidate era stata forte, SVB non aveva avuto problemi nemmeno in altre fasi di generale rallentamento dell’economia. La banca era del resto scelta da molti investitori perché offriva facilmente accesso al credito per le startup, con piani dedicati per il finanziamento di società che per definizione perdono soldi nella loro fase di avvio.

Considerata la specificità di SVB, le analisi circolate finora non segnalano particolari rischi per il resto del settore bancario statunitense. Il fallimento avrà ripercussioni limitate, ma è comunque un ulteriore segnale del momento di difficoltà che sta interessando i venture capitalist, i soggetti che investono sulle nuove aziende tecnologiche scommettendo sul loro futuro spesso con finanziamenti ad alto rischio.

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