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  • Sabato 11 marzo 2023

Quando Iran e Arabia Saudita ruppero le loro relazioni diplomatiche

Successe nel 2016, quando in territorio saudita fu eseguita la condanna a morte del religioso sciita Nimr al Nimr

L'incendio dell'ambasciata saudita a Teheran del 2016 (Mohammadreza Nadimi/ISNA via AP)
L'incendio dell'ambasciata saudita a Teheran del 2016 (Mohammadreza Nadimi/ISNA via AP)
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Iran e Arabia Saudita hanno annunciato venerdì che riprenderanno le relazioni diplomatiche, con una decisione arrivata a sorpresa. Le avevano interrotte formalmente nel 2016, ma le tensioni fra i due paesi, distanti non più di 200 chilometri e divisi dal Golfo Persico, erano cominciate alcuni decenni prima. L’Iran, governato da una teocrazia sciita, e l’Arabia Saudita, governata da una monarchia assoluta sunnita, sono due dei paesi più grandi e importanti dell’area mediorientale: la loro contrapposizione ha segnato molti dei conflitti e delle questioni diplomatiche della regione.

Alla base della rivalità ci sono prima di tutto questioni religiose, ma anche volontà di influenza su altri paesi dell’area, nonché ragioni economiche legate a diverse visioni sullo sfruttamento delle ampie risorse petrolifere che i due stati hanno a disposizione.

Il momento decisivo per la rottura delle relazioni diplomatiche fu l’esecuzione della condanna a morte del religioso sciita Nimr al Nimr, nel 2016.

Originario della provincia di al Sharqiyya, lo sceicco Nimr era stato molto critico con il governo saudita sin dal 2006, anno del suo primo arresto. Nel 2009 aveva minacciato la secessione della provincia se i diritti della minoranza sciita non fossero stati rispettati; e durante la “primavera araba” del 2011-12 era diventato uno dei leader delle proteste sciite, che avevano provocato alcuni scontri con la polizia saudita. Nimr al Nimr era stato arrestato nel luglio del 2012 dopo essere rimasto ferito in uno di questi scontri. La sua condanna a morte era arrivata nell’ottobre del 2014: era stato ritenuto colpevole di ribellione armata, disobbedienza alla monarchia e di aver favorito gli interessi di una potenza nemica dell’Arabia Saudita, l’Iran sciita.

Nimr al Nimr fu ucciso il 2 gennaio 2016, insieme a altri 46 condannati, per lo più dell’organizzazione terroristica sunnita al Qaida. L’Iran, che aveva già formalmente condannato la sentenza, convocò immediatamente l’ambasciatore saudita in Iran per chiedere spiegazioni. Nel giro di poche ore però la notizia della morte di al Nimr diede inizio a grandi proteste e manifestazioni in tutto l’Iran: la più numerosa e violenta fu quella che portò all’attacco dell’ambasciata saudita a Teheran, la capitale dell’Iran. Cantando “morte alla famiglia al Saud” (la dinastia regnante in Arabia Saudita), la folla riuscì a entrare in alcune stanze dell’edificio, distrusse mobili e vetrate e diede fuoco a un’ala dell’ambasciata, prima di essere fermata dall’intervento della polizia.

Il 3 gennaio Alì Khamenei, la Guida suprema iraniana (la massima carica politica e religiosa del paese), minacciò l’Arabia Saudita e disse che sul paese sarebbe «calata la vendetta divina». In risposta, il governo saudita decise di interrompere le relazioni diplomatiche.

– Leggi anche: https://www.ilpost.it/2019/02/11/rivoluzione-iran-1979-khomeini/

Il caso di al Nimr fu l’episodio scatenante, ma i due paesi, che durante la Guerra Fredda erano entrambi sotto influenza americana, entrarono in conflitto a partire dalla rivoluzione cosiddetta “khomeinista”, avvenuta in Iran del 1979: fu quella portò alla cacciata dello scià iraniano e all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Nel 1979 e negli anni appena successivi le alleanze nella regione si modificarono, e i cambiamenti furono notevoli e con grandi conseguenze.

Le divisioni nell’Islam tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del profeta Maometto, nel 632: la maggioranza di coloro che credono nell’Islam, che oggi noi conosciamo come sunniti e che sono circa l’80 per cento di tutti i musulmani, pensava che l’eredità religiosa e politica di Maometto dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. C’era poi una minoranza, oggi la minoranza sciita, che credeva che il successore dovesse essere un consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo successore Ali, suo cugino e genero.

Un soldato yemenita della coalizione sostenuta dall’Arabia Saudita (AP Photo/Nariman El-Mofty)

Le tensioni politiche fra i due paesi si trasformarono in guerra aperta sia in Yemen che in Siria. In Yemen dal 2014 l’Iran cominciò a sostenere e armare i ribelli Houthi, nemici dello schieramento appoggiato dall’Arabia Saudita; nella guerra civile in Siria, iniziata nel 2011, l’Iran sostiene il regime siriano di Bashar al Assad, mentre l’Arabia Saudita finanzia e appoggia i principali gruppi di ribelli.

In anni più recenti le tensioni sono sembrate ancora aumentare, specie quando nel 2019, usando armi fornite proprio dall’Iran, gruppi yemeniti Houthi compirono grossi attacchi anche sul suolo saudita, bloccando per un periodo metà della loro capacità produttiva di petrolio.

La crescente contrapposizione fra Iran e Arabia Saudita negli ultimi anni aveva portato a un avvicinamento di quest’ultima con Israele, con rapporti diplomatici informali piuttosto intensi. La teocrazia iraniana infatti non ha mai riconosciuto il diritto di Israele a esistere, che a sua volta ha compiuto nel corso degli anni numerose operazioni militari sotto copertura in Iran, mirate soprattutto a cercare di danneggiare e rallentare il programma nucleare iraniano. Una normalizzazione dei rapporti fra i due paesi, se reale, avrà effetti anche a questo riguardo.