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  • Mercoledì 15 marzo 2023

L’Iditarod è stata vinta dal nipote di uno dei suoi fondatori

Dopo decine di tentativi della sua famiglia di nativi dell'Alaska, Ryan Redington è riuscito a vincere la più nota gara di slitte trainate da cani

Ryan Redington al traguardo dell'Iditarod (Loren Holmes/Anchorage Daily News via AP)
Ryan Redington al traguardo dell'Iditarod (Loren Holmes/Anchorage Daily News via AP)

L’Iditarod Trail Sled Dog Race, la più famosa gara di slitte trainate da cani, è stata vinta martedì da Ryan Redington, nipote quarantenne di Joe Redington Sr., che nel 1973 contribuì a organizzarne la prima edizione. Per vincere l’Iditarod, una gara controversa che negli ultimi tempi se la deve vedere con problemi e crisi di vario genere, Redington è arrivato a Nome, una piccola città dell’Alaska che si affaccia sul Mare di Bering, otto giorni e 21 ore dopo essere partito da Willow, che sta a oltre 1.600 chilometri.

Nome il 14 marzo (Loren Holmes/Anchorage Daily News via AP)

Con Redington al traguardo di Nome c’erano sei cani, uno in più rispetto al numero minimo con cui era richiesto che i musher (i guidatori delle slitte, tutti partiti con 12, 13 o 14 cani) arrivassero a Nome. I cani all’arrivo sono meno rispetto alla partenza perché, sia per problemi di vario genere che per strategia, i musher possono decidere di lasciarli in appositi checkpoint per poi ritrovarli all’arrivo, portati dall’organizzazione.

Joe Redington, morto nel 1999, è noto ancora oggi come il “padre dell’Iditarod” perché fu la persona che più sostenne l’idea, proposta da un comitato esterno, di organizzare una gara per slitte trainate da cani lungo l’Iditarod Trail, un percorso che prende il nome da un fiume, che a sua volta dava il nome a una piccola “città dell’oro”. Per Redington, l’Iditarod era un modo per preservare la rilevanza dei cani da slitta, che stava svanendo dopo l’arrivo delle motoslitte e dei gatti delle nevi, e per recuperare il percorso verso Nome, che nel 1925 era stato usato per portare con una staffetta di slitte trainate da cani i medicinali per contrastare un’epidemia di difterite.

Redington corse l’Iditarod diciannove volte, senza mai vincerla; suo figlio, il padre del vincitore di quest’anno, la corse dodici volte, ma nemmeno lui arrivò mai primo al traguardo. I membri della famiglia Redington hanno partecipato complessivamente a oltre settanta edizioni senza mai riuscire a vincere.

Ryan Redington, che ha 40 anni, ci è riuscito al quindicesimo tentativo, dopo che nel 1999 e nel 2000 aveva vinto la Junior Iditarod, la versione ridotta (ma comunque lunga circa 250 chilometri) dell’Iditarod per musher tra i 14 e i 17 anni. Dopo l’arrivo a Nome, Redington ha detto che vincere l’Iditarod era per lui «un obiettivo fin dall’infanzia».

(Loren Holmes/Anchorage Daily News via AP)

Redington, che è un eschimese Inupiat, è il sesto nativo dell’Alaska a vincere l’Iditarod. Al secondo e al terzo posto di questa edizione, entrambi con più di un’ora di ritardo rispetto a Redington, sono arrivati altri due musher nativi dell’Alaska. Non era mai successo prima che tre nativi arrivassero nelle prime tre posizioni: è un grande motivo di orgoglio per i giornali dello stato, ma anche un segno del fatto che l’Iditarod, che non aveva mai avuto così pochi partecipanti come quest’anno, ha probabilmente perso rilevanza all’estero mentre continua a essere importante in Alaska, dove è descritta come una sorta di Super Bowl.

L’edizione di quest’anno, che è arrivata a svolgersi ad oltre -30 °C, nelle prime giornate era stata segnata di converso da temperature parecchio più alte della media. La crisi climatica non è tuttavia l’unica con cui l’Iditarod sta facendo i conti.

– Leggi anche: Le crisi dell’Iditarod